La questione irrisolta dell'energia nel nostro Paese/E' necessario riprendere, in modo pragmatico, un serio dibattito Se il catastrofismo è antiscientifico Poche settimane fa il Presidente del Consiglio ha riportato alla ribalta la questione sul nucleare, bandito dopo il referendum del 1987,dopo aver ricordato che nel nostro Paese l'energia costa dal 20% al 30% in più a fronte di un continuo aumento dei consumi elettrici. Si sono subito sollevate le polemiche da parte di chi, come gli ambientalisti, è contrario a priori e anche da parte di chi è possibilista ma pone il problema degli alti costi delle centrali e dello smaltimento delle scorie radioattive. Calmate le acque, dopo aver sentito le opinioni più disparate spesso inutilmente catastrofiste e poco costruttive, sarebbe il caso a mio avviso di cominciare un serio dibattito che affronti in modo pragmatico quella che ormai è divenuta l'emergenza energia.Non si può non far presente che gli alti costi per la produzione energetica in Italia sono un freno per il rilancio della nostra economia che già fatica a riprendersi. Approntare un piano energetico nazionale di lungo periodo che ci svincoli dalla dipendenza troppo marcata che abbiamo oggi dalle sorgenti fossili come carbone, gas e petrolio, peraltro molto inquinanti, credo sia di primaria importanza. Il 70% della nostra produzione di energia, infatti, è legato agli idrocarburi e questo ci rende molto più vulnerabili di altri paesi alle fluttuazioni del prezzo del greggio,le cui riserve si trovano per il 65% in Medio Oriente. L'aver rinunciato alla tecnologia nucleare cavalcando l'onda emotiva suscitata dall'incidente di Chernobyl credo sia stata una scelta molto penalizzante e poco lungimirante, senza contare che si è dovuto continuare a smaltire le scorie trattandole all'estero con costi ingenti. La forte opposizione popolare, aizzata a dovere per l'occasione come si è visto a Scanzano, ha addirittura impedito la costruzione di un deposito geologico nazionale che avrebbe dovuto raccogliere tutte le scorie radioattive, anche quelle di origine ospedaliera. Si è preferito evidentemente non affrontare questo problema con il risultato che ci ritroviamo con centinaia di siti di superficie insicuri sia dal punto di vista ambientale che di un eventuale attacco terroristico. Questo atteggiamento di chiusura totale non trova però riscontro nel mondo scientifico che anzi lamenta il fatto che, per ragioni politiche, siamo rimasti tristemente indietro nella ricerca. L'energia nucleare come anche le fonti rinnovabili rappresentano il futuro verso cui puntare sia perché non incidono sull'effetto serra sia perché le riserve mondiali di sorgenti fossili vanno via via esaurendosi. Bisogna incentivare gli studi e stanziare fondi adeguati ad esempio su una nuova tecnologia nucleare sicura basata sul metodo della "fertilizzazione", o sul solare termodinamico che cattura energia grazie a un sistema di specchi parabolici accumulandola in un fluido salino, o ancora sul carbone pulito, cioè senza emissioni inquinanti, e sull'idrogeno. Ma se queste tecnologie potranno essere disponibili fra qualche anno non si può non osservare che le attuali centrali nucleari sono molto più sicure di una volta essendo sottoposte a rigidissimi controlli e che le scorie opportunamente vetrificate e conservate nel sottosuolo non costituiscono un pericolo. Ci si può convincere di ciò guardando all'esperienza di paesi come la Francia o la Svezia che hanno decine di impianti e non hanno mai registrato problemi seri. La nostra situazione paradossale sta nel fatto che siamo costretti ad importare energia da paesi confinanti che non sempre sono dotati di impianti moderni ma non vogliamo produrla nel nostro territorio, come se questa scelta possa preservarci da un eventuale disastro. Non arroccarsi su posizioni di parte ma affrontare la questione razionalmente sarebbe una prova di maturità da parte della nostra classe politica e da parte di tutti coloro che hanno a cuore il bene e lo sviluppo del Paese. Michele Poli Fgr - Roma |