22 marzo, Giornata mondiale dell'acqua/Risorsa abbondante e mal distribuita sulla Terra

Bene fondamentale negato a un sesto dell'umanità

Cos'è politica? Il vociare scomposto in un talk show? Arringare gli industriali? Il feed-back alternato dei sondaggi di volta in volta minacciosi o rassicuranti? La singolarità di un sistema elettorale che non convince nemmeno i suoi fautori? In questo frame sospeso di vita del Paese è, specialmente, tutto questo. Ma certamente è anche pensare che circa un miliardo e mezzo di persone nel mondo non ha accesso all'acqua potabile: questo significa che, essendo l'acqua, come l'aria, la principale fonte di vita insostituibile, il diritto alla vita per centinaia di milioni di esseri umani è oggi severamente negato o, perlomeno, fortemente minacciato. Ed è una minaccia che diviene giornalmente più grave, intollerabile se è vero, come predicono le statistiche, che le persone cui è negato l'accesso all'acqua potabile diventeranno più di tre miliardi nel 2020. Ma, a volte, la politica - e non solo per la contingenza di una campagna elettorale - è distratta dall'immediatezza di altre esigenze. Essa, in generale – e non solo in Italia - stenta a divenire Politica, con una maiuscola di nobiltà che la faccia decollare, davvero, verso una governance dei bisogni. Così, la politica - quella miope ed egoista - appare negligente quando, agli albori di primavera di ogni anno, il 22 marzo, si celebra una Giornata Mondiale dell'acqua che vorrebbe sensibilizzare al pensiero di un paradosso. E cioè di come sia possibile, in un mondo ricco e tecnologico non rammentare - riferiva Kofi Annan nel Rapporto del Millennio - come nessuna singola misura sarà mai più efficace per diminuire le malattie e salvare vite nel mondo in via di sviluppo che il rendere accessibile a tutti acqua sicura ed impianti igienici adeguati. Risorsa abbondante e mal distribuita nel tempo e nello spazio, laddove i pesanti problemi di disponibilità non concernono semplicemente la quantità di acqua utilizzabile bensì la sua qualità, inficiata, talvolta, al punto da comprometterne l'uso per il consumo umano e, addirittura, per quello industriale ed agricolo. La quantità d'acqua rinnovabile, disponibile per persona, diminuisce ovunque ma la causa principale non è climatica: l'impatto umano sugli ecosistemi acquatici ha avuto una accelerazione nell'ultimo mezzo secolo, in parallelo con la crescita demografica e l'aumento dei consumi. La domanda mondiale di acqua è triplicata; un sesto della popolazione mondiale non ha accesso ad acqua sicura, mentre il quaranta per cento della popolazione del pianeta non dispone di servizi igienici adeguati; seimila bambini muoiono ogni giorno per malattie causate da acqua inquinata; acqua non potabile e inadeguatezza igienica sono corresponsabili eziologici dell'80 per cento delle malattie dei paesi in via di sviluppo, nei quali, inoltre, il 90 per cento delle acque reflue viene scaricato senza essere sottoposto ad alcun trattamento. Per contro, la regola definita dalle Nazioni Unite assegna una disponibilità di almeno venti litri giornalieri di acqua per persona, da una fonte presente nel raggio massimo di un chilometro da casa. C'è molta più acqua di quella che servirebbe all'intera umanità (riferiva il Rapporto 2004 su "State of the world del Worldwatch Institute) ma finora sono stati inadeguati sia la volontà politica che l'impegno finanziario per garantire questa risorsa ai poveri del mondo. Così, le Nazioni Unite prevedono che, nei prossimi venticinque anni, due persone su tre non usufruiranno di acqua potabile ed essa potrebbe divenire motivo di conflitto in almeno trecento regioni del mondo. Ma anche nei paesi sviluppati, come l'Italia, l'acqua dolce di buona qualità è diventata un bene sempre più costoso a fronte di una qualità e di un sistema di distribuzione che, in moltissime zone del nostro territorio, rimangono largamente insufficienti. Il contrasto tra le regioni dove la carenza d'acqua resta un problema di vissuto quotidiano e le località in cui gli sperperi –legati ad attività industriali inquinanti, a pratiche agricole intensive, ad usi domestici o privati irragionevoli - si traducono in una "dilapidazione predatrice" del patrimonio idrico comune nazionale e mondiale, è intollerabile. In effetti, già nel settembre del 1998, era stato redatto da un Comitato internazionale, presieduto da Mario Soares, un Manifesto dell'Acqua - proposta centrale del Contratto Mondiale dell'Acqua - cui facevano seguito una serie di iniziative nazionali culminate, nel febbraio del 2005, nel "Manifesto italiano per un governo pubblico dell'acqua". Il documento, decisamente propositivo, sottolinea come, ad oltre dieci anni dall'approvazione della Legge Galli, il malessere idrico italiano non dia alcun segnale di guarigione. Sensibilizzare l'opinione pubblica è tra gli obiettivi prioritari del Comitato che, ribaditi i principi fondativi di una "politica dell'acqua" a livello mondiale, europeo e nazionale, elabora le proposte che, per l'Italia, occorrerebbe porre in essere. Le linee d'azione contemplano una modifica strutturale degli usi allo scopo di "rigenerare il bene acqua" e prevedono una scelta politica forte che consiste nel ripubblicizzare il governo dell'acqua attraverso la definizione di una politica "integrata" e la riorganizzazione di tutte le funzioni, dalla proprietà, alla gestione, al controllo politico per reinventare, infine, un'ingegneria finanziaria del controllo dell'acqua. Suggeriscono, inoltre, di coinvolgere i cittadini in una partecipazione effettiva. In sostanza, il Comitato italiano differenzia l'azione per livelli di intervento e per soggetti: a livello nazionale (nuova Legge quadro inserita nell'ambito, attualmente, della più generale Legge delega in materia di Ambiente) e per competenze regionali, provinciali, comunali fino alla definizione degli obblighi per gli ATO e l'Ente Gestore in house. E lo fa in aderenza con il dettato dell'Unione europea che sancisce le linee guida cui attenersi nel settore delle risorse idriche. Queste prefigurano, in sintesi, l'applicazione del principio di precauzione nonché del principio del "chi inquina, paga"; l'attivazione di una salvaguardia preventiva rispetto alle fonti di inquinamento identificate; l'integrazione della tutela delle acque con le politiche settoriali di pianificazione del territorio e con le politiche produttive quali, in primo luogo, quelle agricole; l'applicazione sistematica del rapporto costi/benefici nella valutazione della fattibilità degli interventi e, in ultimo, il perseguimento del massimo livello di protezione della salute umana.

(k. m.)