Associazione Galileo 2001 per la dignità e la libertà della scienza, Roma 28 marzo 2006: relazione introduttiva del viceministro Nucara/Grazie all'azione fuorviante dei mezzi di comunicazione, gli ogm evocano sentimenti di paura e oscurantismo, che alla fine giungono a mettere sotto accusa l'intero campo della ricerca Una straordinaria opportunità per l'agricoltura e i dubbi della solita demagogia italiana Il Terzo Convegno Nazionale dell'"Associazione Galileo 2001 per la dignità e la libertà della scienza" si è tenuto ieri a Roma, presso il Cnr. Ha aperto i lavori Francesco Nucara, del quale riproduciamo l'intervento. L'argomento del convegno era: "I rischi di una scelta disinformata. Precludersi l'uso degli ogm in agricoltura". di Francesco Nucara "La rivoluzione della scienza moderna" è, assai significativamente, il sottotitolo del libro di Werner Heisenberg "Fisica e filosofia" e ne costituisce, senza alcun dubbio, l'esemplificazione ideale. Il grande fisico tedesco, scomparso nel 1976, intendeva, per la prima volta, sottrarre la propria scienza –e la scienza in generale- all'isolamento al quale il tecnicismo rischiava di confinarla. Consapevole (e, del resto, protagonista, con l'elaborazione della teoria dei quanti insieme al danese Max Bohr per la quale i due scienziati vennero insigniti, com'è noto, del premio Nobel, nel 1932) dei profondi, radicali mutamenti che il cammino della scienza, e le acquisizioni nel campo della fisica in particolare, avevano determinato nel primo trentennio del secolo scorso, Heisenberg era piuttosto pessimista riguardo alle implicazioni del progresso rispetto alla società. Fu il primo a porsi il problema dei rapporti tra la scienza e la società, delle complesse relazioni tra la scienza e l'uomo. Nel 1933 Hitler aveva assunto il potere in Germania: Heisenberg non aderì mai al nazismo e non volle collaborare all'allestimento dell'atomica tedesca. La responsabilità Con il fisico-filosofo si afferma il concetto, semplice e terribile, di responsabilità della scienza. Le promesse stesse contenute nel titolo del suo libro vengono superate laddove il teorico, tra i più autorevoli della scienza moderna, tenta la grande, indispensabile integrazione tra l'essenzialità della scoperta ed il suo rapportarsi alla coscienza e al destino dell'uomo. Ma questo è il problema della nostra epoca. Il rapporto di integrazione o opposizione tra sostanzialità della scoperta ed il suo relativizzarsi al destino dell'uomo di oggi, non è una questione astratta ma è impegno concreto: è il problema quotidianamente sotto i nostri occhi tutte le volte in cui, ad esempio, entriamo in un supermercato. Non sembri irriverente nei confronti di Heisenberg e del suo principio di indeterminatezza, riferire il suo pensiero alla banalità di un supermercato: credo che il migliore onore che gli si possa tributare sia proprio quello di prospettare il suo pensiero quale "criterio di metodo" che possa guidare, come una stella polare, l'odierna riflessione sulla scienza. I meccanismo dello sviluppo Perché, come osserva Luciano Caglioti nel suo saggio appena edito, "I tre volti della tecnologia", sono proprio le biotecnologie a costituire le lenti -tra le più nitide- per evidenziare, oggi, la capacità che la scienza ci sta offrendo di comprendere i meccanismi che regolano lo sviluppo degli organismi viventi e, sulla base di queste conoscenze, di "insegnare" a detti organismi a produrre principi attivi o alimenti utili. In una parola: a rapportare l'essenzialità della scoperta al destino dell'uomo. Per questo, credo che la svolta delle biotecnologie sia la svolta immaginata da Heisenberg: la scienza che, ben affrancata dalla tecnica, riflette filosoficamente sul proprio destino e, dunque, sul destino dell'uomo. Perché riflettere sugli ogm significa, oggi, riflettere sul condizionamento che paure ed oscurantismo esercitano, ad esempio, sulle centinaia di milioni di uomini che annualmente muoiono di fame. Significa scoprire come la manipolazione dell'informazione riguardo agli ogm finisca con l'avere aggio sulla stessa conservazione della vita dei propri simili, vale a dire su quel primordiale sentimento di solidarietà ancestrale e tutta umana, che vuole (da Hobbes a Spinoza) l'uomo dio e non lupo per l'altro uomo. Vuol dire riflessione sull'ingenuo pregiudizio che vede la scienza (confusa con la tecnica) come un potenziale ordigno nelle mani di oligarchie economiche senza scrupoli che attentano al "destino" dell'uomo. Modello di riflessione Ora, tutto ciò, oltre a riportarci l'attualità del nostro fisico-filosofo e della sua intuizione, ci consente un modello di riflessione in cui individuare le due scansioni fondamentali: l'essenzialità della scoperta; la sua integrazione, il suo rapportarsi con il destino dell'uomo. Le biotecnologie rappresentano il substrato ideale di applicazione di un modello consapevole: la svolta radicale di cui esse sono promotrici coinvolge interi settori della biologia, rivoluziona l'agricoltura, sovverte la medicina. In agricoltura, l'imperativo categorico consiste nell'aumentare le rese, diminuire l'uso di pesticidi e fertilizzanti, risparmiare quella risorsa primaria che è l'acqua, garantire la salubrità dei prodotti e tutelare il profitto tanto del singolo imprenditore quanto della globalità dell'economia agraria: obbiettivi, questi, perseguibili con successo con una "pianificazione basata sulla conoscenza dei meccanismi biologici", in una parola, con il ricorso, opportunamente individuato di volta in volta, ad organismi geneticamente modificati. Organismi che, come osserva correttamente il professor Caglioti, vengono rigidamente controllati prima della commercializzazione da agenzie ed accademie indipendenti: nessuno, infatti, pensa che essi siano intrinsecamente "sani". Semmai sorprende che essi vengano da taluni considerati intrinsecamente "nocivi". Questi "organismi su misura" allarmano l'opinione pubblica, suscitano perplessità ed insinuano il sospetto che alla base di molte polemiche possa esservi un problema di interessi. Tuttavia, il panorama di prospettive –non certo "diseconomiche"- che le biotecnologie offrono agli imprenditori agricoli, unitamente ad una più oggettiva valutazione dei costi/benefici, sembrano avere ridimensionato considerevolmente l'atteggiamento di chiuso scetticismo che ha guidato sino ad ora le decisioni e le rivendicazioni del settore. Una ricerca Ritengo, in effetti, abbastanza significativi i dati emersi da una ricerca Eurisko, condotta per conto di Confagricoltura e pubblicata il 5 ottobre scorso, la quale concerne le imprese agricole italiane a confronto con le "percezioni, possibilità e prospettive di sviluppo delle coltivazioni geneticamente modificate". Vorrei sinteticamente considerare con una doverosa premessa. Sappiamo –dagli economisti agrari, oggi ben rappresentati- che il sistema agro-alimentare italiano si caratterizza per almeno quattro aspetti in grado di condizionare pesantemente quella che è una scelta fondamentale: e cioè accogliere ovvero precludersi l'uso di piante geneticamente modificate di prima generazione e, successivamente, in ragione della risoluzione iniziale, di quelle che saranno disponibili in un prossimo futuro. In primo luogo, il sistema è caratterizzato da una forte e strutturale dipendenza dalle importazioni in generale ed in particolare da quelle relative alle commodities agricole, che si è concretizzato, nel 2004, in un saldo negativo complessivo pari a quasi 10 milioni di euro. Il secondo aspetto è dato dalla presenza di alcune significative produzioni di eccellenza che fanno riferimento ai prodotti tipici come, ad esempio, i formaggi o i salumi. Accanto a questo va considerato il ruolo significativo delle produzioni ortofrutticole, pari al 40% del valore della produzione agricola nazionale. In particolare, nell'agricoltura del Mezzogiorno, l'importanza relativa sale al 60%. Ed in ultimo, seppure di prioritaria rilevanza, va sottolineata la costante e progressiva riduzione della superficie territoriale riservata all'attività agricola. E' in questo quadro generale che si inserisce l'indagine condotta da Eurisko che ha esplorato, come dicevo, gli orientamenti delle imprese agricole commerciali italiane in tema di impiego in agricoltura degli ogm. Nessun orientamento prevalente La rilevazione è rappresentativa dell'universo delle imprese agricole commerciali italiane con un fatturato uguale o superiore ai 48.000 euro: circa 88.600 imprese agricole. L'universo considerato nell'indagine copre il 12,3% delle aziende agricole che rappresentano il 47% del fatturato annuo complessivo del comparto; operano sia nel settore tradizionale che nel biologico –per i diversi comparti produttivi- ed appartengono alle diverse organizzazioni sindacali (Confagricoltura 23%, Coldiretti, 43% e Cia,8%). La dimensione media delle aziende era pari a 95 h con 6,4 addetti in media mentre il 78 per cento degli intervistati era titolare/proprietario/socio/contitolare dell'impresa. Ciò che di interessante affiora dall'indagine è che non si evidenzia un orientamento numerico prevalente pro o contro l'uso degli ogm nell'agricoltura italiana. Posizioni contrarie e favorevoli sono risultate sostanzialmente equivalenti, con notevoli aree di incertezza, con valutazioni articolate ed ambivalenti anche in merito alla normativa italiana. La percezione della rilevanza del tema è comunque trasversale a tutti gli indirizzi produttivi ed all'appartenenza alle diverse organizzazioni sicché necessariamente l'agricoltura italiana dovrà confrontarsi con le biotecnologie: ciò richiede una informazione molto più professionale, tecnica ed evoluta di quella sino ad ora invalsa nel dibattito mediatico. Soprattutto una informazione supportata da un'attività di ricerca italiana sufficiente per effettuare scelte consapevoli e responsabili. E' di conforto, a tal proposito, scorrendo i dati, rilevare come su questo aspetto il fronte del no e quello del si, trovino una netta convergenza: nella richiesta, cioè, di dati e di esperienze di prima mano per impostare sia la propria strategia d'impresa che per definire il modello di agricoltura verso cui tendere a livello nazionale. E in Italia? Ma qual è la prospettiva degli ogm in Italia? Questi dati devono improrogabilmente armonizzarsi con lo scenario normativo italiano ed europeo. Il primo aspetto da considerare è come l'apertura alla produzione ogm in Europa sia da considerarsi il nostro prossimo futuro. E' vero che la deliberazione dei ministri europei dell'Ambiente (riuniti a Lussemburgo il 25 giugno scorso) ha respinto, con un voto a maggioranza qualificata, la richiesta della Commissione Ue di abbandono delle moratorie su diverse varietà di colza e di mais proibite in Austria, Germania, Lussemburgo, Francia e Grecia. Ma é altrettanto vero che, anche politicamente, sia difficile che questa moratoria possa avere futuro. Permangono, cioè, i divieti di coltivazione, permane il pregiudizio stolido ad onta dell'accordo pressoché totale della comunità scientifica internazionale circa la sicurezza alimentare ed ambientale della diffusione di ogm. Ma non credo che ciò durerà ancora molto. In ambito europeo. Gli ambientalisti I gruppi ambientalisti invocano a gran voce proprio quel senso di responsabilità che, sovvertito nel suo significato, sta esponendo l'intera collettività ai rischi inevitabili che la mortificazione costante delle acquisizioni della scienza e della corretta divulgazione delle stesse, comporta. La salvaguardia dell'economia del Paese e la tutela della salute stessa dei cittadini, non consentono più da parte dell'esecutivo (quale che sia in un futuro ormai prossimo) il mantenimento di un atteggiamento che si potrebbe definire di circospetta cautela e di riserbo. Ma soprattutto non è più accettabile l'ostilità tanto rabbiosa quanto affatto documentata di chi, strumentalizzando demagogicamente l'emotività collettiva e a dispetto di qualunque rigore scientifico, riscrive, per l'Italia, una storia già vissuta. Sottolineavo, qualche settimana fa, nel corso della Conferenza programmatica del mio partito, come il problema delle biotecnologie risulti centrale nell'ambito di una programmazione sui temi delle risorse energetiche. L'impiego delle biotecnologie in agricoltura dovrà essere preso seriamente in considerazione, anche alla luce delle piante transgeniche che saranno disponibili nei prossimi anni e che apporteranno notevoli benefici ambientali. La scoperta di varietà resistenti alla siccità rappresenta una straordinaria opportunità non soltanto nei Paesi in Via di Sviluppo dove vi è un drammatico bisogno d'acqua per usi civili ed agricoli, ma anche in Italia dove l'agricoltura assorbe il 49-50% delle risorse idriche della penisola. Risparmiare acqua per l'agricoltura e destinarla ad usi civili in quelle Regioni d'Italia dove esiste ancora questo annoso problema è un obiettivo imprescindibile per il nostro Paese. Queste piante ogm resistenti alla siccità avrebbero un impatto ambientale altamente positivo e credo che perfino il dogmatismo ambientalista dovrà rivedere le proprie posizioni su una tecnologia che già oggi garantisce la riduzione di migliaia di tonnellate di pesticidi e, secondo le maggiori accademie scientifiche nazionali ed internazionali, un prodotto di migliore qualità e maggior salubrità. Ma l'innovazione –come dicevo- genera sospetto: la paura atavica dell'ignoto, il pregiudizio che non accoglie la diversità, la circospezione che sconfina nel rifiuto, plasmano sovente l'opinione dei più ed impediscono una consapevole, equilibrata interpretazione dei fatti. Invece, proprio una corretta analisi e una pertinente gestione dei rischi alla luce della quale applicare il Principio di Precauzione costituiscono una ideale direttiva di metodo, atta ad evitare le speculazioni arbitrarie. Perché è fin troppo facile accreditare singoli risultati di volta in volta comodi per la razionalizzazione di interessi di parte, a detrimento di una analisi critica dell'insieme delle acquisizioni scientifiche, baluardo degli interessi della collettività. Orbene, non è affatto scontato il gioco di correlazioni - allorquando si recita l'ingannevole slogan dell' ogm-free come prototipo di qualità – che vuole "sostenibile uguale a biologico"; "biologico", a sua volta, equivalente a "sano e sicuro" e "sano e sicuro" (che vuol dire assente da rischi) coincidente, infine, "con tipico": questa catena (sostenibile = biologico = sano = tipico) non è sempre scientificamente dimostrata. Produzione di qualità non significa, peraltro, abiura di tutto ciò che tipico non è, demonizzazione di ogni sperimentazione e ricerca, magari anche di quella volta a chiarire i possibili inconvenienti per la salute dell'uomo in agguato anche nel prodotto tipico. Le agrobiotecnologie vanno allora poste al servizio della tipicità delle nostre produzioni perché in grado di rimediare al rischio di estinzione di numerose varietà tipiche nazionali. Ci vuole informazione Occorre sfatare, al più presto, con una informazione che invochiamo trasparente almeno quanto gli iter di produzione, la credulità popolare: se le piante gm sono controllate è perché sono pericolose e, dunque, suscettibili di progressive restrizioni. Così non è, e la gran parte dei paventati danni correlati all'uso di ogm, ossequiano esclusivamente una manipolazione della verità dei fatti che, anche in passato, come accaduto per la demonizzazione del nucleare, ha visto l'Italia protagonista di scelte irrazionali, economicamente penalizzanti. Ed allora, occorre affermare, senza timore, una certezza: nessuno è stato finora in grado, pur utilizzando le tecniche più avanzate, di dimostrare la dannosità alimentare degli ogm, né modificazioni rilevanti ad ecosistemi da loro causate. D'altro canto, non esiste un approccio ai complessi problemi dell'agricoltura in grado di garantire soluzioni comunque efficaci e definitive: la via più sicura da percorrere per realizzare un'agricoltura sostenibile (che sia attenta alle necessità dell'uomo e contemporaneamente rispettosa della salvaguardia dell'ambiente, va individuata nell'utilizzazione corretta e trasparente di tutti gli strumenti che la ricerca mette a disposizione. In altri termini, le biotecnologie vegetali non vanno considerate in contrapposizione e cioè alternative rispetto alle metodologie tradizionali di miglioramento genetico delle piante. Esse sono semplicemente una ormai irrinunciabile integrazione di queste. Grande confusione Vorrei concludere questo mio saluto iniziale evidenziando come gli ogm continueranno a costituire sempre un problema e non una risorsa fino a quando non verranno realizzate le necessarie armonie di "livello normativo": fino a quando, cioè, Regioni, Stato nazionale ed Europa la penseranno in modo, tra loro, diverso, realizzando, sotto il profilo della produzione normativa, testi legislativi tra loro incompatibili e, soprattutto, generando una grandissima confusione sotto il cielo. Non sto qui a tediarvi per illustrare le spinte centripete e centrifughe che dominano questo scenario ed il cui annullamento vettoriale spetterebbe alla politica, se non fosse troppo impegnata a denigrare reciprocamente gli avversari, in un campagna elettorale tanto violenta quanto priva di contenuti. Ma tant'è… Mi limito, allora, a sottolineare che questa opera di "cucitura" –cui la politica pare disinteressata- è, giocoforza, realizzata con altri mezzi, evidentemente, dalla Corte costituzionale, a suon di declaratorie di incostituzionalità che ora decapitano la legge statale, ora colpiscono le normative regionali. A testimonianza e conferma che il cammino, per gli ogm, è difficoltoso innanzitutto in sede di accordo sulle competenze. L'ultimo atto di questa vicenda è la recentissima sentenza n. 116 del 2006 della Corte costituzionale, che, pubblicata solo una settimana fa, è già un cult, secondo la moda tutta italiana, di tirare le istituzioni dalla giacca. Questa volta ad essere tirati per la giacca sono i quindici giudici di Palazzo della Consulta: perché chiunque abbia commentato a caldo la pronuncia, non ha mancato di ascrivere a sé la "vittoria" per una decisione che, in realtà, è assai complessa. Così, i rappresentanti istituzionali dello Stato hanno visto nella pronuncia una vittoria sulle Regioni; ma i rappresentanti di queste ultime, a loro volta, hanno ritenuto che ad uscirne sconfitto è lo Stato. In breve: in Italia, a stento solo dopo le partite di calcio si sa chi ha vinto (quasi sempre la Juve…): per tutto il resto, tutti vincono tutto. Profili di violazione La sentenza della Corte Costituzionale ha ad oggetto il ricorso, notificato il 22 marzo 2005 dalla Regione Marche e depositato il 30 marzo 2005, relativo agli articoli 1, 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279 (Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica), nel testo convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5. Fondamentalmente, la Regione Marche aveva segnalato due principali profili di violazione di legittimità costituzionale. Il primo concerneva l'inesistenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza quale presupposto della decretazione di urgenza, mentre il secondo denunciava la violazione delle competenze esclusive della Regione medesima. La Corte ha ritenuto, innanzitutto, non fondata la questione di illegittimità in merito alla decretazione di urgenza. I requisiti per la decretazione di urgenza sono stati, cioè, ritenuti sussistenti dal Giudice delle leggi. Secondo la Corte, infatti, sussisteva la necessità di superare con immediatezza la situazione prodotta dalla vigenza di diverse leggi regionali che prescrivevano, in termini più o meno rigorosi, il divieto di impiego, ovvero l'obbligo di attenersi a particolari limitazioni di impiego, degli ogm autorizzati dall'Unione europea. Tale situazione, peraltro, si poneva assolutamente in contrasto con la raccomandazione 2003/556/CE della Commissione europea sulla coesistenza delle colture, che, seppur atto non vincolante, autorizzava comunque l'impiego, nella produzione agricola, di ogm, purché autorizzati. Inoltre, la decisione 2003/653/CE della Commissione sul caso dell'Austria Superiore, aveva confermato la necessità e l'urgenza dell'adozione di un testo normativo che eliminasse o riducesse una situazione di evidente contrasto con il diritto comunitario e consentisse di avviare, pur nel doveroso rispetto delle competenze regionali, un procedimento di attuazione del principio di coesistenza tra colture, con la celerità imposta dall'imminenza della campagna di semina. Anche la questione di illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 è stata ritenuta, dalla Corte, infondata. Tali disposizioni, nel fornire una definizione di colture transgeniche, biologiche e convenzionali (art. 1) e nell'affermare il principio di coesistenza di tali colture in forme tali da "tutelarne le peculiarità e le specificità produttive", sono espressive della competenza esclusiva dello Stato nella materia "tutela dell'ambiente" nonché della competenza concorrente nella materia "tutela della salute". La competenza dello Stato di stabilire il principio di coesistenza ha una valenza peculiare : esso infatti – come scrivono i giudici in sentenza- vale a ribadire implicitamente la liceità dell'utilizzazione in agricoltura degli OGM autorizzati a livello comunitario. In parole più semplici: riconoscere allo Stato il potere di affermare il principio di coesistenza tra colture significa determinare, per incompatibilità, l'abrogazione di tutte quelle normative regionali contenenti divieti e limitazioni in tema di coltivazione di ogm. Sotto questo aspetto, la sentenza ha un'enorme importanza di principio, ribadendo che nessuna Regione può "chiamarsi fuori" dal principio di coesistenza affermato dallo Stato e non potrà fregiarsi, in via di principio, di quello che, in tempi recenti è divenuto uno spot, ingannevole come solo la pubblicità sa esserlo: Regione OGM free. Non che di fatto una Regione non possa esserlo: ma non spetta alla Regione stabilirlo come principio. Infatti, la formulazione e la specificazione del principio di coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali, rappresenta il punto di sintesi fra i divergenti interessi costituiti, per un verso, dalla libertà di iniziativa economica dell'imprenditore agricolo e, d'altro verso, dall'esigenza che tale libertà non sia esercitata in contrasto con l'utilità sociale ed, in particolare, recando danni sproporzionati all'ambiente e alla salute. È, invece, per la Corte, fondata l'illegittimità costituzionale degli articoli 3, 4, 6, comma 1 e 7 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, in quanto tali norme limitano le prerogative regionali esclusive. La produzione di vegetali ed animali destinati all'alimentazione costituisce il nocciolo duro della materia agricoltura (essenza del significato del termine agricoltura altrimenti multifunzionale) che è indiscutibilmente competenza esclusiva delle Regioni. A chi va ascritta la competenza una volta identificato il "nocciolo duro? L'esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni per disciplinare le modalità di applicazione del principio di coesistenza nei diversi territori regionali, ricade ampiamente nell'ambito del nocciolo duro della materia agricoltura ed è quindi riferibile alla competenza delle Regioni. In particolare le "norme quadro per la coesistenza" da emanarsi con un atto statale (art. 3) e lo sviluppo ulteriore di queste "norme quadro" tramite piani regionali di natura amministrativa (art. 4) impediscono l'esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni per disciplinare le modalità di applicazione del principio di coesistenza. Neppure appare giustificabile la creazione di un nuovo organo consultivo statale, strettamente strumentale all'esercizio dei poteri ministeriali di cui all'art. 3 (art. 7). Tali disposizioni devono pertanto essere dichiarate costituzionalmente illegittime. Articoli illegittimi L'articolo 6 comma 1, che prevede sanzioni amministrative è a sua volta illegittimo, dal momento che la regolamentazione delle sanzioni amministrative spetta al soggetto nella cui sfera di competenza rientra la disciplina della materia a cui sono riferibili le sanzioni. La dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 5, commi 3, 4 ed 8 è derivata dall'accertamento delle competenze esclusive delle Regioni in materia. In particolare, è dovuta al fatto che tali articoli si pongono in nesso inscindibile con le norme ritenute illegittime, con particolare riferimento alle "norme quadro" statali di cui all'art. 3 del decreto-legge n. 279 del 2004 ed ai piani di coesistenza regionali di cui all' art. 4. In conclusione, attualmente le norme che continuano ad operare nell'ordinamento giuridico sono i soli articoli 1 e 2 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279 nel testo convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5. Gli altri articoli, dichiarati illegittimi, sono da considerarsi privi di qualunque effetto giuridico e non vincolanti a partire dal giorno dopo la pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale. E voglio davvero chiudere il mio intervento con le parole del Prof. Veronesi, che così scrive: "L'ignoranza e la mancata consapevolezza del bene e del male non possono più costituire un alibi per l'uomo del terzo millennio. Non possiamo fare a meno del bene e della vita. La più lunga e migliore possibile. Soprattutto dobbiamo allargare gli orizzonti della conoscenza. Sconfiggere l'ignoranza dev'essere l'impegno primario, perché l'ignoranza non dà alcun diritto, né a credere né a non credere". |