Il blitz anti Enel prefigura una vera e propria guerra economica/Oltre il singolo caso ciò che preoccupa maggiormente è il clima diffuso in tutta la Ue E intanto gli euroscettici sono tutti contenti Come nel famoso fumetto di Goscinny e Uderzo, Asterix (Dominique de Villepin) sta difendendo il proprio villaggio sbeffeggiandosi dei romani (Tremonti e Scajola). L'operazione condotta sotto la regia del governo francese di fusione tra la SUEZ (impresa privata) e la Gaz de France (impresa pubblica) può essere considerata un vero blitz anti Enel. Prepariamoci ad un'escalation di ritorsione e di difesa, con buona pace del libero mercato e della concorrenza: una vera e propria guerra economica, di fatto già in atto, che non lascia intravedere nulla di buono. Ma a preoccuparci maggiormente non è il caso specifico, che tra l'altro ha i contorni non ben definiti, considerando che l'ENEL non aveva, e non ha, ancora lanciato un'OPA nei confronti della SUEZ. A preoccuparci è indubbiamente il "clima" che si respira in Europa. Stiamo infatti vivendo un periodo non proprio felice. Andando a ritroso: la storpiatura dell'essenza liberale e innovativa che ha subito la direttiva Bolkestein, i problemi per l'approvazione del bilancio europeo, la mancata ratifica della Costituzione da parte di francesi e olandesi, l'allargamento a venticinque (fatto in sé positivo, ma che ha portato nuova instabilità), l'entrata in vigore di una moneta unica senza un adeguato governo, parametri che in situazioni di crisi strangolano l'economia dei singoli Stati. Ed ora? Si profilano all'orizzonte neo protezionisti, paladini di un'italianità retaggio della mentalità provinciale della nostra classe politica. E a destare allarme sono innanzitutto le espressioni usate da un illustre ex Presidente della Commissione europea, che va vantando il merito di aver fatto entrare l'Italia in Europa, e che ora propone misure dure perché "non possiamo solo essere prede". Mentre il Governo si appella alla Commissione in nome della reciprocità. Ora, ma come è possibile che non ci si renda conto che tali posizioni rendono, di fatto, impossibile il prosieguo del cammino dell'Unione Europea? Siamo ancora vincolati dalla (vecchia) convinzione che proteggendo i singoli mercati nazionali si possa incoraggiare la crescita e la ricchezza delle singole nazioni? Stiamo assistendo al fallimento dell'Europa, con grande soddisfazione da parte degli euroscettici. Noi Giovani Repubblicani condanniamo in modo fermo questa situazione lontana dallo spirito che dovrebbe unire gli Stati europei. Come dicevamo, tutta questa vicenda è sintomatica di quale animo domini l'Europa e non può non farci porre ulteriori interrogativi. Il problema dell'Europa è, infatti, quella cultura, dura da sconfiggere, dell'intervento pubblico (da una parte) e del sospetto che circonda il libero mercato (dall'altra). Il liberalismo, infatti, non sta per nulla guidando la costruzione dell'Europa. Quello che noi ci domandiamo è quando si inizierà a guardare al mercato e alla libera concorrenza in termini benefici, quasi salvifici, per la società. Perché se tornano dazi e barriere alle frontiere si soffoca l'unico barlume di speranza per la nostra stanca economia europea. Uccidendo la concorrenza con la mano pubblica si uccide, infatti, la speranza di innovazione e progresso, di crescita sociale e di aumento della ricchezza. Inoltre, non vanno sottovalutate neanche altre considerazioni, evidenziate in un intervento anche da Angelo Panebianco sul Corriere del 1 marzo: il protezionismo, a differenza del libero scambio, è foriero di rivalità anche in campo politico il che di certo non aiuta la pacifica convivenza tra le nazioni. A nostro avviso, i principi del libero mercato e della concorrenza devono assumere primaria importanza e essere considerati fondamentali in quanto connaturati all'essenza stessa del nostro modello sociale, se non si vuole imboccare la via del declino. Il liberalismo, infatti, non è solo una concezione economica ma è una "visione-del-mondo", in cui l'azione di governo deve limitarsi solo a favore di coloro che non possono, per dirla con Hayek, guadagnarsi da vivere, per varie ragioni, in un'economia di mercato. Tutti gli altri interventi sono distorsivi del libero dispiegarsi delle forze del mercato e quindi causa di inefficienza e, conseguentemente, di declino economico e sociale. Ricordiamo Ugo La Malfa: "Se i governi, le forze politiche ed i sindacati agiscono sul modo capitalistico di produzione, in maniera da…non ridurre l'efficienza, il rendimento produttivo…la società nel suo complesso progredisce. Se i governi, le forze politiche, i sindacati, condizionano il modo di produzione capitalistico, al di là dei pesi che il sistema può sopportare, non entra in crisi il modo capitalistico di produzione, ma la società nel suo insieme che quello strumento non ha saputo utilizzare" (Milano, 4 febbraio 1979). E' ora di sconfiggere questa cultura, altrimenti, distruggendo, come si sta facendo, il libero mercato, "la più importante istituzione spontanea che la società abbia mai prodotto"(Hayek), noi europei ci auto condanneremo. Giovanni Postorino, Segretario Fgr Fulvio Giulio Visigalli, Resp. Economico Fgr |