Un commento sul Pri del Lazio

Il simbolo che non c'è: è l'ora di aprire un dibattito serio e leale

Ha certamente ragione l'anonimo articolista della "Voce", il quale, sabato 11 marzo 2006, esaminando la situazione del PRI del Lazio, alla luce della mancata presentazione delle liste per il Senato, l'ha definita qualcosa di incredibile.

Mi permetto di aggiungere che essa rappresenta anche un qualcosa di più grave e vergognoso sul piano politico: aver fatto sparire dalle elezioni nella nostra regione il nostro simbolo, per la difesa del quale molti di noi hanno lottato in tutti questi anni, inghiottendo spesso amarezze, insulti, incomprensioni di ogni tipo; arrivando, a volte, anche a fare violenza ad alcuni dei nostri tradizionali valori, in nome, appunto, di alleanze elettorali necessarie per salvare l'Edera.

Un fatto grave ed inaudito, che deve aprire, a mio giudizio, nell'intero Partito del Lazio, un dibattito coraggioso, franco e leale, senza infingimenti, senza pietismi e con l'assunzione da parte di tutti delle responsabilità che a ciascuno competono.

E allora cerchiamo di capire le ragioni di questo fallimento. In primo luogo, è certamente da condannare il disimpegno o, come scrive l'articolista, il "ricatto" di qualcuno, che trovo anch'io inaccettabile e da stigmatizzare senza appello.

Ma mi viene in mente un'altra serie di considerazioni: come è possibile che nella mia piccola città, Rieti, si riesca in soli tre giorni a raccogliere 750 firme, che Tarquinia e altri centri minori ne raccolgano altre 300, mentre una città e una Provincia come Roma, con milioni di abitanti, non riescano ad andare oltre poche centinaia di firme? Dov'erano i componenti del Consiglio nazionale, delle varie direzioni regionali, provinciali e dell'Unione romana, sempre pronti a "sgomitare" per entrare negli organismi dirigenti? Dov'erano i prestigiosi componenti della Direzione nazionale del Partito residenti a Roma e nel Lazio? Dov'erano tutti quelli presenti alla recentissima riuscita conferenza programmatica del Partito?

E allora mi sorge il dubbio legittimo che la maggior parte di costoro si faccia vedere solo quando si tratta di "apparire" e non di essere al servizio del Partito e che non abbia alcuna voglia di fare il lavoro oscuro e difficile del militante di Partito sul territorio; che è e resta lo strumento principale per ottenere il consenso elettorale, oggi con la raccolta delle firme, domani nelle varie elezioni con il voto.

Se questa è la situazione, che cosa fare per non rendere ancora più asfittico il Partito del Lazio? Occorrono, a mio giudizio, alcune condizioni irrinunciabili: 1) costruire un progetto politico per la nostra Regione, come è nella tradizione repubblicana; 2) ripartire, con umiltà, dalla base; 3) ritessere, ove ne esistano le condizioni, e in molte zone del Lazio ciò è ancora possibile, un rapporto politico-organizzativo leale e costante tra centro e periferia; 4) far funzionare correttamente gli organismi eletti dai congressi; 5) ridisegnare compiti e impegni, diritti e doveri da parte di tutti gli iscritti; 6) rispettare sul piano politico le alleanze locali.

Credo che questo possa essere un tentativo per cercare di riportare la scialuppa repubblicana a galla e possa rappresentare un percorso da costruire tutti insieme. E' per questo che mi aspetto che si apra un ampio dibattito tra gli iscritti del Lazio.

Io, comunque, continuo a essere ottimista e ad avere un grande immutato amore per il PRI, al quale ho dedicato più di cinquant'anni della mia vita e che continuo ad amare. Un Partito che, per una scelta codarda, sciagurata e irresponsabile di molti amici o pseudo amici, non potrò votare a queste elezioni.

Ettore Saletti, componente Direzione nazionale Pri