Applicare l'art. 47 della Costituzione/Necessario l'intervento del Tesoro

Obbligazioni argentine e ruolo delle banche

di Vincenzo Giarmoleo

Come è noto, a partire dal 1° gennaio 2002 la Repubblica Argentina ha dichiarato ufficialmente la sospensione della corresponsione delle cedole, ovvero del rimborso dei titoli in scadenza, ai portatori di quote del debito pubblico argentino emesso e collocato anche all'estero.

I risparmiatori italiani coinvolti nella vicenda, privati sia delle cedole sia della possibilità di riscattare il capitale investito in bond argentini, sono, secondo fonti attendibili, circa 350.000.

Molti di loro hanno scelto la strada suggerita dall'Abi, ovvero una delega non vincolante per la negoziazione del debito al Comitato di Tutela degli investitori in titoli argentini appositamente costituito, presieduto dal Dott. Nicola Stock.

La proposta avanzata ufficialmente il 22 settembre a Dubai dal Governo di Buenos Aires è irrisoria. Si parla del rimborso di una somma inferiore al 25% del valore nominale dei bond (somma che corrisponde approssimativamente al valore delle cedole maturate dalla data della sospensione sino ad oggi). L'ultima proposta prevede addirittura la restituzione di somme inferiori al 10% del debito.

Altri risparmiatori italiani hanno preferito le vie legali, esperite sia nei confronti delle banche (colpevoli di non aver avvertito i propri clienti poco propensi al rischio della forte alea connessa all'acquisto dei bond, classificati B1 da Moody's già nel novembre del 2001) sia direttamente nei confronti del Governo emittente. Attualmente, i sequestri cautelari sui beni della Repubblica Argentina ottenuti dai risparmiatori attendono di trasformarsi in pignoramento; ma ciò potrà avvenire soltanto al termine di un giudizio civile di incerto esito.

Altri ancora si sono rivolti alla magistratura americana. La legislazione dello stato di New York consente infatti di ottenere più rapidamente un provvedimento esecutivo sui beni dello Stato argentino non legati alla sfera dei poteri sovrani.

Il Governo italiano non ha ancora avanzato una proposta ufficiale. L'Onorevole Mario Baccini, sottosegretario agli esteri, a titolo personale ha recentemente suggerito il riacquisto da parte del Tesoro dei bond argentini posseduti dai risparmiatori italiani. Secondo la stampa, l'idea sarebbe invisa ai tecnici di Palazzo Chigi, che preferirebbero coinvolgere nel negoziato gli altri paesi europei interessati (soprattutto Francia e Germania), proponendo allo Stato argentino aiuti commerciali in cambio del miglioramento del piano di rimborso dei bond. Quest'ultima soluzione è condivisa dal Comitato presieduto dal Dottor Stock, ma non dal Ministro per le Politiche Agricole, On.le Gianni Alemanno, che ha sollevato perplessità sul piano concorrenziale.

Questo oggi è, per sommi capi, lo stato dei fatti.

La nostra opinione è che la soluzione del dilemma debba essere trovata partendo da una norma sinora rimasta fuori dalla scena: l'articolo 47 della nostra Costituzione, che recita testualmente, nel primo inciso del primo comma: "La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme".

L'articolo 47 della Costituzione è stato inserito nel Titolo III della Carta, dedicato ai rapporti economici, ed è norma contenente – così come gli articoli 42 e seguenti - una ulteriore specificazione del principio di politica economica secondo cui occorre rendere accessibile a tutti la proprietà ed aiutare quella piccola e quella media. Non avendo la norma espressamente definito l'organo (o gli organi) cui competa governare sul risparmio, si è detto a ragione che il generico riferimento alla "Repubblica" celasse l'intento del Costituente di prendere atto dell'assetto disciplinato dalla vigente legge bancaria del 1936, che conferisce alla Banca d'Italia e al Suo Governatore una posizione di particolare rilievo in materia.

Parimenti importante è la scelta del termine "in tutte le sue forme", che non lascia dubbi sulla necessità di includere, in una definizione di risparmio che tenga conto dell'evoluzione della realtà economica, tutti i prodotti finanziari che le banche e gli istituti di intermediazione finanziaria offrono e suggeriscono ai risparmiatori in alternativa ai depositi di conto corrente o agli obsoleti libretti di risparmio, i cui tassi di rendimento sono da tempo ben al di sotto della soglia inflazionistica e dunque inidonei a svolgere la funzione tipica del risparmio; vale a dire, come minimo, garantire la possibilità di preservare nel tempo il potere d'acquisto del denaro accantonato dai risparmiatori a salvaguardia delle future necessità.

Ma che cosa legittima e rende indifferibile, oltre che politicamente, anche giuridicamente, l'intervento delle nostre Istituzioni a difesa e tutela dei risparmiatori gabbati? Accanto alla tutela costituzionale del risparmio, è l'atteggiamento stesso dello Stato argentino, che ha voluto ritagliarsi nella vicenda un duplice ruolo: infatti, al momento della collocazione dei bond presso i risparmiatori, facendosi pagare un prezzo per i titoli, ha contratto iure privatorum nei loro confronti un debito, assoggettato al diritto delle obbligazioni.

Con la dichiarazione ufficiale della sospensione del debito, invece, ha solennemente indossato la divisa ed ha agito iure imperio. Comodo, ma giuridicamente incoerente.

Delle due, l'una: o l'Argentina ha stipulato con l'acquirente-risparmiatore una obbligazione soggetta alle regole del diritto civile, che prevedono l'obbligo del debitore di adempiere, salvo sopravvenuta impossibilità della prestazione non a lui imputabile (e un default finanziario, come è ovvio, non rientra in questa fattispecie) e conseguentemente la possibilità – in caso d'inadempimento - di adire una Corte allo scopo di farsi riconoscere il proprio diritto, come già è stato fatto; oppure, trattandosi di un debitore "in veste ufficiale" (uno Stato estero), che oltretutto tecnicamente non può fallire, occorre riconoscere al creditore-cittadino una tutela più ampia, che soltanto lo Stato d'appartenenza può assicurargli, con un intervento d'imperio a salvaguardia di diritti costituzionalmente tutelati.

Occorre quindi conferire alla dichiarazione ufficiale di sospensione del debito proclamata dallo Stato argentino un valore giuridico, oltre che politico, dal quale scaturiscano coerenti conseguenze e reazioni (iniziative di tutela) da parte dello Stato italiano, che finora è ufficialmente rimasto silente. Ecco perché il problema tango-bond va affrontato in tempi rapidi, mediante l'intervento risolutore delle nostre più alte cariche istituzionali. E va affrontato - a nostro avviso - seguendo la strada più semplice ed efficace: vale a dire, il riacquisto da parte del Tesoro dei titoli argentini posseduti dai risparmiatori italiani.

Ciò oltretutto consentirà più ampi margini politici alla trattativa e dunque maggiori possibilità di successo al Governo italiano, che negozierà per proprio conto e nel proprio interesse, una volta soddisfatti i cittadini danneggiati, proprio perché il negoziato non sarà più vincolato al gradimento di questi ultimi.

Nella vicenda dei bond argentini è opportuno poi focalizzare l'attenzione sul ruolo e sulle responsabilità degli attori apparsi sulla scena.

Cominciando dalle banche, che hanno suggerito ai risparmiatori (singoli cittadini, spesso con scarsa attitudine al rischio) e agli investitori non professionali (giovani imprenditori e aziende di piccolo e di medio calibro, enti privati di ogni genere, casse di previdenza, fondazioni etc.) l'affare del secolo, ovvero l'acquisto dei bond argentini con cedole semestrali a tasso fisso, superiore al dieci per cento.

Questi titoli, in molti casi, sono stati acquistati dai risparmiatori a 110/115, fatto 100 il valore nominale, quindi con una maggiorazione di prezzo pari al 10-15%.

Il peggio è che le Banche e gli Istituti di intermediazione finanziaria hanno continuato a caldeggiarne l'acquisto anche quando erano perfettamente consapevoli del rischio che avrebbero fatto correre ai propri clienti.

Tant'è che molti Istituti di credito hanno riscattato in tempi decisamente anteriori alla sospensione del debito gran parte dei propri capitali investiti in bond argentini.

Continuando a tacere, tuttavia, sul pericolo incombente.

In questo scenario, perciò, le banche sono senz'altro protagoniste quali portatrici di interessi legittimi (i propri proventi finanziari, sotto forma di commissioni, perseguiti a danno dei clienti e in barba alla fiducia da essi riposta).

Co-protagonisti, ovviamente, sono i risparmiatori italiani. I quali tuttavia, a differenza degli Istituti di credito, non sono soltanto, sul piano giuridico, portatori di legittimi interessi: chi ha acquistato le obbligazioni argentine non può essere privato sia del diritto soggettivo all'adempimento integrale dell'obbligazione assunta dallo Stato Argentino nei suoi confronti sia dell'ombrello costituzionale a tutela del risparmio, sol perché, nel caso di specie, il debitore è uno Stato sovrano.

Sul piano pratico, inoltre, non è pensabile che la scelta del risparmiatore di acquistare i bond argentini sia stata autonoma e pienamente consapevole, essendo questi per lo più a digiuno dei meccanismi economici e finanziari e delle nozioni ed informazioni necessarie a valutare adeguatamente l'opportunità dell'acquisto dei titoli.

Quest'ultimo è il compito tipico delle banche e degli intermediari finanziari, che viene svolto su incarico espresso del cliente ed è anche ben retribuito, soprattutto nel caso di specie, trattandosi di una tipologia di operazione che soltanto gli operatori specializzati avrebbero potuto proporre.