Banca e Industria/La Malfa: rivedere le regole sulla presenza dell'impresa negli istituti di credito

"Limiti più chiari negli incroci"

"Nessuno pensa di vietare l'ingresso dell'industria nel capitale delle banche ma bisogna evitare che questo provochi le fratellanze siamesi tra banche e imprese che giustamente Raffaele Mattioli denunciava". Il presidente della Commissione Finanze, Giorgio La Malfa, si prepara a presentare un'iniziativa di legge che non mancherà di far discutere e che, a dieci anni dalla sua nascita, punta a correggere il Testo unico bancario (Tub). Con l'obiettivo di ridefinire e rendere è più trasparenti i controversi rapporti tra banche e imprese, ma senza mandare in soffitta la banca mista. Ecco perché.

Presidente, nei giorni scorsi lei ha manifestato molte perplessità sulla corsa degli industriali verso l'azionariato delle banche. Perché?

Quando sento dire che gli imprenditori fanno la coda per entrare nel capitale delle banche mi chiedo sempre il perché e mi domando se non sia il caso di capire meglio come nasce e dove porta questo tipo di investimenti finanziari.

Soprattutto negli ultimi tempi investire in banca s'è rivelato in molti casi un ottimo fare.

Se è così nulla da eccepire, ma è legittimo il dubbio che non sempre l'investimento in banca sia così redditizio e che allora la ragione dell'ingresso di imprenditori non finanziari nel mondo del credito abbia altri fini e possa determinare legami patologici su cui riflettere.

Perché? La partecipazione dell'industria al capitale della banca non è già regolata dal Testo unico bancario?

Non è in discussione l'ingresso dell'industria nelle banche, ma bisogna vedere bene quali sono i rapporti che si instaurano fra le banche e l'industria. Per esempio, se l'impresa ottiene per via del rapporto che si è creato una mole di finanziamenti superiore a quella che un ragionevole giudizio bancario meriterebbe o se, in un altro caso, l'acquisto delle azioni avviene con finanziamenti messi a disposizione dalle banche proprio perché le imprese acquistino le azioni è del tutto evidente che si creano situazioni non sane. In particolare, nel secondo caso, non è più chiaro chi è il controllore e chi il controllato.

Le risulta che sia successo?

Non lo so, ma proprio per questo è essenziale fare luce sui finanziamenti delle banche ai loro soci e rafforzare le norme vigenti del Testo unico per rendere più trasparenti i rapporti tra banche e imprese senza dimenticare mai le esperienze negative del passato.

In che senso?

Nel senso che la prudenza non è mai troppa e che il ricordo della grande crisi bancaria degli anni Trenta è sempre prezioso, anche se la situazione di oggi è diversa e l'ingresso di capitale industriale in banca è stata l'unica via possibile per privatizzare le banche pubbliche. Sarebbe, perciò assurdo tornare indietro, ma resto convinto che l'assetto ideale per i nostri istituti di credito sia quello della public company e che ogni sforzo in questa direzione vada incoraggiato.

Anche con nuove iniziative di legge?

Sarebbe interessante promuovere un'indagine parlamentare sul Tub a dieci anni dalla sua nascita ma se questo si rivelasse un obiettivo politicamente impraticabile o troppo complesso, non mancherà un'iniziativa legislativa che sto preparando in questi giorni e che spero possa essere condivisa da esponenti sia della maggioranza che dell'opposizione per ridefinire i rapporti tra banca e impresa.

La sostanza quale sarà?

Per rendere più trasparente la partecipazione dell'industria negli istituti di credito di possono studiare due alternative. Un'ipotesi prevede norme che fissino più precisi limiti quantitativi e qualitativi nel finanziamento di una banca ai suoi soci e il conseguente divieto agli azionisti che superano una determinata soglia di indebitamento di entrare nel consiglio d'amministrazione e negli eventuali patti di sindacato della banca stessa. Una seconda ipotesi, perfettamente integrabile con la prima, postula invece un rafforzamento del controllo degli organi di vigilanza sui finanziamenti bancari ai soci.

Ma il modello del salotto buono con la partecipazione di soci finanziari e industriali al capitale bancario non è quello che ha accompagnato la storia di un'istituzione di successo come Mediobanca dopo la sua privatizzazione?

Infatti nessuno vuol mettere in discussione i salotti della finanza, ma forse è tempo di migliorarne le regole.

Franco Locatelli "Il Sole 24 Ore" 4 novembre 2003