La Calabria e il suo storico rapporto assai conflittuale con una risorsa preziosissima: l'acqua/E' assolutamente indispensabile il riordino delle modalità di approccio al problema delle infrastrutture idriche e della loro gestione

Analisi del paradosso di una delle Regioni più ricche di precipitazioni

Intervento presentato al convegno "Il servizio idrico in Calabria", Reggio Calabria, 28 novembre 2005.

di Francesco Nucara

La Calabria, una delle regioni più ricche di precipitazioni, ha sempre avuto un rapporto conflittuale con l'acqua. Gli abbondanti apporti naturali sono concentrati nelle aree centrali montuose a quote elevate (che li determinano intercettando le correnti di aria umida atlantica che attraversano il Tirreno) ma precipitano rovinosamente a valle lungo i solchi a forte pendenza che incidono terreni geologicamente instabili e finiscono con scaricare enormi volumi d'acqua e detriti sulle poche aree pianeggianti costiere dove necessariamente si sono concentrate le attività produttive (agricoltura e industria) e residenziali. Ne è sorto un eterno conflitto fatto di arginature e canalizzazioni spesso travolte dalle piene. I torrenti hanno un regime di portata coincidente con gli eventi piovosi e, quindi, sono per lo più asciutti durante il lungo periodo estivo senza piogge in pianura; le acque sotterranee restano così l'unica risorsa per le aree produttive ed urbanizzate delle pianure costiere.

Degrado qualitativo

Ad esse, a seguito dello sviluppo (seppure di gran lunga più contenuto di quello programmato dalla Cassa per il Mezzogiorno) si è fatto ricorso in modo massiccio ed indiscriminato che ha determinato il degrado qualitativo e quantitativo della maggior parte di questi corpi idrici: residui delle attività agricole, presenza di discariche non controllate ed intrusione salina sono i principali fattori di inquinamento delle falde. L'intrusione marina, favorita dal fatto che si tratta sempre di falde alluvionali a diretto contatto con il mare, sta assumendo le caratteristiche di una vera catastrofe ambientale. Le zone della costa ionica più a rischio sono le piane di Sibari e di Cariati – Crotone; sul versante tirrenico le zone più esposte sono le piane di Gioia Tauro e di S. Eufemia, l'area dello stretto di Messina ed in particolare la provincia di Reggio Calabria. La causa è sempre l'eccessivo sfruttamento associato agli effetti delle impermeabilizzazioni e canalizzazioni connesse alla urbanizzazione che hanno diminuito le possibilità di ricarica, facendo superare il limite della sostenibilità, che per falde di questo tipo è rappresentato dall'equilibrio fra gli apporti e i prelievi.

Politiche scriteriate

Molto acuto è il problema irriguo: le scriteriate politiche di sostegno all'agricoltura hanno generato enormi fabbisogni di acqua: l'irrigazione, ancora oggi, in gran parte è di tipo autonomo aziendale con prelievo dai pozzi. Nella sola piana di Sibari dalla fine degli anni '70 ad oggi si è passati da 500 – 1000 pozzi a 5.000 – 6000 pozzi. Una delle situazioni più gravi è quella della falda di Reggio Calabria, utilizzata per l'approvvigionamento potabile della città: si stima un prelievo di oltre 30 Mmc/anno di cui almeno 10 sono utilizzati per l'acquedotto della città. La qualità è arrivata a limiti intollerabili per il consumo umano. La Cassa per il Mezzogiorno che aveva valutato la insufficienza delle risorse locali per il progetto di sviluppo che aveva programmato, decise, con il Progetto Speciale n. 26, di disegnare un nuovo assetto delle infrastrutture idriche, basato su grandi schemi idrici ed acquedottistici alimentati dalle risorse più montane, sorgenti o corsi d'acqua regolati mediante invasi artificiali. Il prelievo dalle falde era visto come una soluzione temporanea in attesa della realizzazione degli invasi artificiali.

Intervento interrotto

L'interruzione dell'Intervento Straordinario ha lasciato incompiuto quel disegno: si fece in tempo a realizzare quella rete di grandi acquedotti c.d. "schemi regionali" che su un totale di circa 392 Mmc/anno prodotti per l'uso potabile dell'intera regione, ne forniscono 248 Mmc/anno (il 63%). Rimasero incompiute le grandi dighe che, aggiungendosi agli schemi idroelettrici realizzati dalle società elettriche SME poi ENEL, avrebbero dovuto alimentare gran parte di questi acquedotti e le reti irrigue consortili. Fra opere di invaso sospese o comunque non utilizzate si raggiunge una capacità di raccolta di circa 375 Mmc a fronte del totale di 725 Mmc dei quali erano già in esercizio 276 Mmc per gli usi idroelettrici. Dal punto di vista infrastrutturale, la Calabria presenta un indice di dotazione infrastrutturale delle risorse idriche che si attesta sul valore di 17,3 (Italia = 100 e Mezzogiorno = 46). Nella Regione, infatti, si presentano tuttora diversi problemi sulla rete idrica insufficiente a fronteggiare le esigenze della popolazione. Le perdite nelle reti, infatti, risultano abbastanza elevate, come nel resto del Mezzogiorno. I valori stimati per le diverse province si attestano tra il 21% e il 45%, con un valore medio del 35% a cui si aggiungono le perdite nel sistema di adduzione e trasporto extraurbano.

Quali sono i presupposti

E' evidente che la realizzazione di queste opere ed il completamento degli schemi acquedottistici ed irrigui costituiscono uno dei presupposti essenziali per ricondurre entro i limiti della sostenibilità il prelievo dalle falde. Invece, contro la prosecuzione delle attività per completare ed attivare gli invasi abbiamo dovuto scontrarci contro un ambientalismo preconcetto e miope. E' vero, però, che alcune di quelle opere, progettate con un certo "gigantismo" che caratterizzò l'epoca della Cassa per il Mezzogiorno, avulso dalle questioni strettamente ambientali, avevano bisogno di essere "compatibilizzate" con il territorio che le deve accogliere. Per questo sono state estremamente utili le procedure di VIA cui le opere sono state sottoposte; mi riferisco alla diga sull'Alaco e a quella sul Menta, che hanno permesso di individuare il giusto equilibrio fra le stringenti esigenze dello sviluppo del territorio e della tutela delle falde di valle e i vincoli di tutela di patrimoni ambientali unici, come nel caso del parco dell'Aspromonte. Questo equilibrio si è potuto individuare, limitando le opere allo stretto indispensabile e prescrivendo rigorosi interventi di mitigazione ambientale e di monitoraggio. Certo, si sarebbe dovuto procedere con maggiore razionalità, forse si sarebbe potuto evitare l'adozione di drastici provvedimenti di emergenza per assicurare l'acqua potabile ai reggini mediante il desalinizzatore; ma, alla fine il nostro impegno è stato ripagato. Fra pochi mesi avremo l'acqua desalinizzata e, fra due o tre anni, finalmente, arriverà l'acqua del Menta! Lo stesso dovrà avvenire per le altre dighe ancora in discussione, come quella sull'Alto Esaro (anche per questa sarebbe opportuna una rigorosa compatibilizzazione sulla base di quanto strettamente necessario) e quella sul Melito.

Il Servizio idrico integrato

L'attuazione della legge di riforma del settore, la n. 36 del 1994, ha portato in Calabria alla creazione di cinque Ambiti Territoriali Ottimali, gli ATO, ed alla costituzione della società mista per la gestione degli acquedotti regionali. Diciamo subito che tre ATO bastavano e che uno sarebbe stato quello veramente Ottimale. Di riforma in senso industriale dei servizi ancora non se ne è vista l'ombra, in compenso le c.d. Autorità d'Ambito hanno le loro brave strutture e sovrastrutture tecniche e burocratiche e producono, questo sì, i relativi costi che si vorrebbe addossare alla tariffa e quindi al cittadino. Per fortuna nel decreto delegato per il Testo unico ambientale, è stato esplicitamente vietato che i costi delle strutture dell'Autorità d'ambito possano essere trasferite in tariffa. L'ATO più popoloso è quello di Cosenza con 727.000 abitanti, mentre Crotone (163.000 abitanti) e Vibo Valentia (175.000 abitanti) raggiungono dimensioni inferiori a quelle di un quartiere di Roma. Difficile è pensare che queste realtà possano interessare i leader del settore. Nel frattempo le cose vanno con l'andazzo di sempre, e siccome la Calabria è una regione ricca d'acqua, si può permettere di sprecarla. Il volume complessivo prodotto è di circa 392 Mmc/anno (144 Mmc da risorse locali e 249 Mmc dagli schemi regionali); il volume immesso in rete è di 388 Mmc/anno, quello fatturato è di 179 Mmc/anno: le perdite apparenti (fisiche e di fatturato) ammontano quindi a quasi il 54%. Questa situazione, fra l'altro, crea un grave problema nei rapporti fra i comuni distributori al dettaglio (quelli che fatturano all'utente finale), e la Sorical che fattura l'acqua all'ingrosso. I piani d'ambito ipotizzano volumi di investimento notevoli: da 850 a 1.290 euro/abitante che si scaricano sulle tariffe: forse un approccio più da gestore che da opera pubblica classica avrebbe potuto ridurre questi investimenti del 50%.

Il settore irriguo

In Calabria sono attivi 17 Consorzi di Bonifica, ma solo su 15 si pratica l'irrigazione pubblica. Le aree irrigue consortili ammontano a circa 89.000 ha, fortemente dispersi in comprensori di superficie limitata: solo 4 comprensori hanno superficie superiore ai 5.000 ha e sono concentrati nelle maggiori pianure: Piana di Sibari, bassa val di Neto e promontorio di Capo Colonna. La superficie irrigata con gli schemi consortili è pari solo al 38.6% di quella attrezzata. La superficie irrigata rilevata mediante tecniche con ortofoto satellitari ammonta a oltre 94.000 ha e ciò indica che è molto diffusa la pratica di irrigare con pozzi gestiti autonomamente, che costituisce una delle cause del degrado delle falde di pianura. Il costo unitario medio che i Consorzi fanno pagare oscilla da 0,01 euro/mc a 0,1 euro/mc. Le reti irrigue sono spesso obsolete, così come arcaica è l'organizzazione della gestione; spesso vi sono problemi di limitate disponibilità della risorsa. In queste condizioni gli operatori preferiscono agire in proprio. Il miglioramento della qualità del servizio consortile è un obiettivo prioritario, anche se necessariamente correlato ad un adeguamento delle tariffe che devono almeno coprire integralmente i costi di gestione.

I programmi di investimento

Il CIPE ha approvato nel 1999 l'Accordo di Programma Quadro per il ciclo integrato: il programma complessivo si articola su quattro linee di intervento:

completamento dei grandi schemi a scopi multipli; completamento, adeguamento e riefficientamento del sistema di offerta primaria ad uso potabile (acquedotti esterni); completamento, adeguamento, riefficientamento e ottimizzazione delle infrastrutture idriche urbane (reti di distribuzione, fognature depuratori);

riordino, riconversione e razionalizzazione dell'offerta irrigua nelle esistenti aree irrigue.

Nella prima linea rientrano gli inerenti di completamento dei sistemi Melito – Alaco - Metramo – Lordo; il sistema Menta; il sistema Alto Esaro. La seconda e terza linea comprendono le opere previste dai piani d'Ambito.

La delibera CIPE che approva il 1° programma della legge obiettivo per la regione Calabria, nel periodo 2002 – 2010 ha indicato interventi per 324,85 Milioni di euro. Le proposte riguardano gli schemi Esaro e Menta, nonché il completamento dello schema Metramo.

Conclusioni

I vincoli economici ed ambientali, che si faranno più stringenti con l'applicazione della direttiva 2000/60/CE rendono indispensabile il riordino delle modalità di approccio al problema delle infrastrutture idriche e della loro gestione. L'attuazione della parte industriale della legge n. 36/94 ed una analoga riforma per il settore irriguo dovrebbero portare alla stabilizzazione del quadro infrastrutturale necessario ad assicurare sufficienti risorse nelle aree costiere e metropolitane dove si concentrano le attività economiche e residenziali e, quindi, la domanda idrica. Il completamento dei grandi sistemi alimentati da invasi, sia pure con le dovute cautele ambientali, resta la principale risposta ai problemi ambientali delle falde e a quelli di approvvigionamento potabile in alcuni casi come quello della Città di Reggio Calabria.