Napoli e la scuola liberaldemocratica/Una tradizione affossata dai vari massimalisti Giunte di ogni colore nemiche del rinnovamento di Renato d'Emmanuele La cultura liberaldemocratica ha di bello che a rileggerla a distanza di decenni dimostra intatta la sua freschezza e la sua attualità, malgrado le critiche rivolte da massimalisti di ogni risma. Lo stesso Ugo La Malfa doveva subire dagli avversari l'appellativo di Cassandra, per i suoi moniti sulle spese dissennate della pubblica amministrazione e le deficienze strutturali del sistema economico italiano, dimenticando che Cassandra non faceva altro che predire sventure che si sarebbero invariabilmente verificate. Non magie, ma analisi. In questi giorni Napoli sta affondando sotto il piombo dei proiettili esplosi negli agguati di camorra e sotto il malaffare di una classe dirigente interamente responsabile di ciò che sta accadendo. Ma è davvero tutto nuovo, tutto inedito? Davvero la sinistra al governo in città si trova a vivere una situazione più grande e sfuggente dei poteri che sono affidati a sindaco, presidente di provincia e governatore regionale? O Napoli sta vivendo l'ennesima fase acuta di un degrado civile che la infetta da decenni, senza soste? Viene in aiuto la lettura di pagine del passato. Fine anni Settanta, 1978 per la precisione. La camorra ammazza in media cento persone l'anno nella sola provincia di Napoli, il centro storico della città marcisce nel degrado e nell'incuria, intere zone della città sono sommerse dai rifiuti, la speculazione edilizia la fa da padrona. In periferia nuovi quartieri sorgono come funghi, privi di ogni controllo, senza alcun piano regolatore. Rosario Romeo è uno storico liberale che ben conosce Napoli. E' meridionale, siciliano, nativo di Giarre. Insegna Storia moderna presso la Sapienza di Roma ed è autore di numerosi studi sul Risorgimento, tra cui una monumentale biografia sul conte di Cavour che ancora oggi è considerata dal mondo accademico di indiscussa superiorità. Nel 1979 diventerà rettore della Luiss e nel 1984 verrà eletto al Parlamento europeo in quota Pri nella lista comune e "federalista" promossa da repubblicani e liberali. Nel 1978 Rosario Romeo è da alcuni anni editorialista del "Giornale" di Indro Montanelli, dove scrive con assiduità di politica interna ed europea, di terrorismo e violenza politica, dei problemi dell'università. Il 24 settembre di quell'anno pubblica sulle colonne del "Giornale" una lunga riflessione dal titolo "Napoletanità". Partendo da un episodio marginale di storia risorgimentale relativo al periodo in cui la burocrazia piemontese, dopo la spedizione dei Mille, si scontra con i residui apparati del vecchio stato borbonico, Romeo ricorda come già a metà Ottocento la città apparisse "brulicante di gente senza mestiere e senza voglia di averne, capitale della piccola truffa e della camorra, festaiola e pittoresca al limite del grottesco, ignorante, superstiziosa, sprofondata in condizioni igieniche inammissibili in un paese civile". Dinanzi a queste convinzioni che andavano radicandosi negli italiani del centronord, l'opinione pubblica locale, come ricorda Romeo, rispondeva "con l'esaltazione indiscriminata della napoletanità, mescolanza di scetticismo amabile e di duttilità, in cui ogni indulgenza e ogni debolezza si giustificavano nel nome di una presunta umanità di rapporti, che di fatto finiva spesso per garantire l'indisturbato prosperare di arbitri e prepotenze". La stessa cantilena che il sindaco Rosa Russo Iervolino recita nel ricordare che scippi, rapine e omicidi avvengono in ogni città del mondo e che non bisogna tralasciare il buon carattere dei napoletani, il clima radioso e la buona riuscita della Notte Bianca e dell'annuale concerto in piazza di Capodanno. Rosario Romeo prosegue nell'analisi e, procedendo nella lettura dell'articolo, ci sembra di leggere un pezzo del novembre 2006 anziché del settembre 1978: "A Napoli i migliori propositi di rinnovamento si sono sempre scontrati con una rete tenacissima e invisibile, stesa a protezione dello stato di cose esistente (…) L'amministrazione del comune è da tempo diventata proverbiale per il doppio primato del numero dei dipendenti e dell'inefficienza. Il funzionamento di ogni sorta di istituzioni, dagli ospedali alle banche, è inceppato da una sorta di ideologia della reciproca assistenza che impone la creazione di una fitta rete di relazioni speciali e di piccoli privilegi alla persona. Settori tra i più importanti dell'economia devono fare i conti con l'ipoteca della camorra di cui alimentano anche i mille rivoli della miserabile economia del vicolo". Un quadro chiarissimo in cui sembra di riconoscere, trasportando i fatti del 1978 ai giorni nostri, la proliferazione delle società miste comunali e regionali, le decine di commissioni consiliari speciali, il parassitismo della burocrazia, l'elargizione elettoralistica dei corsi di formazione professionale e dei contratti di lavoro socialmente utile. L'affondo di Rosario Romeo è impietoso: "Si sono incentivate attese parassitarie antiche e nuove, accompagnate da forme inedite di aggressiva rissosità". Nel 1978 Napoli è governata, e lo sarà fino al 1983, da una giunta di sinistra imperniata sul Pci e guidata da Maurizio Valenzi. Il giudizio di Romeo è drastico: "L'amministrazione di sinistra è fallita non meno delle precedenti". Così come la diarchia Bassolino-Iervolino è fallita rispetto al governo pentapartitico degli anni Ottanta, pure additato come esempio di malgoverno e collusione con la criminalità. L'editoriale di Romeo si chiude con una richiesta alle nuove generazioni: "Molti dei giovani migliori pensano di emigrare. Eppure oggi più che mai la città ha bisogno degli eredi della tradizione del novantanove". Ma noi che scriviamo oggi, e che giovani ancora viviamo a Napoli, vediamo che i giovani degli anni Settanta, arrivati al governo degli enti locali, hanno ripreso gli stessi vizi dei loro padri e nessun germe della Repubblica partenopea del 1799 è attecchito. E ci domandiamo se non sia davvero il caso di emigrare, per tornare da turisti e rattristarsi per la bellezza tradita della città e l' "armonia perduta" che ci ha raccontato Raffaele La Capria. Con un bagaglio di letture e sensibilità liberaldemocratiche che non attecchiscono e anzi vengono sbeffeggiate da una classe dirigente che si mostra ancora interamente borbonica. E interprete della politica delle "tre effe": festa, farina e forca. |