Terra in affanno, interviene Blair/Con un documentato rapporto che bada al sodo

Riscaldamento globale: il costo di un futuro pulito

di Giovanni Postorino

La scorsa settimana il Wwf ha lanciato un allarme tragico sui destini del nostro pianeta e dell'intera umanità: nel suo rapporto annuale sullo stato di salute della Terra, si era catastroficamente prospettato l'esaurimento delle risorse e la necessità di un nuovo pianeta entro il 2050.

In questi giorni, invece, è stato presentato dal premier britannico Tony Blair il Rapporto sui costi per riparare ai danni prodotti dai cambiamenti climatici e dal global warming indotti dall'uomo, redatto da Sir Nicholas Stern.

Questo Rapporto è ben diverso dai soliti allarmanti proclami lanciati dalle associazioni ambientaliste o da scienziati catastrofisti in cerca di un beve momento di celebrità o di qualche finanziamento per le loro ricerche. E questo perché è stato redatto da un ex dirigente della Banca Mondiale e perché è tutto incentrato su una tipica analisi costi-benefici. Il fatto, poi, che sia disponibile (in lingua originale) non sul sito del Ministero dell'Ambiente bensì su quello dell'Economia, è segno della notevole incidenza che i danni ambientali ed il conseguente cambiamento climatico della Terra avranno appunto sull'economia.

Il premier britannico è apparso visibilmente colpito dai dati contenuti nel rapporto tanto da prospettare un vero e proprio disastro se non si interverrà per tempo. Di questo passo il riscaldamento del nostro pianeta sarà ad un livello tale da ripercuotersi irrimediabilmente sulle condizioni di vita di milioni e milioni di persone, il che causerà un costo enorme per il tentativo di raggiungere risultati non sicuri.

Il danno stimato è stato calcolato intorno a 5,5 trilioni di euro. In base ai dati presi in considerazione ed utilizzando modelli economici formali il Rapporto evidenzia come la perdita minima del prodotto lordo globale annuo si aggirerà intorno al 5%. Mentre, se si tiene in considerazione una più ampia classe di rischi e di impatti, il danno potrebbe salire al 20% del prodotto lordo e anche oltre. Se si interviene subito si può limitare all'1% della ricchezza mondiale la spesa per sanare i guasti ambientali e climatici.

Insomma, ci troviamo di fronte ad un rapporto che non ha nulla della stanca retorica ambientalista, ma che contiene dati e date ben precisi e che non lascia spazio alcuno all'incertezza o alla titubanza.

Leggiamo nelle lapidarie conclusioni: "Gli investimenti che verranno effettuati nei prossimi 10-20 anni avranno un profondo effetto sui cambiamenti climatici della seconda metà del secolo e di quello successivo. Le nostre azioni attuali e nei prossimi decenni potrebbero creare rischi di disfacimento dell'attività sociale ed economica su una scala paragonabile a quella delle guerre mondiali o della depressione economica della prima metà del 20° secolo. Sarebbe inoltre difficile o impossibile invertire quei cambiamenti"

La vera novità risiede, insomma, nel contenuto delle proposizioni finali, ed in particolare nel monito che "The benefits of strong and early action far outweigh the economic costs of not acting", cioè: "I benefici di un'azione energica e immediata superano di gran lunga il costo economico del non agire". Ma come agire?

Anche in questo il Rapporto non lascia spazio a dubbi. Il problema del cambiamento climatico riguarda non semplicemente una nazione o un continente ma l'intero globo quindi si richiede una risposta di livello internazionale dagli obiettivi ampiamente condivisi.

In particolare, bisogna puntare su quattro punti chiave ad iniziare dalla strategia cosiddetta di "Emissions trading", cioè commercio delle emissioni inquinanti, in base alla quale, una volta fissato il tetto massimo, se un'azienda continua ad usare impianti inquinanti è obbligata ad acquistare il "diritto ad inquinare" da un'altra azienda il cui impianto produce emissioni inquinanti inferiori al tetto. Altro elemento chiave dei futuri interventi internazionali è la cooperazione tecnologica, fondamentale sia per la realizzazione di impianti industriali e l'utilizzo di nuove tecnologie dalle basse emissioni inquinanti, sia per l'utilizzo su vasta scala di fonti energetiche pulite, per le quali si devono richiedere maggiori investimenti da parte degli Stati. A questo va associata un'azione decisa volta a ridurre il disboscamento globale che, in base ai dati tenuti presenti dal Rapporto Stern, è causa dell'aumento della presenza delle sostanze inquinanti più che l'intero settore dei trasporti. Ed infine l'azione dei Paesi ricchi dovrebbe indirizzarsi ad aiutare i Paesi poveri e quelli in via di sviluppo che sono maggiormente esposti all'impatto che avrà il "global warming".

Ma al Rapporto Stern sono anche rivolte alcune critiche. Intanto tiene conto di dati pessimistici elaborati dall'Intergovernmental panel on climate change (organismo Onu) già ampiamente criticati anche da uno studio della Commissione economia della Camera dei Lords.

Inoltre, le condizioni economiche mondiali saranno, a detta dello stesso Rapporto, migliori rispetto ad oggi, cioè il mondo sarà più ricco, il che però vuol anche dire che lo sfondo su cui questi tremendi scenari andranno a svilupparsi sarà meno duro. Infine, secondo alcuni, il Rapporto non è esente da valutazioni politiche più che scientifiche o economiche.

Tuttavia è un merito del Rapporto Stern, abbandonati i panni del catastrofismo verde e della sua vuota retorica che fino ad oggi non ha portato ad apprezzabili risultati, comunque lo si legga, l'aver posto l'accento sui costi economici del global warming e l'aver puntato tutto sul monito "Spendere oggi per spendere meno".

Il premier britannico, con una buona dose di enfasi, ha definito questo Rapporto come l'atto più importante del suo governo.

Il tentativo inglese è chiaro: dopo il semi-fallimento di Kyoto bisogna dotarsi di nuovi e più convincenti argomentazioni che siano in grado di stanare gli Stati Uniti e le emergenti economie, Cina ed India in testa, il cui impatto sul cambiamento climatico è notevole. Ovvio che senza un loro coinvolgimento qualsiasi strategia contro il global warming fallirà miseramente. Con l'occhio al portafoglio forse si riuscirà a coinvolgerli, raggiungendo così nel più breve tempo possibile un nuovo ed importantissimo accordo sull'ambiente che senza farsi attrarre dalle sirene gnostiche dell'ambientalismo, individui misure puntuali e concrete che risolvano il problema del global warming senza costi (economici e sociali) eccessivi se non addirittura insostenibili.