Quali opportunità per il Pri/Raccogliere adesioni tra le nuove classi dirigenti Rafforzare il partito della ragione e del buon senso di Carlo Bassi Cos'è il Pri oggi? E cosa dovrebbe e potrebbe essere? Chi sono i Repubblicani ?…E soprattutto come potremo dare una risposta nuova a tutti coloro, e sono tanti, che per cultura, etica , efficienza, senso di responsabilità sono repubblicani senza sapere di esserlo? Da quando il Segretario Nazionale, Francesco Nucara, mi ha offerto la possibilità di impegnarmi per il partito questi sono gli interrogativi principali che mi sono posto. Interrogativi che sono diventati ancor più impegnativi dopo aver iniziato ad incontrare alcuni amici e dirigenti del Pri a livello regionale. In Puglia così come in Calabria e poi in Romagna ho visto un partito sicuramente vivo; ho incontrato passione vera e belle persone ma non ho mai sentito, nemmeno una volta, porsi questi interrogativi. Eppure sono interrogativi vitali per il Pri. E' vitale capire se il Pri ha risposte utili per questa società o una parte di essa, se può rappresentare un riferimento per la classe dirigente di oggi e di domani , se può rappresentare un'alternativa, un indirizzo, una opportunità, una soluzione. Certo non dimentico che per poter comunicare bisogna esistere ed essere visibili…Non dimentico che questo è ancora oggi il nostro grande problema. Ma è anche vero che sapere chi siamo, sapere quali risposte dare e soprattutto individuare a chi doverle dare, può servire ad essere più visibili, o quantomeno a farsi riconoscere. Perché, come ho scritto prima, ci sono più repubblicani al di fuori dalle nostre sedi di partito e del Parlamento di quanto noi stessi abbiamo probabilmente percezione, di quanto ancora se ne può contare alle elezioni e soprattutto, di quanto essi stessi siano coscienti di esserlo. E questa è una opportunità straordinaria che ci si presenta. Forse unica. Dobbiamo perciò coglierla rapidamente. Come? Guardando bene il nostro Paese. Senza commettere però l'errore di utilizzare lenti di ingrandimento per studiare "frammenti" troppo locali e nemmeno ponendosi troppo in alto a fotografare fenomeni d'insieme. Sforzandoci poi di trovare risposte adeguate . Risposte da Partito Repubblicano! E allora proviamo a guardare questo nostro Paese. Il Nord rimane il motore economico. Eppure il modello su cui è basato sta denunciando limiti strutturali e producendo forme di rigetto. Il rigetto sentito da sempre più manager impegnati nella grande impresa, nell'industria, nella finanza e nei servizi. Rigetto per un modello economico che vede le imprese da loro dirette "avvitarsi" attorno ad un approccio speculativo, basato sul risultato finanziario a breve, non utile a costruire, e spesso fine a se stesso (cioè utile per pochi). L'impresa non più intesa come un patrimonio (sia del singolo che della collettività) attorno al quale costruire il proprio futuro e contemporaneamente quello della famiglia, della comunità, del territorio e poi del Paese. L'approccio pressoché speculativo ha così prodotto il totale annullamento del ruolo anche "sociale" della classe dirigente e l'annullamento di qualsiasi cultura di impresa. Le aziende, e quindi le persone che le guidano, sono dei mezzi e non più un fine. Dei mezzi utili per la Borsa e per la Finanza e poi per gli Investitori. Investitori che non sono il proprietario o l'imprenditore che rischia e che rinnova ma Fondi d'investimento, Fondi pensione, Assicurazioni e Banche che nulla sanno della realtà delle aziende e poco del mercato. Le parole investimento ed innovazione sono equiparate a voci di spesa e non soluzioni necessarie a garantire il futuro dell'impresa, la crescita delle opportunità e dell'occupazione. E così accade che oggi il periodo medio di permanenza in un'azienda di un manager non superi i tre anni e che nelle imprese si ipotizzino piani di "sviluppo" con l'orizzonte di uno, massimo due anni. Accade che ci siano sempre più dirigenti demotivati e "stanchi" ancor giovani. Ma soprattutto senza speranza. E così l'impresa italiana declina. Limiti strutturali sta oggi dimostrando ad esempio la realtà imprenditoriale del Nordest. Quel Nordest del miracoloso sistema "delle piccole imprese = grandi esportazioni" Quel Nordest dalla più bassa scolarizzazione d' Italia e dal più alto livello occupazionale In questo caso il problema è che la competitività basata sul basso costo del lavoro - garantito soprattutto dal modello "d'impresa familiare" (padre, madre e figli contemporaneamente imprenditori e "operai"), che permetteva ad un intero territorio di esportare ovunque nel mondo, non regge più nel momento in cui si affacciano sul mercato Paesi e popoli molto più "feroci" sulla competizioni basata sul basso costo del lavoro quali Cina, India ed Est europeo. Allora il confronto competitivo dovrebbe "giocarsi" sulla capacità di innovazione e di sviluppo del prodotto. Ma per far questo è necessaria una classe imprenditoriale e dirigente diversa: preparata, istruita, laureata e necessariamente già "allenata" alla competizione basata sulla qualità del prodotto e dell'innovazione . Nel Nordest dei giovani che hanno lasciato e lasciano la scuola a diciassette anni per lavorare nell'azienda del padre tutto ciò è difficile da trovare. E allora risulta più facile chiedere l'applicazione di dazi doganali. E così l'impresa italiana declina. Scendendo verso il centro del Paese, in Emilia – Romagna, Marche e Umbria , ritroviamo alcune delle condizioni sopra descritte (il modello di "impresa – famiglia" diffuso in molti distretti produttivi, che si scontra con le nuove regole del mercato imposte dai paesi emergenti) in un contesto sociale sicuramente più efficiente e favorevole. Un modello sociale divenuto per molti modello di riferimento anche se è evidentemente troppo "fenomeno locale" (cioè favorito da condizioni specifiche presenti storicamente in quel territorio) per essere inteso come modello esportabile nel resto del Paese al punto da farne una bandiera di partito. Ed il rischio in questo caso è di non accorgersi di dar vita ad una forma di "localismo" un po' elitario che pone chi sta da questa parte a chiudersi in un atteggiamento di "altezzoso" privilegio. Un errore probabilmente commesso dalla sinistra che queste Regioni ha governato e governa senza saper poi spiegare perché non sia capace di riprodurre lo stesso modello e gli stessi risultati al di fuori dei confini locali, fino a livello di governo nazionale. Per cui quando un uomo con le stesse profonde radici nel territorio si è candidato a Sindaco di Bologna, ha vinto le elezioni senza dover necessariamente essere di sinistra. Arrivando al Sud potremmo conoscere il vero futuro del nostro Paese. Il Sud è la nostra vera risorsa. Non domani, ma oggi. Perché sforna sempre più giovani laureati pronti a confrontarsi con il resto del mondo senza pregiudizi e senza porre pre - condizioni di privilegio . Una potenziale classe dirigente "geneticamente" preparata al confronto più duro. Perché è uno dei territori più ricchi al mondo dove sviluppare uno dei comparti produttivi con più alti margini di crescita : il turismo. Perché è e sarà un passaggio obbligato di tutto il Sud e l'Oriente del mondo verso l'Occidente e dell'Occidente verso il Sud e l'Oriente. Un passaggio di uomini, merci, lavoro, idee, consumi e nuovi consumatori. Il Sud dove ad ogni iniziativa tesa a riproporre condizioni di legalità (comunque primo obiettivo) bisognerebbe sempre affiancare progetti di sviluppo che tengano conto delle tre opportunità sopra citate. E allora il Pri? Chi è? E cosa rappresenta per tutti coloro che sono protagonisti di queste particolari condizioni espresse dal nostro Paese? Condizioni che vedono coinvolti come principali attori tipologie diverse di classe dirigente. Diverse a seconda del territorio ma sempre e comunque classe dirigente. Cioè quel settore del Paese che storicamente si identificava con il Partito repubblicano. Quella classe dirigente che oggi attende risposte, senza sapere da chi può riceverle. Quella classe dirigente che oggi è smarrita è ha bisogno di una iniezione di fiducia e di orgoglio. C'è chi gliele può dare? Non può essere il Pri? Non possiamo essere noi? Anche solo dimostrare di aver compreso tali condizioni porrebbe il nostro partito in una condizione di maggiore attenzione. Riproporrebbe il Pri come il partito della Ragione per tutta quella classe dirigente che nel Paese convive , subisce e comunque si scontra con le condizioni sopra descritte. Ma il passaggio successivo, e cioè lo sforzo di trovare e proporre risposte, darebbe al Partito e a tutti i repubblicani un ruolo di riferimento e soprattutto gli consentirebbe di individuare e farsi individuare dai tanti repubblicani inconsapevoli. Ne farebbe subito il partito della Ragione e del Buonsenso. Due ingredienti - di cui oggi si sente particolarmente bisogno - che sono patrimonio storico del Pri. La Ragione di chi è in grado di analizzare lo stato delle cose senza pregiudizi ideologici ed il Buonsenso che è la prima condizione per elaborare soluzioni . Se nel Nord il Pri iniziasse a dialogare con la classe dirigente facendola riflettere sul valore del patrimonio rappresentato dalle imprese , sul valore dell'innovazione e sul valore del ruolo sociale di chi ha la responsabilità di dirigere le imprese; se facesse intendere di condividere il disagio per un modello economico arido sia per il futuro delle imprese che per gli uomini chiamate a dirigerle; se si facesse interprete di una volontà di riscatto che potrebbe dare slancio alla costruzione di un nuovo modello economico e sociale. Tutto ciò rappresenterebbe la novità di un partito che, al di fuori degli schieramenti, sa proporsi con la ragione ed il buon senso Se nel centro del Paese il Pri si proponesse come laboratorio attorno al quale coinvolgere le migliori risorse del territorio ( imprenditori e dirigenti) con l'intento di elaborare insieme – sulla base delle proprie esperienze - modelli di sviluppo applicabili anche al di fuori dei confini regionali, darebbe valore più ampio al primato di queste Regioni. E anche in questo caso rappresenterebbe la novità di un Partito che, avendo individuato un percorso diverso dagli attuali schieramenti, sa proporsi con la ragione ed il buon senso Se nel Sud si facesse primo interlocutore soprattutto di quelle generazioni di giovani, culturalmente preparati ad essere futura classe dirigente, per condividere soluzioni che producano progetti utili ad approfittare delle tre principali opportunità che il sud oggi ha; se il Pri avesse questa sensibilità e soprattutto l'avessero quegli uomini e donne, quelle belle persone dalla passione vera, dall'intelligenza vivace che ho iniziato a conoscere, avremmo probabilmente ridotto la distanza tra noi e coloro che stentano e faticano a riconoscerci. Avremo un modo migliore per farci notare ed ascoltare. Perché alla fine un rapido consenso lo si può anche conquistare avendo tanti mezzi e riempiendoli di qualsiasi cosa da comunicare. Altra cosa è ragionare, condividere, spiegare e comunicare. |