Intervista a La Malfa/Il presidente del Pri ai microfoni di Radio Radicale Parlando di Ue, pensioni ed alleati di governo L'onorevole Giorgio La Malfa, presidente della Commissione Finanze della
Camera e del Partito repubblicano, è stato ospite a Radio Radicale
della trasmissione "Catallassi", condotta da Benedetto della
Vedova, economista e parlamentare della Lista Bonino (l'intervista, di
cui riportiamo ampi passi, è andata in onda sabato 11 ottobre e
verrà replicata mercoledì 15 alle ore 22,00). Presidente La Malfa, volevo iniziare questa trasmissione chiedendole una nota sul premio Nobel dell'economia Franco Modigliani, recentemente scomparso e di cui lei ha avuto la fortuna di essere allievo. "Penso di essere stato il primo che ha riportato Modigliani in Italia. Lui aveva lasciato l'Italia dopo le leggi razziali del 1938. Negli Usa aveva fato carriera e preso la cittadinanza. In Italia era tornato solo 2 o 3 volte. Nella prima metà degli anni '60 andai a studiare al Mit e lui con molta generosità, visto che amava i giovani, mi chiese che cosa stessi studiando. Io gli risposi che mi stavo occupando dei problemi di politica monetaria italiana e mi interessavo della "linea Carli-Colombo". Dopo qualche tempo mi propose di scrivere un saggio con lui sulla politica monetaria italiana, molto critico nei confronti della Banca d'Italia (in quel momento l'istituto di via Nazionale stava attuando una linea di stretta creditizia, ndr), delle politiche seguite da Guido Carli nel 1963-64. In questo saggio ("Modello Modigliani-La Malfa" del 1966, ndr) studiato da tutti gli economisti giovani, suggerii a Carli, che era un uomo intelligente, di chiamare Modigliani. Lo nominò consulente della Banca d'Italia per il modello econometrico tra il 1967 ed il 1969. Modigliani portò in America molti allievi come Antonio Fazio, che studiò circa un anno con lui, Padoa Schioppa con cui scrisse un saggio, Tarantelli, che poi fu ucciso dalle Brigate rosse, con cui produsse un bellissimo saggio sull'inflazione e la scala mobile. La sua prima collaborazione fu questa. Nella seconda metà degli anni '90 scrivemmo insieme almeno 15 articoli su tutti i giornali d'Europa e internazionali sull'euro e contro il Patto di stabilità, dicendo che ci sembrava una follia così com'era fatto, che avrebbe distrutto l'occupazione in Europa. Allora tutti si comportarono come se volessimo tradire lo spirito europeista. Naturalmente ora il Patto di stabilità è morto". Modigliani aveva guardato con grande attenzione alle questioni italiane, economiche, sociali e politiche. Modigliani firmò nel 1994 con Mario Baldassarri, Romano Prodi, Paolo Sylos Labini un appello accorato a favore della riforma delle pensioni su cui Berlusconi era impegnato. Fu un appello molto forte. Si disse che ritirare la riforma previdenziale significava fare un patto scellerato contro le nuove generazioni. Oggi siamo di nuovo con un altro governo Berlusconi a discutere di un'altra riforma. Prima di ritornare alle proposte di Modigliani sulla previdenza, come giudica le proposte del Governo in materia? "La riforma è giusta nel senso che è ovvio che il sistema pensionistico deve essere modificato. Il rilievo critico è che bisognava farlo prima. La riforma sarebbe dovuta partire 10 anni fa come disse D'Alema nel 1998, come disse Prodi nel 1996. L'errore è che l'eliminazione delle pensioni d'anzianità avviene nel 2008. E' chiaro che, siccome è difficile dal 2008 innalzare di 4 anni in un colpo solo la possibilità di andare in pensione, la riforma andrà a regime a partire dal 2015. Prima si comincia, meglio è, visto che la riforma andrà a regime tra 15 anni. E' giusta l'impostazione di Berlusconi, e lo sanno anche i sindacati. Però cercano di allontanare il calice. Il sindacato non dice non le vogliamo fare, ma afferma che è necessario aspettare il 2005, perché è previsto che ci sarà una revisione. Quando la stessa proposta fu fatta da D'Alema, gli fu detto che bisognava aspettare il 2001, perché era prevista la revisione per quell'anno. Ma quell'anno ci furono le elezioni e si disse che la revisione l'avrebbe dovuta fare il Governo Berlusconi. Il problema delle pensioni è che la riforma deve essere fatta presto e non gradualmente". La sfida di Berlusconi sulle pensioni, è una sfida coraggiosa destinata a rompere e a creare scontri. Dal punto di vista politico come vede questo "strappo" di Berlusconi? Pensa che sia necessario ricucire con i sindacati? "La posizione della Lega ha coperto le perplessità che c'erano nell'Udc e dentro Alleanza nazionale. Ambedue questi movimenti hanno all'interno dei "pezzi" di sindacato. Alleanza nazionale ha una vecchia concezione della solidarietà dello stato sociale. Questi due partiti non hanno voglia di affrontare il tema delle pensioni e naturalmente l'argomento è che tutto deve essere fatto con la concertazione. Penso che su questo si debba essere molto chiari. Il Governo deve sempre sentire le parti sociali e avrebbe dovuto sentirle sempre. E' stato un errore dire di avere una larga maggioranza in Parlamento e che quella sarebbe bastata. Le parti sociali devono essere ascoltate con pazienza, ma se non c'è l'accordo è il Parlamento che deve decidere in quanto titolare della sovranità. Anche l'argomento di Savino Pezzotta, il quale ritiene questo tema una questione squisitamente sindacale è un errore. Il sindacato ha molti iscritti che sono pensionati, anzi è un'organizzazione di pensionati". Le parole di Pezzotta erano eversive dell'ordine costituzionale. Se si arma di questo slogan la politica sindacale, si commette un grave errore "Il sindacato può dire che il contratto di lavoro dei metalmeccanici è una questione che lo riguarda, perché è inerente a una trattativa. La controparte del sistema pensionistico non è un'organizzazione, ma il bilancio dello Stato. Il titolare del bilancio dello Stato è il Parlamento. La convinzione di Pezzotta porta a ritenere che il Parlamento abbia una sovranità limitata. Non è eversivo costituzionalmente, perché Pezzotta non era consapevole delle implicazioni che avevano queste sue parole". ( ) In questi giorni sono usciti alcuni studi del professor Cassese in cui si evidenzia come la fase di liberalizzazioni e di privatizzazioni abbia subito uno stop netto con il Governo Berlusconi, che ha fatto progressi sul fronte delle semplificazioni, mentre sul fronte privatizzazioni c'è stato uno stop "Questa situazione è dovuta in parte al calo delle borse. Lo Stato non deve svendere. Ci sono altre considerazioni da fare. Mentre prima si vendeva "la periferia" dello Stato, adesso rimangono da vendere l'Eni e l'Enel. Oggi non c'è più nulla di molto consistente nelle mani dello Stato". La Rai! "La Rai bisognerebbe venderla non per fare cassa, ma per fare "pulizia". La Rai deve essere privatizzata. E' dal 1985 che lo diciamo. E' ovvio che non è possibile gestirla. Capirei se il problema fosse quello di gestire con delle regole il monopolio pubblico, ma solo se ci fosse ancora il monopolio dell'etere. ( ). Su Enel ed Eni? "La preoccupazione che riguarda l'Eni è che appena entra sul mercato possano arrivare delle compagnie multinazionali americane e possano comprarselo". ( ) L'Enel oggi non potrebbe essere venduto? "Non conosco abbastanza bene il mercato dell'energia per sapere se non rischiamo forse di passare dal monopolio pubblico ad un oligopolio privato, rispetto al quale le istituzioni di garanzia sono molto deboli". ( ) Come giudica le authority? "Oggi ne abbiamo troppe. Ci sarebbe voluto un antitrust, una Consob e un'autorità per la garanzia individuale. Poi basta. Non è giusto spogliare la rappresentanza politica delle sue responsabilità. Già questa rappresentanza politica viene spogliata dalle sue responsabilità dal passaggio in Europa di molte competenze. Altri vincoli vengono dai patti europei. E poi il Parlamento cosa fa?". In Italia stanno sorgendo dei monopoli locali anche nel settore dell'energia, che sono in fondo pubblici. C'è il rischio di uno statalismo montante. "La debolezza del capitalismo italiano è tutta qui. Nel 1945-46 si pose il problema di cosa fare delle banche. Per ragioni di salvataggio l'Iri fu costituito non per salvare il sistema industriale, ma per impedire il fallimento della Banca d'Italia, per cercare di separare le banche dalle industrie. Quando nel 1945-46 si discusse cosa fare dell'Iri, Menichella, che era stato direttore generale dell'Iri, prima di diventare governatore della Banca d'Italia, propose che le banche restassero dell'Iri e che non venissero privatizzate. Egli osservò che in Italia non esisteva una categoria di banchieri, di gruppi che investivano nel settore bancario, ma alcuni gruppi industriali che investivano nelle banche per farsi dare dei soldi dalle banche, come l'Ansaldo, i fratelli Perrone. Oggi si sta riproducendo questa situazione. Se lei guarda al fenomeno dei gruppi di controllo, al patto di sindacato del Banco di Roma, nota che sono tutti debitori del Banco di Roma. Dobbiamo chiederci se si tratta di gruppi industriali che posseggono le banche, o sono gruppi industriali che possedendo le banche finanziano se stessi, o sono le banche che, finanziando dei gruppi industriali non autosufficienti, ne posseggono il capitale". Una cosa è certa. Coloro che pagano sono gli azionisti di queste grandi banche, esclusi dai noccioli duri, dai patti di sindacato i cui investimenti non sono messi a frutto. "Raffaele Mattioli la chiamava una "fratellanza siamese", questo accordo tra banche ed industria, e considerava che tutto questo fosse all'origine dei problemi. La gente si è dimenticata di questi aspetti. ( ) La maggioranza sta incoraggiando un certo statalismo che ha voluto la Lega? "Questo è certo. Dentro la maggioranza c'è la promessa liberale di Berlusconi che per ora non si è realizzata. Abbiamo parlato di autorità, ma non abbiamo parlato della Banca d'Italia, delle funzioni dell'Istituto di via Nazionale sul credito. So che lei è molto critico sul potere antitrust attribuito per legge. "E' molto interessante conoscere l'origine di questo potere antitrust. Quando nel 1990-91 si preparò il passaggio alla moneta unica, Carli si è chiesto come mantenere l'occupazione della Banca d'Italia. Secondo me, Carli ha affidato altri compiti alla Banca d'Italia. La vigilanza non era dell'istituto centrale, ma del Tesoro, ed era esercitata per delega dello stesso Tesoro nel dopoguerra. Con il Testo delle leggi bancarie, Carli dà alla Banca d'Italia due funzioni che prima non aveva: l'antitrust bancaria e la vigilanza. Ricostruendo le vicende di quegli anni, ci si è chiesti quale fosse il senso di lasciare la vigilanza sulle banche all'autorità monetaria che non è più autorità monetaria. Una volta si diceva che la vigilanza andava data alla Banca d'Italia perché, in caso di difficoltà di una banca, la prima cosa che si fa è la richiesta di anticipazione alla Banca centrale, la quale deve vigilare per vedere lo stato della banca. Oggi questa attività non c'è più. La banca centrale non è più il prestatore di ultima istanza del sistema bancario. Per le norme contenute nel trattato di Maastricht, non è più cosa di competenza delle banche centrali, ma del Tesoro. Se fallisce la "Cassa di risparmio di Viggiù" è il Tesoro che la salva". ( ) Lei ha criticato la Bce a causa della sua politica prudente sui tassi. Lei pensa che la Bce debba accentuare la spinta propulsiva diretta sull'economia? "Altrimenti deve farlo la finanza pubblica. E così è peggio. O si sta alla filosofia con la quale è nata la politica monetaria europea all'inizio degli anni '80 e '90, per cui meno si usano gli strumenti di politica economica e, più si usa un pilota automatico, meglio è. La Banca centrale stampa 3 milioni di biglietti, li butta giù con l'elicottero e chi li prende, li prende. Poi al resto ci pensa il sistema economico. Con questa visione molto liberista, meno politica economica si fa, e meglio è. Ma io credo che ci sia anche l'uso degli strumenti di politica economica: politica monetaria, bilancio dello Stato e fisco. Io preferisco il primo dei tre strumenti. La spesa pubblica ha sempre degli aspetti di inefficienza. Se dobbiamo stimolare l'economia è meglio che lo faccia la Banca centrale". ( ) Oggi cosa dice del Patto di stabilità? "La parte migliore dell'Unione monetaria europea era la preparazione dell'Ume: mettere a posto in tre anni il bilancio dello Stato. Se non ci fosse stato il traguardo dell'euro, noi avremmo il deficit al 10%. Non ho mai avuto dubbi sull'opportunità della politica di preparazione all'Unione monetaria. Quello su cui ho avuto dubbi è di poter pensare che l'economia di 400 milioni di abitanti possa essere governata con regole imposte. ( ) L'Europa ha importato le preoccupazioni, le angosce della Germania. Berlino non voleva fare l'Ume con l'Italia. Allora si è detto che, se si doveva fare per ragioni politiche, dovevano essere imposte le regole tedesche, per chiudere un occhio sui conti italiani". ( ) Esulando dalle questioni economiche, il Partito repubblicano tiene alla laicità delle istituzioni. I radicali hanno collaborato con il senatore Del Pennino sulla procreazione assistita. Come giudica la sua maggioranza da questo punto di vista? "In Italia c'è una Chiesa che si espande in modo prepotente. Questo pontefice è stato molto attivo sulle questioni della vita e della procreazione. Questo è un pontefice meno "laico" degli altri. Questo attivismo è una manifestazione di disperazione della Chiesa cattolica, la quale capisce che la società contemporanea si laicizza. Le riserve del cattolicesimo sono in Africa e in America latina. L'Occidente è scristianizzato e lo è sempre di più. Con la fine della Democrazia cristiana la Chiesa non ha avuto più un punto di riferimento che esauriva le sue richieste e le presentava agli altri partiti. Dopo il 1993 si è diffuso un virus in tutte le forze politiche. Ognuno cerca i voti cattolici. Li va a cercare l'onorevole Fausto Bertinotti, che sulla guerra è d'accordo con il Papa, li cerca Fassino che è d'accordo con il Papa e con tutti i cardinali, è d'accordo anche Alleanza Nazionale. E' più difficile creare una separazione tra laici e cattolici. La situazione è molto più grave che in passato". Il clima della Cl è migliore o peggiore del centrosinistra? "La cosa che mi colpisce è che Berlusconi è il meno legato a questo tipo di impostazione, per una serie di ragioni. Non escludo che l'uscita dell'onorevole Fini sia rivolta al mondo cattolico, quasi a dire che nella Cdl ci sono due "scristiani" come Bossi e Berlusconi, e ci sono due cristiani come Casini e Fini. Quella di Fini è una mossa rivolta la mondo cattolico organizzato". Il risultato dell'apertura agli immigrati non sarebbe disprezzabile. "Ma non so dove porterebbe, se non alla dissoluzione della Cdl". ( ) |