La Cina vent'anni dopo/I nuovi grattacieli, la sfida dell'economia e i ritardi del nostro Paese

Restare fermi vuol dire mancare un futuro di sviluppo

Un'italiana a Pechino: "Dopo tanti anni all'estero mi sento orgogliosa del mio governo"

 

di Francesco Nucara

Se, una settimana fa, mi avessero mandato una cartolina illustrata con i grattacieli da Pechino, avrei pensato di essere preso in giro.

A Pechino ero stato una volta esattamente vent'anni fa, nell'ambito di una missione nella Repubblica popolare cinese dell'allora commissione Industria della Camera di cui ero il deputato segretario. Nel 1985 avevo trovato una città affascinante, sì, ma assolutamente arretrata: con fiumi di biciclette e di risciò che sfrecciavano per le strade e creavano veri e propri ingorghi agli incroci; con strade affollate da uomini e donne vestiti tutti alla "Mao" con tute blu o verdi, mentre non si vedeva un mendicante e le automobili si potevano contare; con edifici bassi ad eccezione dei palazzi del governo e dei primi grandi alberghi occidentali che erano casermoni in stile stalinista.

Bene: di tutto questo oggi a Pechino non è rimasto più nulla. Sono tornato nella capitale cinese per una missione del ministero dell'Ambiente: una settimana densa di incontri istituzionali e di scambi di vedute con autorità e studiosi locali sul tema del rispetto e della salvaguardia dell'ecosistema, nell'ambito dei quali abbiamo presentato il progetto Italia-Cina sulla ricerca e lo sviluppo sostenibile nel settore delle biotecnologie applicate alla salvaguardia dell'ambiente. E in questa settimana ho trovato una città ed un Paese assolutamente diversi da quello che avevo lasciato vent'anni fa.

Le biciclette hanno ceduto il posto, praticamente nella stessa proporzione, alle automobili, con il risultato che circolare per le strade è praticamente impossibile e lo smog ti accompagna sempre e ovunque; il traffico è aberrante a qualsiasi ora, mentre i risciò sono rimasti un'attrazione per turisti. Pure le tute alla "Mao" sono sparite, e le vedi addosso solo a qualche persona anziana in visita alla Città proibita; tutti gli altri vestono normalmente come noi occidentali: la gente comune in jeans e scarpette da tennis alla moda, magari imitazioni delle grandi marche italiane, mentre alti funzionari e membri del governo vanno fieri dei loro vestiti e delle loro cravatte "Italian style".

Una cosa sola è rimasta uguale: i palazzoni del partito. Le case basse, invece, sono state quasi tutte buttate giù e sostituite da grattacieli che determinano un paesaggio urbano forse anche più avveniristico di quello di metropoli degli Stati uniti e dell'Europa.

La Cina è cambiata. Sì, nel Paese c'è ancora la censura ma la gente parla tranquillamente con gli stranieri per la strada; il Partito comunista regge saldamente il potere ma il Paese da socialista si trasforma in nazionalista. E soprattutto, l'economia registra un boom che è davvero impressionante. Un boom al quale l'Italia può e deve partecipare, ma rispetto al quale, ahimè, il nostro Paese ha già perso tempo, facendosi sorpassare da troppi altri che hanno avviato delle floride partnership con la Cina, che fruttano vantaggi esponenziali rispetto agli investimenti iniziali.

La mia visita a Pechino è cominciata con una cena all'Ambasciata d'Italia, dove sono stato accolto dall'Ambasciatore Menegatti, che conosce davvero bene quel Paese e dice molto chiaramente (e assai poco "diplomaticamente") che l'Italia non fa abbastanza in Cina; all'incontro era presente il sottosegretario agli Esteri Mantica. Il giorno dopo, via con il programma ufficiale.

Presentando, nella sede permanente del ministero dell'Ambiente a Pechino, il progetto sullo sviluppo sostenibile nelle biotecnologie applicate alla salvaguardia nell'ambiente, che il governo italiano realizza in collaborazione con quello della Repubblica popolare cinese, sottolineo che la scienza non può essere frenata dalla politica, e che saremo in condizione di vincere la scommessa dello sviluppo solamente se comprenderemo che si può trarre beneficio dai processi innovativi solo anticipandoli, non inseguendoli.

Di estremo interesse è stato, poi, l'incontro con il numero due del "superministero" cinese per la pianificazione economica cinese, Jiang Weixin: un vero "capo" comunista che ha ringraziato con me il nostro Paese per il contributo ad un'importante serie di progetti nel campo della difesa dell'ambiente e della biodiversità. ‘'I rapporti tra Italia e Cina in materia ambientale - mi ha detto Weixin prima di aprire con me i lavori della Conferenza internazionale sui Meccanismi per lo Sviluppo Ambientale pulito (CDM) in Cina - sono già ottimi; dobbiamo lavorare perché questa stessa collaborazione tra i nostri Paesi si estenda pienamente a ogni altro campo''.

Un concetto, questo, ribadito dal viceministro della Scienza e tecnologia, Wu Zhongze, con cui abbiamo avuto una cena di lavoro molto interessante e proficua. La Cina è estremamente interessata all'Italia, alla nostra creatività, al nostro modo di essere; ha bisogno del nostro aiuto ed ha da offrire il mercato e le potenzialità produttive più grandi del mondo, e che non chiedono altro se non di essere "guidate". Ma non dobbiamo essere pavidi, non dobbiamo ancora una volta restare un passo indietro e perdere un'occasione di sviluppo non solo per noi ma anche per la Cina. Ma temo che questo stia già accadendo, e non è una bella cosa. Un concetto, questo, che ho espresso in una lunga intervista a Radio China International, l'emittente di Stato cinese che trasmette ogni giorno per un'ora in Italiano.

In una settimana sono stati tanti gli incontri, tante le occasioni di scambio, tanti i momenti per comprendere e per far comprendere. Ma, da uomo dello Stato e da viceministro della Repubblica, un fatto mi è rimasto davvero impresso: lasciando Pechino, una funzionaria dell'Ufficio del nostro ministero dell'Ambiente in Cina mi saluta e, con una naturalezza pari alla sincerità delle sue parole, mi dice: "Grazie, viceministro Nucara. Per la prima volta, nei tanti anni in cui sono stata all'estero, mi ha fatto sentire orgogliosa del mio governo".