Mazziniani ieri e oggi Cosa c'è nel nostro Dna Unica meta il bene del Paese Discorso tenuto presso il Museo del Risorgimento di Ravenna, 29 ottobre 2005, nella giornata di manifestazioni per il bicentenario mazziniano. di Francesco Nucara "L'unico modo per essere profondamente repubblicani – sosteneva Ugo La Malfa – è quello di vivere, con ispirazione repubblicana, i problemi di oggi della nostra società che sono assai diversi da quelli delle società di dieci o cento anni fa ed esigono soluzioni differenti". E chi, se non Mazzini, può essere l'ispiratore repubblicano da cui nasce il PRI e sul cui pensiero politico si forma una buona parte della classe dirigente del nostro Paese? Certo, allora come ora, molti crescevano, si formavano, combattevano e si sacrificavano per l'idea mazziniana: l'Unità d'Italia. Con altrettanta facilità, allora come ora venivano presi dal virus del trasformismo ed un posto in Parlamento o nel Governo era sufficiente per modellare il proprio bagaglio culturale sulla base di circostanze favorevoli e precise ambizioni personali. Tra gli innumerevoli scritti di Mazzini sugli argomenti più diversi è possibile leggere ed orientarsi nella connessione storica ed ideale tra passato e presente. In questa sede, a Ravenna, ed in questo periodo politico così travagliato mi sembra di poter fare un parallelo tra quanto Mazzini scrisse nel 1860 e la situazione attuale. Il breve scritto si intitola "Né Apostati, né Ribelli". Egli così inizia: "La diffidenza cieca, come la cieca fiducia, è morte delle grandi imprese. Inneggiatori del moto italiano peccano in oggi della prima e vi aggiungono l'ingratitudine; il popolo italiano pecca della seconda". Ora è vero, verissimo che il dubbio è laico; ma è altresì vero che in un organismo politico o, comunque, in un organismo qualsiasi si discute, si dibatte e si decide. Come fermare la diffidenza reciproca tra i componenti l'organismo? Se ciò non avviene passi avanti non se ne fanno molti ed il movimento di cui quell'organismo è espressione, è destinato a perire. Se a questo si aggiunge ingratitudine magari dei beneficiati rispetto alle decisioni prese, ci si deve chiedere se sia utile continuare. Mazzini, benché spesso tradito ed altrettanto spesso incompreso, malgrado le ingratitudini e le diffidenze di cui era circondato, decise di continuare. Così avrebbero dovuto fare molti repubblicani: così non è stato perché le ambizioni personali hanno preso il sopravvento sui progetti ideali e politici. Ed ancor più significativa, se riferita in modo particolare alla attuale situazione politica del nostro Paese, è l'affermazione: "Agli accusatori sistematici vorrei ricordare soltanto che le ingiuste diffidenze generano ingiuste ire". Gli accusatori sistematici appartengono a quel segmento della politica italiana in cui l'avversario che si vuole scalzare dal posto che occupa non si combatte sul piano del confronto di idee e di programmi ma piuttosto sul piano di pregiudizi (in tempi recenti, ma ormai superati avremmo parlato di separazione ideologica). Dal pregiudizio, che è esattamente l'ingiusta diffidenza, si passa all'ingiusta ira che oggi genera calunnie e strumenti idealmente abietti per denigrare, vilipendere e infine assassinare politicamente il proprio avversario politico. Avere diffidenza cieca è sbagliato ma sarebbe errato anche avere fiducia cieca. Nel gioco della politica italiana attuale si è costretti a cercare alleati. In questo senso è necessario tracciare una linea di demarcazione netta, politicamente certa. Mazzini sosteneva: "Volete servi non liberi alleati all'impresa?". Orbene noi ci possiamo alleare con chi decidiamo di allearci senza pregiudizi ideologici ma per chiare scelte politiche. Non ci possiamo alleare e non ci alleeremo mai con chi ha la chimerica pretesa di fare di noi repubblicani degli asserviti. Non dobbiamo essere servi nemmeno di nostri progetti che possiamo e dobbiamo doverosamente cambiare se altri ci convinceranno che essi sono sbagliati. Siamo costretti, in questa fase, ad accettare -sulla base di una cooperazione leale- disegni, progetti, decisioni su cui siamo fortemente critici. Cooperatori leali, non "propugnatori di dottrine" che non appartengono alla nostra storia passata e recente.Spesso si celebra il Mazzini pensatore europeo, l'Apostolo dell'Unità d'Italia, il patriota che combatté tutta la vita per realizzare quello che all'inizio appariva un sogno. Nel corso delle celebrazioni del bicentenario si parla poco del Mazzini politico. E' pur vero che la saldezza dei principi di Mazzini è fuori discussione ma è altrettanto vero che egli accettò compromessi politici rilevanti. Era partito per realizzare l'Italia unita e repubblicana. Quando si accorse che il suo ambizioso progetto poteva essere da freno all'Unità d'Italia egli ripiegò, considerando l'Unità d'Italia quale tappa intermedia in attesa di poter realizzare il sogno repubblicano. Infatti Mazzini sosteneva "Io che scrivo dichiarazioni sull'onore e pubblicamente che se mai nuovi assembramenti di terra italiana, o il rifiuto deliberato dell'unità che parte dei reggitori ci riducesse, disperati dall'altre vie, alla nostra vecchia bandiera, noi lo annunzieremmo anzitutto con la stampa agli avversi". E, di seguito, Mazzini continua per dire che questo è il massimo che può affermare ma è anche il massimo che i Savoia possono pretendere. "La libertà esige la coscienza della libertà". E, per dare sostegno a queste sue espressioni di lealtà, così continuava: "Scorrete le file dell'esercito di Garibaldi. Là, tra quei forti che numerano i giorni con le battaglie, voi trovate il repubblicano accanto all'uomo della monarchia. Nessuno diffida del compagno; nessuno sospetta ch'egli covi un pensiero d'insidia nell'anima… Perché non potremo parlare di patria e unità senza che voi diciate intendono parlare di Repubblica". Mazzini politico è quindi l'uomo che, resosi conto delle difficoltà o delle impossibilità di arrivare subito alla Repubblica, sa ripiegare temporaneamente sul progetto intermedio dell'Unità d'Italia. Realizzata l'Unità avrebbe pensato alla Repubblica che avrebbe voluto e, riteneva, potuto "esprimere pacificamente, conquistata l'unità della patria, davanti al paese le nostre credenze, astenerci dagli uffici che altri si contenderanno, di ripigliare taluni tra noi la via dell'esilio". Egli rivendicava il diritto di battersi per la repubblica rifiutando nettamente la pur retorica affermazione "noi vogliamo che siate regi e non altro". Noi non vogliano essere "berlusconiani" e non altro. Siamo altro: rivendichiamo il diritto ad esprimere le nostre idee a lottare per esse e, se riconosciute valide, a farle valere. La storia del mondo e del nostro paese è patrimonio delle minoranze e noi siamo minoranza storica e nel nostro DNA c'è l'interesse dell'Italia. Invece Mazzini, pur nel compromesso che gli faceva accettare l'Unità d'Italia fatta dalla monarchia, voleva continuare ad esprimere liberamente le sue idee repubblicane senza sentirsi né apostata né ribelle. Mazzini era conscio dei rischi che correva il movimento repubblicano e cercava di allentare la presa che la polizia savoiarda aveva sul movimento. Egli sosteneva che le idee repubblicane potevano essere "confutate" ma non essere oggetto di calunnia. "Chiediamo libertà per dire che la repubblica è il migliore dei governi". E qui chiudo citando la conclusione di Mazzini: "Non aizzate contro di noi perfidamente con le menzogne, le passioni di un popolo che deve a noi in gran parte quanto ei sente, quanto ha conquistato della propria unità. La menzogna è l'arte dei tristi codardi, la credibilità senza esame, è abitudine d'idioti". |