Rappresentanza femminile/Dubbi di incostituzionalità nella nuova legge della Camera Se lo scontro è fra chi ha il potere e chi ne è privo di Loredana Pesoli* Nonostante il burka sul voto, il re è nudo. Quanto avvenuto alla Camera dei Deputati era nell'aria; grande batosta per le donne che confidavano nel centrodestra, su accordi al ribasso ma sicuri, perché "a noi gli uomini ci vogliono bene, portiamo i tacchi a spillo, e non siamo femministe". Errore, tacchi a spillo o mocassini, poco cambia, perché lo scontro è tra chi il potere ce l'ha e chi non ce l'ha, terreno storicamente sfavorevole alle donne. Cosa fare per stabilire un accordo con chi occupa al 90% i luoghi del governo della cosa pubblica e ne determina, per legge, le modalità di accesso? Questo si sono chieste le donne in questi anni. Un contesto nel quale tali modalità sono appannaggio dei partiti politici, che determinano ambiti, presenze, candidature, spesso in forma ripartitoria. E quando i loro uomini (tanti) e le loro donne (pochissime) sono designati nelle istituzioni, nei governi, nelle amministrazioni, quale è il criterio che sottende alle presenze? La percentuale di rappresentanza, la forza numerica relativa, il potere contrattuale delle parti, insomma la quota. Le donne allora ritennero che il meccanismo più idoneo per entrare in comunicazione con questo mondo di troppi uomini, fosse quello, lì teorizzato e praticato, di quote, ripartizioni, accordi sui numeri, nella prospettiva di una futura e più giusta presenza paritaria. Le quote insomma altro non sarebbero che il risultato di una trattativa per correggere una situazione sbilanciata a favore di uno solo dei sessi, lesiva della partecipazione democratica e della rappresentanza reale del paese. Una trattativa, in condizione di pari dignità, per occuparsi insieme della cosa pubblica, nella direzione di una democrazia compiuta, che ha funzionato in molti sistemi democratici. E invece apriti cielo, le quote (se rosa) da noi diventano un insulto, la vergogna del genere femminile, fino alla bocciatura alla Camera del minimale emendamento alla legge elettorale con le liste bloccate e il successivo ritiro dallo stesso dai lavori del Senato, affinché "si eviti un altro bagno di sangue" - pare abbia mormorato una autorevole esponente della CdL. Insomma, a grande maggioranza, quel 90% ha decretato che il Parlamento è mio e lo gestisco io. Se un percorso a tappe non è più prevedibile, allora da oggi le donne sosterranno con forza la loro legittima aspirazione al ruolo che proprio nella presenza istituzionale e nella candidatura alla gestione della cosa pubblica deve essere rivendicato in termini imprescindibilmente paritari; l'opportunità e la presenza non possono che essere uguali, perché così recita la Costituzione Italiana, agli artt. 3/51/117 - e la Costituzione Europea. La percentuale di presenza femminile in Parlamento è attestata ad uno scarso 11%. Ad ogni obiettivo raggiunto, ci si opponevano altre richieste; abbiamo lottato e lavorato ancora, e non per sentirci dire da un Presidente - riparatore: "a voi ci penso io, state tranquille". La di-screzionalità del singolo è la negazione dello stato di diritto. E' pronto un appello per il Presidente Ciampi, presto sarà sui tavoli nelle piazze, per chiedere che non si firmi una legge elettorale in contrasto con la Costituzione Italiana. Uno studio sul voto in Gran Bretagna ha evidenziato che in un sistema stabile il voto è condizionato dalla performance di media e lunga durata dei partiti politici, mentre in sistemi in movimento i migliori risultati li ottengono nuovi partiti che si presentino in campagna elettorale. Temo che la stangata inferta in questo caso in modo irresponsabile, volgare e violento alle nostre istituzioni ed all'immagine dei partiti politici tradizionali, vedrà la nascita di partiti a leadership e composizione maggioritaria femminile che si porteranno a casa un sacco di voti, segreti, nei quali le donne, e anche tanti uomini, restituiranno quel voto segreto ai loro ex parlamentari. *responsabile Mfr |