Una ricorrenza per parlare di valori e relativismo culturale Intervento presentato a Ospedaletto, 16 settembre 2005, nell'ambito delle giornate repubblicane. di Gianni Ravaglia Al di là delle varie interpretazioni filosofico - culturali, che lascio a chi meglio di me ha approfondito i caratteri del mazzinianesimo, ritengo importante rilevare che in Mazzini, a differenza di altri pensatori liberali, l'idea di libertà è innervata dal concetto del dovere che comporta l'esigenza di rafforzare le virtù civiche dei cittadini, la loro integrazione civica, per realizzare, a cominciare dalla famiglia, un superiore interesse nazionale e, quindi, universale. Non so se l'indubbio successo delle manifestazioni per il bicentenario della nascita di Mazzini abbiano lasciato il segno nella riproposizione del pensiero che sottende tutta l'opera del maestro e cioè che uno stato democratico, una repubblica, non può vivere se non ha valori condivisi che ne sostengano le fondamenta. Credo comunque che la misura del successo delle celebrazioni di questo bicentenario sarà dato dalla sensibilizzazione che avremo fornito all'opinione pubblica circa l'esigenza di recuperare quei concetti di repubblicanesimo e di religione civile, che sono propri del pensiero mazziniano, quali presupposti di valore del nostro stato laico democratico e che vorremmo diventassero valori universali. Trovo decisivo riscoprire tali concetti per vari motivi. Innanzitutto, dalla nascita dello stato italiano ad oggi il tema dell'identità italiana, dello scoprire la ragion d'essere del nostro stare insieme come Stato o per meglio dire come Patria comune, ha coinvolto un dibattito tra cattolici e laici, tra liberalismo e totalitarismo, tra il valore della giustizia e quello della libertà, sul significato della resistenza, sulla validità dei principi inseriti nella nostra Carta Costituzionale. Di fatto però l'unico riconoscimento univoco che si è riusciti ad ottenere è il valore dello Stato democratico laico, inteso come non etico. Per il resto un comune sentire circa l'identità della nazione è ancora condizionato da conflitti atavici. Il problema che io mi pongo allora è questo: se ancora non abbiamo un comune sentire nazionale, pure in una normale dialettica che almeno riconosce il vincolo della democrazia, come faremo ad affrontare la nuova sfida, che si pone a tutto l'occidente, del fondamentalismo islamico, che invece non riconosce questo vincolo, che ancora concepisce solo lo stato etico, che neppure sa declinare la parola libertà, che non esiste nel lessico arabo? In secondo luogo si avverte in Italia la carenza di valori civili di base, condivisi, elemento questo cui fa da contrappeso l'affermarsi di un relativismo culturale di derivazione marxista, del quale l'espressione più problematica è un generico multiculturalismo, con effetti deleteri sul piano interno e internazionale, ma anche il potenziamento dell'unica supplenza valoriale oggi avvertita che è quella della Chiesa. Per intenderci, io penso che tra gli articoli più disattesi della nostra Costituzione vi sia l'articolo 4 che recita: "il cittadino deve concorrere al progresso spirituale e materiale della società". Cioè l'articolo dei doveri. Nel comune sentire dei cittadini la nostra pare essere solo una democrazia di diritti, ciò che manca è una cultura dei vincoli di cittadinanza. L'esempio, per non dire altro, del livello della nostra evasione fiscale, che attraversa tutti i ceti, è il sintomo più evidente dell'assenza di tali vincoli. Le grandi energie di solidarietà che pure esistono sono investite fuori dal quadro politico, dentro una realtà sociale che non sa o non vuole trasferire alla politica tali motivazioni. Cosicché la politica si dimostra incapace di fissare obiettivi che vadano oltre il menu di diritti individuali se non in alcuni casi delle licenze individuali e dei gruppi corporativi. Ciò che manca all'Italia è una diffusa cultura repubblicana. Cittadinanza, civismo, integrazione civica, patriottismo costituzionale, religione civile, interesse nazionale, sono tutti concetti propri di un lessico repubblicano. Se anche i laici vivono di rendita Non è il momento qui, dato il tempo a disposizione, di affrontare la complessità dei problemi che si pongono, mi basta denunciare un punto: anche la cultura laica in questi anni ha creduto di poter vivere di rendita sulle tesi dei suoi grandi maestri senza produrre riflessioni innovative. Il problema della secessione imposto dalla Lega, i nodi dello sgretolamento della famiglia, del ruolo delle scuola, i problemi dell'immigrazione, quelli del progressivo depauperamento delle condizioni di sviluppo della Nazione, i problemi immensi che pone lo sviluppo della bioetica, sono tutti temi che invece andrebbero approfonditi alla luce dei valori repubblicani. Così come credo vada approfondito il tema della religione civile. Come religione civile potremmo intendere -con G. E. Rusconi- un insieme di credenze che fanno riferimento ad una unità trascendente che fungono da legittimazione a una comunità politica e alla qualità della sua integrazione. Al di là della religione di chiesa, quella cristiana, nella tradizione italiana possiamo riconoscere due varianti di religione civile: quella crociana "di religione della patria come religione di libertà" e quella mazziniana che ci dice: "l'ordinamento politico di una nazione è un solenne atto religioso e nella parola ordinatrice la religione e la politica affratellano in bella e santa armonia. Il nome di Dio splenderà sull'alto edificio che la nazione innalzerà: il popolo ne sarà la base. E' Repubblica questa? E' Repubblica". Il potere temporale della Chiesa e la sua contrarietà all'unità della nazione ha poi fatto prevalere, negli interpreti del mazzinianesimo, concetti fortemente anticlericali tali da accantonare la forza e la modernità complessiva del messaggio mazziniano nella sua versione di una ricerca di una religione civile. Il ruolo della religione civile Ebbene io credo che, se il mazzinianesimo vuole svolgere un ruolo di interesse nazionale, riproponendo i valori propri di una identità nazionale per l'Italia, deve rivalutare anche il concetto di religione civile di Mazzini. Repubblicanesimo e religione civile provengono dallo stesso ceppo e sono due modi di completare le teorie della libertà promuovendo anche l'integrazione civica e il civismo, senza i quali la stessa libertà rischia di perire nell'arbitrio o nell'anarchia. In altri termini, senza negare ad alcuno, a cominciare da me stesso, il diritto al proprio umanesimo ateo, se riteniamo che per uno stato democratico sia essenziale avere cittadini liberamente consapevoli di avere vincoli di reciprocità e di cittadinanza, e se crediamo sia decisivo per l'Italia che i cittadini scoprano il legame repubblicano della reciprocità tra diritti e doveri, ritenendo tale legame fondamentale per una comunità politica che voglia configurarsi come nazione; dunque, come laici dobbiamo concedere, abbandonando quelle forme di anticlericalismo di cui ancora si ammanta certa cultura laicista, che i cittadini cattolici mantengano la propria autonomia dogmatica e istituzionale e avanzino con gli strumenti dello stato liberale le proprie richieste per il rafforzamento dell'identità religiosa, così come i cattolici debbono porsi l'obiettivo essi stessi di costruire una religione civile, riconoscere la forma liberale dello stato che ha compiti suoi propri separati da quelli della chiesa, nel reciproco riconoscimento di una comune identità nazionale. Un cattolicesimo liberale dunque in grado di riconoscere che, pur esistendo una storia di divisioni, esiste anche una comune identità nazionale. Dibattito a più voci A tal proposito credo sia importante approfondire il dibattito a più voci tra Pera, Habermas e il nuovo Papa Ratzinger, soprattutto laddove quest'ultimo ammette che "vi sono patologie della religione che sono assai pericolose e che rendono necessario considerare la luce divina della ragione come un organo di controllo, ma anche alla ragione-se si parla di bomba atomica e dell'uomo visto come prodotto- devono essere rammentati i suoi limiti ed essa deve imparare la capacità di ascolto nei confronti delle grandi tradizioni religiose dell'umanità". A mio parere i principi del repubblicanesimo e della religione civile rappresentano anche una risposta al relativismo culturale. Su questo piano ritengo si giochi il nodo dei rapporti culturali con la sinistra postcomunista e socialista. Crollato il muro di Berlino e il mito del totalitarismo di stampo marxista-collettivista, la sinistra, in debito di valori guida, nel rifiuto della cultura liberale e di quella repubblicana, non volendo smentire le proprie origini marxiste, ha abbracciato la filosofia relativista. Il relativismo nega che i valori possano essere oggettivamente fondati. Secondo questa concezione non esistono valori universali da condividere e da difendere, in base ai quali giudicare altre culture, altri regimi, altri valori, ciò in quanto gli uomini, i loro pensieri, sono solo frutto dell'ambiente e della cultura in cui vivono. Tale concezione in sostanza non riconoscere il valore liberale dell'autonomia dell'uomo come individuo pensante. Tale concezione invece è figlia del pensiero di Marx, che scrive: "non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere,ma è,al contrario, il loro essere che determina la loro coscienza". Dal relativismo è nato il concetto di multiculturalismo in forza del quale ogni cultura ha una sua valenza che è inutile giudicare. E così i valori che da Socrate in poi in occidente si sono ritenuti universali, della libertà , della democrazia, per tale scuola di pensiero, sono solo illusioni, credenze accettate in quanto appunto prevalenti nelle società occidentali. Dunque per impedire un giudizio storico di forte critica sul totalitarismo collettivista, il politicamente corretto della sinistra italiana ed europea, oggi vuole imporre un pensiero prevalente che non permette a noi, sulla base dei nostri valori occidentali liberali e repubblicani, di giudicare i regimi teocratici o quelli totalitari, né potremmo decidere di voler insegnare ad altre culture i valori della dignità dell'uomo e del suo essere capace di capovolgere la premessa marxista: di decidere il proprio essere e la propria storia con la propria coscienza. Esportare la democrazia Il dibattito attorno alla validità o meno della tesi di esportare la democrazia nei regimi che non solo ne impediscono lo sviluppo, ma che minacciano in vario modo lo sviluppo delle nostre società, ha al fondo una valutazione su tali aspetti. Anche il comportamento che dovremo tenere nei confronti dell'immigrazione discende dall'aver sciolto tale nodo ideale e politico. Sergio Romano sul "Corriere della Sera" scrive che lui non si preoccupa se in futuro potremo avere un Italia islamica. Non so perché Romano la pensi così, so però che questo è il vero obiettivo della sinistra marxista, che preferisce l'islamismo al liberalismo. Io invece mi preoccupo , non tanto per me che non la vedrò, ma per i miei figli e nipoti. La polemica sugli scritti della Fallaci o sulle esternazioni di Marcello Pera è il frutto di diverse valutazioni attorno a tale problematica. Ma anche qui a ben vedere la cultura repubblicana e della religione civile ci offre gli elementi per una risposta. Se è possibile ed anzi auspicabile ricercare i caratteri di una religione civile in chi, come la chiesa cattolica, riconosce il valore della ragione per mitigare i fondamentalismi della fede, e il valore dello stato laico democratico, come ha scritto il nuovo Papa, ben più difficile ci appare il dialogo con le religioni che ancora negano tali principi. Ci si dovrebbe domandare prima di contestare la Fallaci o Pera, quale potrebbe essere il punto di incontro e se c'è un punto di incontro. Si parla di stati arabi moderati, ma la moderazione di tali stati è conseguenza dei rapporti di forza geopolitica oppure è, come noi vorremmo, il risultato di un processo educativo che ha scoperto e che insegna la dignità dell'individuo, uomo o donna che sia, la sua autonomia di pensiero, la sua libertà di partecipare e di decidere la forma democratica del proprio stato. Come mai, mi chiedo, il responsabile della Lega araba ha contestato duramente la prima Costituzione in odore di democrazia, approvata da uno stato arabo, quello iracheno. E ancora, i cittadini che giungono in Italia dai paesi arabi hanno interesse ad integrarsi, ad accettare i nostri valori, a discutere assieme a noi della validità dei loro. Hanno la volontà di diventare parte attiva, con valori condivisi, dei diritti e dei doveri della cittadinanza - o no. Se noi accettiamo, secondo la logica del relativismo e del multiculturalismo, che l'Arabia Saudita continui a finanziare le madrasse e i doposcuola per insegnare anche in Italia la logica del terrore ai bambini musulmani, come ci potrà essere integrazione? E ancora, se è vero che la logica demografica, stante i processi immigratori in atto, potrebbe condannare l'Europa a soccombere di fronte all'avanzata dell'Islam- di questo passo, infatti, i nostri nipoti sarebbero costretti a vivere in una Europa a maggioranza islamica- quale comportamento dobbiamo assumere? Accettiamo il multiculturalismo e snaturiamo i nostri valori fondamentali, o chiediamo che siano gli altri a cambiare se vogliono ospitalità in Italia e in Europa, riproponendo per intero l'insegnamento dei valori del liberalismo, del repubblicanesimo e della religione civile? La mia risposta avrete capito qual è. Dico di più: io disprezzo il cinismo di Sergio Romano. Ma se Romano continua a dettare il suo verbo politicamente corretto nel maggiore quotidiano della borghesia nazionale, qual è la gravità del pericolo? Cari amici, la posta è molto grossa. Io credo che vada denunciato con forza che sul valore della libertà, sui diritti umani, individuali della persona, sui diritti alla partecipazione democratica, sul principio dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, quale che sia il sesso, la razza o la religione professata, tutti principi sconosciuti e anzi combattuti dall'islamismo, non esiste meticciato possibile. La mia valutazione è che vada difeso Pera contro coloro che lo denigrano senza aver capito il senso del suo ragionamento, e lo difendo contro l'intellettualismo politicamente corretto che, per citare un detto della sinistra francese, ha sempre preferito aver torto con Sartre piuttosto che avere ragione con Aron, ma che appunto ha sempre avuto torto. Il dramma è che continua imperterrita a sentenziare, e trova sempre nuovi utili idioti che le credono. Ma siccome la democrazia è anche questo, dico solo che il dialogo, lo scambio, l'integrazione, nuove sintesi culturali e politiche sono sempre possibili e auspicabili, ma esse trovano fondamento proprio nell'affermazione e condivisione di alcuni valori universali che vanno difesi e possibilmente affermati in tutto il mondo. |