Ddl Gentiloni, ovvero una serie di provvedimenti rivolti al passato/Un disegno di legge che non tiene minimamente in conto le nuove modalità dell'utenza odierna

Parlare di televisioni per dimenticare la Finanziaria

Il disegno di legge a firma del Governo su proposta del Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, che tante polemiche sta sollevando, affronta il problema del riassetto della TV italiana in maniera del tutto errata e non tenendo conto di quella che è la realtà attuale del sistema televisivo. Per questo appare piuttosto come il tentativo, riuscito, di giungere ad una pluralità di obiettivi che nulla hanno a che fare con il riassetto televisivo. Per raggiungere fini politici si è scelto un settore estremamente politicizzato: la TV.

Il primo obiettivo è quello di ricompattare la coalizione di governo che, specie nelle ultime settimane, aveva dato gravissimi e sempre crescenti segnali di disgregazione.

Il secondo è quello di spostare l'attenzione proprio dalla finanziaria, sottoposta a quotidiani attacchi da parte di settori della stessa maggioranza di governo e dall'intera opinione pubblica, tanto da far precipitare nei sondaggi i consensi intorno all'Esecutivo.

Insomma, che la situazione sia grave ma non seria lo dimostra il contenuto del disegno di legge: tutto incentrato su problemi ormai datati che nel tentativo di tener conto delle moderne tecnologie, fotografa invece, ed ancora una volta, la situazione italiana proponendo modifiche che non modificheranno nei fatti alcunché.

Tutti sanno, infatti, che la vera anomalia non è semplicemente riconducibile al possesso da parte di un unico soggetto privato di tre emittenti commerciali, bensì la gestione da parte di un soggetto pubblico di tre emittenti che non fanno solo servizio pubblico ma anche tv commerciale e per il quale i contribuenti pagano una tassa (il canone). Inoltre, la tv pubblica quale spazio per tutti a garanzia del pluralismo è teoria ampiamente superata. La tv pubblica è diventata semplicemente un terreno di ingerenze e vere lottizzazioni politiche, come del resto tanti altri settori del nostro Paese.

Ed allora perché non provare a risolvere veramente i problemi del sistema televisivo italiano affrontando il nodo gordiano della privatizzazione della Rai invece di abbandonarsi alla "caciara" politica delle solite polemiche tutte incentrate sul duopolio Rai-Mediaset. Tale duopolio che regna nel sistema analogico di trasmissione è già in disfacimento nel sistema satellitare, dove l'offerta è praticamente infinita.

Non si è tenuto conto che la televisione ormai non è più quella di inizio anni Novanta. Il futuro è altro rispetto al dibattito che noi conduciamo in Italia tutto incentrato intorno ad una tecnologia obsoleta come l'analogico. Già adesso il mondo televisivo vuol dire digitale e canali satellitari, pay per view e canali tematici, ecc. Moltissimi hanno la parabola ed accedono, già oggi, ad un'offerta televisiva illimitata, e circa una famiglia su quattro ha un abbonamento Sky (poco meno di quattro milioni di abbonati a Luglio 2006), mentre sono in costante aumento le parabole condominiali. La scelta di programmi in questa prospettiva è aumentata a dismisura ed il telecomando, quale potere del tele-consumatore, è vero strumento di dominio. La raccolta pubblicitaria, poi, non è più un problema o un ostacolo che impedisce l'ingresso di nuovi soggetti. La pubblicità è una risorsa, che con l'aumento dei soggetti televisivi va a premiare quei canali che trasmettono programmi di qualità o quelli che veramente riscuotono gradimento nel pubblico. Insomma, già oggi la tecnologia satellitare fa questo. Milioni sono le famiglie che non guardano più la televisione dai canali analogici. Milioni sono le famiglie che non guardano più i programmi Rai e quelli Mediaset, ma altro.

In questo contesto non vi è spazio alcuno per il canone, per l'auditel così com'è concepito, né per una televisione gestita dallo Stato quale unico garante di servizio pubblico di qualità. Del resto, quest'ultimo assioma è ampiamente superato e confutato. Infatti, se per servizio pubblico televisivo si intende quello caratterizzato da spazi dedicati alla cultura, all'approfondimento, alla formazione e all'informazione, ebbene questo è spesso ed egregiamente garantito anche dalle tv private.

Ed anche la nostra denuncia circa la scarsa qualità dei programmi e dell'offerta televisiva, condotta alcuni giorni fa sulle colonne di questo giornale, andrebbe a questo punto indirizzata meglio, perché in un contesto tecnologico avanzato e diffuso lo spettatore può sempre scegliere di vedere altro.

Insomma, se il sistema analogico di trasmissione sta segnando il passo, viene da chiedersi come sia possibile affrontare queste problematiche attraverso vecchi schemi. Il dubbio è che non si vogliano affrontare e risolvere veramente i problemi dell'assetto televisivo. Questo vorrebbe significare, da una parte, la privatizzazione della Rai, che di fatto è già tv commerciale, e la cancellazione del canone, e, dall'altra, incentivare lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie in grado di ampliare la scelta televisiva da parte degli utenti. Ma vi è un ulteriore elemento che non viene toccato dal disegno di legge e dal dibattito sullo stesso: la rete internet. La Rete è già fonte di informazione infinita, di accesso infinito, di comunicazione infinita. Un disegno di legge lungimirante sul riassetto tv non può non tenere conto di quello che è non più un fenomeno ma una piacevolissima (per noi utenti) realtà. Attraverso internet corrono immagini, filmati, musica, notizie, informazioni, opinioni, ecc. ecc.. Internet sta rivoluzionando il nostro modo di vivere. Gli unici che non se ne stanno accorgendo, se non in misura limitata, sono i politici italiani. I nostri politici non riescono a capire quali siano le enormi potenzialità della Rete Internet, verso quale direzione sta andando il mondo delle comunicazioni, perché gli uomini più ricchi della terra sono dei giovani intorno ai trent'anni. Come è possibile che non ci si renda conto che il futuro è altro? Sembra impossibile.

Inoltre, in molti, e tra questi anche noi, si chiedono a chi convenga investire su una televisione analogica nel 2009 (data di entrata in vigore del disegno di legge Gentiloni, quando e se diverrà legge) quando tre anni dopo, il 2012, si dovrebbe passare tutti al digitale. Mah?!

Come dice il saggio: "L'uomo che non sa è sospettoso!". E stando così le cose, purtroppo, il sospetto che il dibattito sia strumentale è più che legittimo.

Solo che le domande, a questo punto, si fanno più "maliziose". Cosa si nasconde dietro questo disegno di legge? Solo gli obiettivi politici evidenti o vi è qualcosa d'altro che sfugge? Si creerà un nuovo soggetto televisivo, un terzo polo tv, che gestisca le due reti analogiche nazionali? O due ulteriori e diversi soggetti? E a chi verrebbero assegnate le frequenze? È in gioco una partita ben più grande che tocca tutti i settori delle comunicazioni? Qual è l'obiettivo finale? Quale strategia si nasconde dietro questo inizio d'autunno, in cui il settore delle comunicazioni sembra in gran subbuglio?

E pensare che problemi più gravi sono tutti lì ad attendere!

Giovanni Postorino