"il Riformista" 13 settembre/Il fascino discreto dell'asse franco-tedesco La ritirata da Kabul non sia tradimento di Giorgio La Malfa Caro direttore, non conosco le ragioni specifiche che hanno determinato la decisione del governo di porre termine alla missione militare italiana in Afghanistan. Può trattarsi della difficoltà, per un paese come il nostro che ha un limitato numero di uomini pienamente addestrati ed equipaggiati per missioni di questa portata, di protrarre troppo a lungo nel tempo impegni tanto gravosi. In questo senso, è possibile che il nostro ritiro avvenga nel quadro di un avvicendamento con truppe di altri paesi e che esso sia pienamente compreso e condiviso dagli alleati. Non vorrei invece che la cessazione dell'impegno in Afghanistan riflettesse un desiderio di sottrarci ai rischi di una partecipazione alla lotta internazionale contro il terrorismo e che esso segnalasse, nel sommarsi delle posizioni della sinistra con quelle di vasti ambienti della maggioranza, in qualche scivolamento progressivo verso le posizioni franco-tedesche, quasi la correzione di rotta rispetto alle posizioni assunte dal governo nei mesi scorsi. Dico questo perché, in effetti, le vicende dell'Iraq hanno sostanzialmente scardinato la solidarietà internazionale manifestatasi all'indomani dell'attentato dell'11 settembre nella lotta contro il terrorismo. Nella riflessione seguita a quella tragica giornata, gli Stati Uniti hanno maturato il convincimento che combattere efficacemente il terrorismo islamico richieda un'opera di prevenzione che non può aver luogo attorno ai possibili bersagli degli attentati e che la sola via per risolvere il problema, sia quella di ottenere un mutamento di tutti i regimi politici mediorientali presso i quali i gruppi terroristici trovano rifugio e sostegno. In questo senso la guerra in Iraq è stata la necessaria continuazione della guerra in Afghanistan e potrebbe essere seguita da altre azioni militari nei confronti degli Stati responsabili di offrire copertura ai gruppi terroristici. E' difficile dare torto a questa analisi, anche se sono evidenti i rischi di una impostazione di questo genere ed in particolare il pericolo che si innesti una spirale di azioni e reazioni essenzialmente analoghe a quelle di cui constatiamo tutti i giorni le tragiche conseguenze fra Israele e la Palestina. E tuttavia è molto difficile cogliere nelle posizioni europee una qualche impostazione alternativa che non rappresenti un cedimento sostanziale alla minaccia terroristica e che offra la speranza di realizzare con mezzi meno cruenti e con meno rischi, lo stesso risultato. Nelle vicende di questi mesi e nel passaggio fra la coalizione contro l'Afghanistan e la guerra all'Iraq, vi sono stati errori da ambo le parti, di cui oggi gli Usa cominciano a rendersi conto, mentre non mi pare che gli europei, in particolare i francesi e i tedeschi, intendano fare altrettanto. La colpa degli americani è di avere oscillato fra l'idea di costituire una vera e propria alleanza, che richiede ovviamente la disponibilità ad assumere insieme le decisioni necessarie e quella di fare da soli, considerando gli europei come comunque indisponibili all'azione. La colpa degli europei è stata quella di non comprendere la natura della sfida posta dal nuovo terrorismo e di far sentire sola l'America. Il rischio è che questa frattura si dimostri assai più profonda e duratura di quanto non si pensi e che la divisione in seno al mondo occidentale finisca per incoraggiare i gruppi decisi a ricorrere comunque all'arma del terrorismo. Nei mesi scorsi, l'Italia ha avuto il coraggio di sostenere sul piano politico, se non con la partecipazione militare diretta, l'azione anglo-americana contro l'Iraq. Il governo si è dato l'obiettivo, nel semestre nel quale ha la presidenza del Consiglio europeo, di cercare di attenuare la divaricazione fra Europa e Stati Uniti. Esso può farlo con autorevolezza a condizione però di non modificare le posizioni tenute nei mesi scorsi e, soprattutto, a partire dall'11 settembre. Esso dunque deve mantenere in pieno sia le posizioni politiche sostenute finora, sia gli impegni, cominciando in particolare da quelli di carattere militare. |