In memoria di Franco Modigliani: ricordo di un amico Una perdita per l'economia, una perdita per il nostro Paese di Giorgio La Malfa "La Teoria Generale - scrisse Paul Samuelson nel 1946 alla morte di John Maynard Keynes – colpì la maggior parte degli economisti che avevano meno di 35 anni con la violenza inattesa di un'epidemia che attacchi una tribù isolata di aborigeni di un'isola dei mari del Sud." Franco Modigliani non apparteneva a questa tribù, giacché nel 1936, quando apparve la Teoria Generale, egli aveva solo 18 anni, era in Italia e non aveva ancora intrapreso gli studi economici. E' ovviamente impossibile sapere che cosa sarebbe stata la sua vita se non fosse dovuto emigrare in tutta fretta dall'Italia nel 1939 per le leggi razziali. Certo è che, trasferitosi in America con la moglie Serena, egli si formò direttamente sulle nuove idee keynesiane e divenne esponente preminente della generazione di economisti che sviluppò tutte le potenzialità delle idee di Keynes e le concretizzò. Il suo primo contributo rilevante fu una formulazione matematica dell'equilibrio keynesiano; seguirono gli studi sulla formazione del risparmio, che gli valsero nel 1985 il premio Nobel. Poi venne l'elaborazione dei modelli econometrici dell'economia americana. Poi gli studi sul valore delle aziende quotate e infiniti altri scritti, ciascuno dei quali vivificato dall'originalità del punto di vista, dal confronto attento delle teorie con i dati della realtà. Fino agli inizi degli anni '60 Franco, che negli Stati Uniti godeva già di una vasta considerazione, non tornò, se non sporadicamente, in Italia. Credo di essere stato io all'origine della sua ripresa di rapporti con il Paese. Lo avevo conosciuto a Cambridge, in occasione di un suo seminario nella facoltà di economia. Quando nel 1964, con una scelta allora inconsueta per gli economisti italiani che studiavano più o meno tutti a Cambridge, mi trasferii al Mit, lo reincontrai ascoltando il suo bellissimo corso di lezioni sulla politica monetaria. Modigliani aveva un'assoluta disponibilità verso i giovani; li incoraggiava ad andargli a parlare, non sembrava mai avere fretta di liberarsi di loro, distribuiva generosamente idee. Non aveva alcun tratto di arroganza, ma invece dimostrava una convinzione ferrea nelle idee e nella conclusione dei ragionamenti. Se questa era la conclusione alla quale conduceva l'analisi, quella diventava un punto fermo da difendere. Per me questo era uno dei tratti del suo genio. Fu lui a prendere l'iniziativa dei nostri rapporti. Mi chiese di cosa mi stessi occupando e quando gli dissi che stavo studiando le più recenti "Relazioni della Banca d'Italia", che Guido Carli, diventato Governatore nel 1961, aveva immediatamente arricchito nella documentazione statistica e nelle considerazioni di politica economica, e che avevo dei dubbi su di esse, egli si soffermò a lungo a parlarne. A metà del 1965 mi propose di scrivere insieme un saggio sulla politica monetaria e la condotta della Banca d'Italia nel periodo 1962-64. Quella collaborazione fu per me l'esperienza più formativa nel campo degli studi economici: dopo avere discusso le linee generali dell'argomento, io buttavo giù un paragrafo; Franco lo leggeva, diceva che era fatto piuttosto bene e nelle successive 5 o 6 ore il paragrafo veniva integralmente riscritto, arricchito, trasformato in un'altra cosa. Alla fine il saggio fu pronto e fu il primo scritto di economisti relativo a vicende economiche dell'Italia contemporanea. Paolo Savona lo mandò alla "Rivista Economica" di cui la Banca d'Italia aveva deciso di intraprendere la pubblicazione, fu anche stampato nel numero zero. Ma poi la Banca decise di non farne più niente. Guido Carli propose invece a Modigliani di divenire consulente per la realizzazione di un modello econometrico dell'economia italiana. Franco accettò e così iniziò la lunga consuetudine di periodi di studio al MIT di giovani economisti italiani. Con il nostro studio sull'economia italiana, apparso intanto su "Moneta e Credito", e la successiva collaborazione in Banca d'Italia , Modigliani ritrovò un rapporto con l'Italia. Egli e Serena ricordavano sempre che erano cittadini americani. Ma la passione con la quale Modigliani seguiva le vicende italiane diceva qualcosa di diverso: questo era il loro paese che amavano, ma i cui difetti li facevano infuriare. Così come faceva infuriare Franco la politica della Banca Centrale Europea sulla cui critica ci incontrammo di nuovo nella seconda metà degli ani '90. Modigliani è morto mentre si preparava a una visita di due settimane alla BCE a Francoforte, nella tana del lupo, come talvolta diceva, nella quale avrebbe affrontato lo schieramento di tutta l'intelligenza conservatrice d'Europa. Il dolore personale per la sua scomparsa è accresciuto dal fatto che la scelta della collaborazione con Berlusconi era stata una fonte di contrasto fra noi. Né da parte mia, né credo da parte sua era stato intaccato l'affetto profondo di quarant'anni di vita. Ma per Franco (e per Serena) la collaborazione con il centro-destra risultava incomprensibile. Per me – argomentavo – la questione era di carattere politico e osservavo che il centro-sinistra non aveva dimostrato di saper governare. Non obiettava a questo, ma diceva che verso una collaborazione con la destra vi era una questione morale e dunque se non si poteva fare politica a sinistra e non la si doveva fare a destra, era meglio emigrare, magari per tornare a studiare negli Stati Uniti. Sapevo che questo era un punto delicato fra noi. Non contavo sul fatto che il tempo avrebbe lenito il contrasto. Contavo sul fatto che gli sviluppi della situazione politica e della nostra azione avrebbero, come sono certo, dimostrato che le nostre scelte erano state dettate dal desiderio di servire gli interessi del paese e si erano rivelate giuste. Mi dispiace che Franco se ne sia andato. E' una perdita per il pensiero economico, è una perdita per l'Italia che aveva in lui un osservatore severo ed amico; è una perdita personale per me che debbo ormai abituarmi, dopo tanti amici scomparsi, a una estrema solitudine. |