30° Seminario sulle emergenze planetarie/L'incontro di Erice Sistema economico e sviluppo sostenibile di Giovanni Pizzo L'estate del 2003 dovrebbe essere ricordata a lungo non perché sono stati disintegrati tutti i record di temperature e di siccità, ma, soprattutto, perché ha messo drammaticamente in evidenza i legami fra i temi ambientali e connessi eventi atmosferici e il sistema economico, facendo intravedere la necessità, in un futuro forse non così lontano come avremmo creduto, di dovere affrontare complesse trasformazioni del nostro modello di sviluppo. Come capita in alcune giornate particolarmente limpide, che ci fanno vedere all'orizzonte terre che normalmente non vediamo, gli eventi di questa torrida estate hanno fatto intravedere la barriera contro cui è diretto il "transatlantico" della nostra economia di mercato: l'insostenibilità ambientale dei prelievi necessari ad alimentare il sistema. Il cerchio dei limiti ambientali e della competizione globale sta stringendo i sistemi economici più maturi verso l'angolo della recessione, ma di ciò sembra che gli economisti "ortodossi" non si accorgono, impegnati come sono a rincorrere il fantasma della crescita del PIL, indicatore sempre più obsoleto, retaggio di un passato in cui vi erano margini di crescita ormai quasi completamente saturati. E mentre 130 studiosi provenienti da 30 Paesi in occasione del trentesimo seminario sulle emergenze planetarie tenutosi ad Erice a fine agosto, si trovavano sostanzialmente d'accordo sugli scenari di aumento delle temperature del globo dei prossimi anni (salvo poi a dissentire sulle cause che originano questi fenomeni) a fronte dei quali si intravedono gigantesche riconversioni dei sistemi produttivi ed infrastrutturali e redistribuzioni della ricchezza, sulle stesse pagine dei giornali apparivano le diatribe fra gli economisti "ortodossi" circa i dati di contrazione del PIL di Francia, Italia, Olanda, Germania e della zona euro in generale, con disquisizioni tecniche sulla differenza fra "recessione" e "stagnazione" e venivano riportate le decine di "stime" dei così detti "analisti", sempre più "sorpresi" dai risultati effettivi peggiori delle loro previsioni. Per l'Italia il 2003 viene collocato fra un ottimistico + 0,8% ed un pessimistico +0,4% (sul 2004 - come ormai succede da diversi anni per l'anno "successivo" sono tutti più ottimisti - con un + 1,7 – 1,8%). Eppure fra le tematiche affrontate ad Erice, la saturazione dei sistemi economici e la questione della crescita del PIL, esiste una stretta correlazione sulla quale sarebbe necessaria una maggiore attenzione da parte di coloro che disegnano gli scenari dello sviluppo futuro. Un aspetto da valutare attentamente è proprio quello della "saturazione fisica" dei sistemi economici: non crediamo sia solo una coincidenza se le economie che si sono fermate prima sono quelle di Giappone (il Giappone viene da una recessione quasi decennale), Germania, Italia e Olanda, dove il rapporto PIL/superficie territoriale risulta essere elevatissimo. Si potrebbe ipotizzare che la densità di PIL sulla superficie costituisca un indicatore della insostenibilità degli ulteriori prelievi sull'ambiente e della crescita esponenziale dei costi ad essi connessi tali da costituire un freno alla crescita del PIL. Un esempio facilmente comprensibile è quello dello stock di infrastrutture che – stante l'attuale modello economico – è necessario per supportare la crescita del PIL. E per restare in tema con gli eventi di questa estate, prendiamo in considerazione l'energia: se il tasso di sviluppo economico italiano procedesse al ritmo del 2,5% annuo come desiderato fortemente da tutti, la richiesta di elettricità – stante l'attuale modello di consumo – sarebbe destinata ad aumentare al ritmo del 3% annuo portando i consumi nazionali dagli attuali 320 miliardi di chilowattora annui a oltre 350 nel 2006 per arrivare a 420 miliardi di chilowattora nel 2012; la domanda di picco (quella dei black – out per intendersi) passerebbe dall'attuale valore di 53.105 megawatt (record del 17 luglio 2003) a bel oltre 70.000 megawatt del 2012. Se si vanno a vedere i programmi di costruzione di nuovi impianti di produzione notiamo che a fronte dell'annuncio di nuovi impianti per 60.000 megawatt (che ci farebbe diventare esportatori) si contrappone un dato di 11.800 megawatt autorizzati dal ministero delle Attività produttive fra il 2002 ed il 2003, ed un misero 2.000 megawatt realmente in costruzione; la gran parte delle iniziative sono condizionate da veti e vincoli ambientali rafforzati dalla "saturazione" del territorio. E' evidente, perciò, che, senza drastici interventi sia sul fronte dell'offerta che su quello dei consumi, il sistema elettrico non sarà in grado di sostenere il tasso di sviluppo desiderato del 2,5% annuo. Analoghe considerazioni valgono per il sistema di mobilità delle merci e dei passeggeri: basta vedere in quale stato di congestione si trovi in questo momento quello del Nord Italia; nonostante il massiccio sforzo programmato con la legge "obbiettivo" non crediamo che – stante l'attuale indice di correlazione fra crescita del PIL e crescita del fabbisogno di infrastrutture di mobilità - si possano realizzare ritmi di crescita del PIL del 2,5% annuo senza determinare il collasso del sistema. Ma una considerazione ancora più drastica dovrebbe sollecitare le analisi ed i contributi degli economisti: forse bisogna prendere coscienza che è giunto il momento di rinunciare a qualche millesimo di crescita del PIL – una parte del quale è formato paradossalmente dagli interventi destinati a risarcire i costi conseguenti alle emergenze legate agli eccessi di sfruttamento – ed affrontare da subito la riorganizzazione del sistema economico per realizzare la "virata" del transatlantico nella direzione dello sviluppo sostenibile, utilizzando lo strumento della programmazione degli anni sessanta opportunamente rivisitato, come suggerisce Giorgio Ruffolo nell'articolo "Il saccheggio del Pianeta fra sprechi e inquinamento" ("Repubblica" del 23 agosto 2003). |