All'Università Commerciale Bocconi è stato ricordato Giovanni Spadolini. Riproduciamo l'intervento pronunziato dal sen. Del Pennino/Fu devoto a Milano e a tutto quello che la città rappresentò nella nostra storia nazionale. Le battaglie compiute a metà degli anni Settanta nella carica di ministro per i Beni culturali

Quella certa idea dell'Europa che in lui giungeva a fondersi con una certa idea dell'Italia

Il 20 settembre è stata organizzata alla Bocconi di Milano una giornata dedicata a Giovanni Spadolini. Riproduciamo l'intervento del senatore Antonio Del Pennino.

di Antonio Del Pennino

Credo che il miglior modo per ricordare - a dieci anni dalla scomparsa - il rapporto tra lo Spadolini politico e la città di Milano sia rileggere alcuni passi del discorso che egli tenne il 3 giugno 1991 al Consiglio Comunale riunito in seduta straordinaria per salutare l'allora presidente del Senato in occasione della sua nomina a Senatore a vita.

Egli ebbe a dire in quell'occasione: "Debbo un grazie di cuore ai miei vecchi elettori che continuerò idealmente a rappresentare anche come senatore a vita, devoto a Milano e a tutto quello che Milano ha rappresentato nella storia nazionale. ‘Senatore di Milano a vita', ho detto, appena comunicata la decisione del Presidente della Repubblica, proprio per significare questo vincolo di assoluta continuità, di fedele continuità."

"Milano si intreccia, nella mia memoria, nel conto dei debiti, con Firenze. Firenze quella certa idea dell'Italia. Milano, quella certa idea dell'Europa. L'una inseparabile dall'altra: perché non c'è Italia senza Europa, come non c'è Europa senza Italia."

"La patria del cuore e la patria della ragione. La città delle mie memorie familiari, dei miei studi, dei miei libri, su a Pian dei Giullari, e quella che considero la mia città d'elezione, la città cui debbo tutto, per quanto riguarda l'uomo pubblico e il magistrato civile."

"Il mio debito con Milano è altissimo, sul piano dell'autobiografia intellettuale ma anche dell'autobiografia personale. Debbo a Milano il mio primo libro di rilievo nazionale "Il papato socialista", uscito e battezzato qui per i tipi di Longanesi."

"Debbo gli anni, che considero fra i più difficili e importanti della mia vita, della direzione del Corriere della Sera, fra il ‘68 e il ‘72."

"Debbo il mio mandato parlamentare, la fedeltà costante e l'aiuto determinante nelle opere di governo e di partito che ho potuto condurre avanti."

Spadolini parlava in allora del suo debito con Milano. Noi oggi dobbiamo piuttosto parlare del debito di Milano con Spadolini. Ed è un debito grande. Un debito verso lo Spadolini politico nella cui azione si rifletteva lo Spadolini uomo di cultura, che si tradusse in impegni concreti e in indicazioni importanti per lo sviluppo culturale della città.

Penso alla battaglia per la grande Brera compiuta come Ministro per i Beni Culturali nel governo Moro - La Malfa negli anni 74/76, insieme a un grande sovrintendente cui sempre, rievocando quella battaglia, Egli voleva rendere omaggio: Franco Russoli. E, più in generale, alla creazione, con un vero e proprio blitz legislativo, del Ministero per i Beni Culturali: uno strumento che si è rivelato di fondamentale importanza in un paese come l'Italia, che ha un immenso patrimonio di interesse storico e artistico. Fu per quella sua iniziativa che tutta la materia ha avuto uno sviluppo vertiginoso e nelle nostre città l'attenzione per i Beni Culturali si è profondamente radicata nelle sensibilità della gente.

I giovani che oggi si sottopongono a lunghe file per visitare questo o quel Museo non sanno nemmeno quanto poco affollati fossero quegli stessi ambienti 30 anni fa. E su questo punto mi sia consentita una considerazione di natura politica odierna, se vogliamo attualizzare l'insegnamento di Spadolini.

Spadolini aveva ben forte la consapevolezza che il patrimonio culturale fosse di valenza nazionale come grande testimonianza della civiltà italiana nel suo complesso. Anche qui la storia gli ha dato ragione. E così, anche quando nel 2001 si è modificato l'art. 117 della Costituzione, si è dovuta riservare la tutela dei beni culturali alla legislazione esclusiva dello Stato. E francamente non può non dispiacere che l'attuale maggioranza mostri scarsa attenzione alla materia. La politica delle dismissioni può andar bene per il patrimonio dello Stato in generale, ma non per quei beni che sono caratterizzati da un rilevante interesse storico - artistico. Qui il liberismo economico si deve fermare, giacché l'opera d'arte non è una merce qualsiasi ma il simbolo della stessa identità nazionale. Del resto, pur prescindendo da tante ragioni ideali e tecniche, la dismissione dei Beni culturali è un errore anche politico. La sensibilità della gente è ormai assai acuta nei confronti dei nostri capolavori.

Ho parlato degli impegni concreti di Spadolini, ma importanti furono (e sono ancor oggi) le indicazioni che egli diede per lo sviluppo delle attività culturali nella nostra città. Ne citerò due.

Sulla prima, non vorrei portare via il mestiere al mio amico Tognoli, ma desidero ricordare le sue parole a proposito del Museo della Scienza e della Tecnica, nel discorso al Consiglio Comunale del 24.03.1986 nel dibattito sulla cultura a Milano. "Non credo - egli disse - alla scienza divulgata in chiave di spettacolo, come si è fatto in altre città. Riconosco invece la necessità di fare qualcosa per il Museo della Scienza e della Tecnica, che fa parte del patrimonio culturale di Milano. Un grande museo che non può morire, ma che opportunamente rilanciato può anzi offrire un grande servizio alla città, di raccolta e testimonianza della sua vocazione prevalente in questi due secoli, cioè quella industriale e tecnologica; e che può inoltre diventare un centro di studi sulle realizzazioni tecniche e sulle imprese, di cui si avverte la mancanza in Italia: ne sarebbe la sede più naturale."

La seconda indicazione che egli diede in quel dibattito (e che in qualche modo si ricollega alla prima) riguarda un tema di bruciante attualità, il rapporto Ricerca - Industria. "Fondamentale" - affermò - "è il ruolo della ricerca: Milano è la città dove si concentra il maggior numero di addetti alla ricerca e sviluppo in Italia all'interno delle imprese: ma si avverte la necessità di conseguire un più alto grado di integrazione fra la ricerca applicata che si svolge nelle imprese e l'attività svincolata maggiormente da esigenze produttive immediate che è invece localizzata negli atenei e negli altri centri di ricerca pubblici e privati."

"Se è vero che le quattro università sono un'inestimabile ricchezza per Milano, occorre aiutarle a restare centri di iniziativa culturale per la città. In questo campo, il Comune non può fare nulla come potere diretto, ma molto come proposta. Esso può promuovere ad esempio la creazione di forme consortili fra imprese ed università per la realizzazione e la gestione, nell'area milanese, di impianti di ricerca nei settori avanzati, ad esempio la micro-elettronica e le telecomunicazioni."

"Su questo terreno, passi in avanti si potranno fare cambiando la legislazione nazionale, introducendo incentivi fiscali e così via. Ma le iniziative che possono essere prese subito, grazie alla volontà di collaborazione di enti e istituzioni diverse, a Milano, devono progredire."

E' un'indicazione che conserva ancor oggi tutta la sua attualità. Anche se dobbiamo dare atto che importanti scelte e impegni sono stati assunti dalla Regione Lombardia. Ma vorrei anche a questo proposito sottolineare i ritardi del Parlamento nell'affrontare l'esame del disegno di legge del sen. Castagnetti e mio (non a caso due antichi collaboratori di Spadolini) per la realizzazione dei distretti biotecnologici che, sulla base delle esperienze straniere, rappresentano lo strumento più adeguato per realizzare una sinergia tra università e industria sul terreno della ricerca.

Il riferimento alle esperienze straniere richiama un'altra forte convinzione di Spadolini: quella di Milano come ponte verso l'Europa. Nel ricordato discorso al Consiglio comunale del ‘91 ebbe ad affermare: "Milano rappresenta un ponte fra la cultura e l'economia italiana e quella del mondo d'oltralpe. Sono caratteri essenziali per l'immagine della città, consentitemi di dire: della nostra città. Sono caratteri che si sono rafforzati ed ulteriormente qualificati nella lunga, profonda e silenziosa trasformazione cui è andata incontro in questi ultimi quindici anni."

E da questa convinzione egli derivava alcune conseguenze che meritano una seria riflessione.

"Della Milano illuministica, della Milano dei Verri e dei Beccarla, della Milano delle Interdizioni israelitiche di Cattaneo e della lotta a ogni forma di razzismo - il mostro che dobbiamo ancora debellare - io mi considero un po' figlio: il culto della tolleranza nasce di qui, quell'abitudine a "pensare in europeo" che Stendhal riscontrava a Milano e solo a Milano in Italia, quella passione risorgimentale che ci viene direttamente da Cattaneo, il più europeo di tutti i patrioti dell'altro secolo."

"Io credo all'internazionalizzazione consapevole di Milano, alla sua integrazione, alla sua leadership nelle grandi correnti economiche, finanziarie, civili europee e mondiali. Il che sottolinea e rafforza il già saldo ancoraggio di Milano e dell'Italia alla comunità occidentale e il ruolo essenziale, peculiare, non sostituibile che Milano ha nel quadro unitario dell'Italia, nell'Occidente e nell'Europa."

Emerge da queste parole il rifiuto di ogni tentazione localistica e separatista. Milano come grande città italiana ed europea. Di fronte all'ubriacatura federalista che ha coinvolto in questi tempi il centro destra non meno del centro sinistra, il richiamo di Spadolini ci appare prefigurare quello odierno del Presidente Ciampi, per la difesa dell'unità nazionale in una prospettiva di unità europea, anche perché per Spadolini solo in questa prospettiva Milano può configurarsi come grande realtà in grado di tenere testa a Londra, Parigi, Francoforte. E sul discorso del 24 febbraio ‘96, a Palazzo Marino, su Milano come metropoli del futuro aveva sostenuto: "E' indispensabile che Milano continui a pensare in grande, a superare ogni angustia provincialistica, ogni ossessione ereditata dal passato che sia meramente redistributiva ed egualitaristica."

"Il senso di una grande Milano, obbliga a pensare in grande, a sfuggire ad ogni dimensione municipalistica e ad ogni attrazione di campanile."

"Milano è oggi la sola città che possa liberare l'Italia dalle tentazioni della frammentazione, cioè dell'anti-Risorgimento; è la sola città che possa difendere il nesso unitario e risorgimentale in funzione del nesso federale europeo per la connessione che fin dall'alba del Risorgimento stringe la causa dell'Italia unita alla causa dell'Europa unita."

Il riferimento a Milano come metropoli del futuro non era casuale né improvvisato. Derivava da una profonda convinzione. Non a caso il primo d.d.l. che conteneva precise norme per costituire le città metropolitane fu presentato proprio dal Governo Spadolini, con Ministro dell'Interno Rognoni, nel 1982. Sono passati 22 anni e malgrado la città metropolitana sia stata "costituzionalizzata" non si vede ancora una concreta prospettiva per la realizzazione di un soggetto istituzionale di cui Milano ha bisogno.

Ho cercato di evidenziare solo alcuni punti dei molti su cui si sviluppò l'azione di Spadolini a Milano e per Milano. Gli amici che parleranno in questo pannel altri ne affronteranno e approfondiranno. Mi sia consentito, per chiudere, un riferimento non improvvisato, né strumentale. Il Presidente Monti ha scelto la data del 20 settembre per ricordare Spadolini a Milano. E' una data su cui Spadolini ha molto scritto, ed è una data che ha grande significato per chi crede nell'unità d'Italia e, anche in questa stagione politica, nella difesa dei principi della laicità dello Stato. Quei principi che Spadolini così riassumeva nell'articolo di congedo dal "Corriere della Sera", alla vigilia del suo diretto impegno politico: "Mi sono concretamente battuto in questi anni, nella linea di separazione fra Chiesa e Stato, per l'autonomia del potere civile in ogni occasione, dal divorzio al referendum, pur sforzandomi di non offendere mai la coscienza dei credenti nei punti di fede, che valgono più di tutti i compromessi o gli armistizi fra i potenti."