Zavorre in Italia/Continua imperterrito il ben noto sistema che si basa sulle raccomandazioni

Studiare non serve più: meglio le pubbliche relazioni

di Giovanni Pizzo

In questi giorni la stampa e la televisione hanno (ri)scoperto uno degli aspetti più coloriti del popolo italico, che sembrava essere passato nei cassetti dei ricordi della "prima repubblica": la raccomandazione. E' bastato un semplice "Data base" delle Poste con i (numerosissimi) casi di assunzione per "raccomandazione", e relativo riferimento al Politico raccomandante, per riportare agli onori della cronaca un fenomeno che da semplice "vizietto" di costume ai tempi delle mirabili parodie di Alberto Sordi, dopo anni di privatizzazioni, liberalizzazioni, globalizzazioni, bipolarizzazioni ed alternanze, è dilagato a cancro della società. Negli anni settanta la scoperta di un simile documento avrebbe determinato fragorose richieste di dimissioni del Ministro delle Poste da parte dell'opposizione, certamente non allo scopo di ottenerle (non vi era la benché minima possibilità) ma allo scopo, ben più concreto, di essere più considerati nelle successive spartizioni di posti. Nei vari dibattiti televisivi una fetta dei personaggi invitati ha minimizzato la questione riconducendola ad un modo di essere degli italiani, perché tutti lo hanno fatto, lo continuano a fare e lo faranno sempre. Anche Ciancimino sosteneva che tutto è mafia e che quindi la mafia non esisteva. Quando il fenomeno era circoscritto ad una quota del 20 – 30% di zavorra che ogni Ente o Istituzione che si rispettasse era "costretto" ad imbarcare per mantenere buoni rapporti con la politica, il bilancio poteva essere positivo: in fondo bastava sovraccaricare del 20% i "buoni", selezionati seriamente, e restava il valore aggiunto della benevolenza dei gruppi politici "amici". Allora esistevano i concorsi pubblici, attraverso i quali coloro che non potevano contare sulle "spintarelle" avevano la possibilità di "infiltrarsi" all'interno delle graduatorie truccate. Anzi ciò era da tutti auspicato per confondere le prove. In ogni caso esisteva il rischio di denunce, indagini e qualche condanna c'è stata. Ad un certo punto si è cambiato rotta: basta clientelismi; privatizzando e liberalizzando, le sane forze del mercato e della concorrenza avrebbero operato le vere selezioni! E così, via gli Enti di diritto pubblico e spazio alle Società per azioni operanti nell'ambito del privato, anche se totalmente controllate dalla politica, sia direttamente attraverso il capitale sociale, sia indirettamente perché esercenti pubbliche funzioni controllate dalla politica. Eni, Enel, Banche, Ferrovie, Poste, Sviluppo Italia, Sogesid, Aziende municipali, per acqua, energia, rifiuti, farmacie, cimiteri, ecc., tutte funzioni pubbliche passate alla forma di S.p.A, con tanto di uffici del personale a fare assunzioni dirette. Non sono esenti certi privati che stanno sulle colline "protetti" dallo "tsunami" della competizione che fracassa le coste. Una volta venivano usate a mo' di foglie di fico, le società di "cacciatori di teste"; poi qualcuno avrà pensato che era uno spreco pagare quelle società, tanto tutto era sempre deciso prima. Il fenomeno è letteralmente dilagato. Al Sud, dove più stretto è sempre stato il controllo politico dei posti di lavoro, sono stati superati i livelli di una dittatura: di fatto non esiste più possibilità di trovare nemmeno lavori precari, o addirittura di fare "stages" se non indicati da qualche politico.

Perché si tratta di un cancro che uccide una società civile? Basta parlare con un giovane studente universitario di Palermo o con un neo laureato. La maggior parte è perfettamente consapevole: se non ha ancora un "riferimento" politico, lo cercherà, magari per mezzo del Papà, o, meglio, frequentando i luoghi dove intrecciare amicizie con amici di politici (questo spiega le improvvise folle di giovani che frequentano particolari locali dove si fa vedere qualche politico importante con i suoi amici). Molti scelgono il tipo di laurea semplicemente perché in quel settore possiedono più "agganci". Perché, poi, uno studente dovrebbe impegnarsi a studiare molto? Evidentemente è più proficuo il tempo dedicato alle "pubbliche relazioni". Ancora più inutili, se non dannosi, diventano i master all'estero, perché lasci la piazza e quando torni i tuoi colleghi hanno chiuso tutto. Ricordo ancora il "paterno" consiglio che mi dette il Professore con cui avevo lavorato volontariamente per un anno all'Università: qui il tempo della precarietà è lungo, poi ci sono la figlia di Tizio, la cognata di Caio; tu sei bravo, ti sei laureato con 110 e lode, un master all'estero è quello che ci vuole, io ho buoni contatti con Università Americane, ti posso accreditare. Io non andai in America perché non avevo i soldi per farlo: un anno dopo, puntualmente, la figlia di Tizio e la cognata di Caio erano ricercatrici.