Colloquio a Oxford con lo scrittore israeliano: perché è necessario un confine tra Ebrei e Palestinesi Yehoshua: fermate il tempo in Medio Oriente OXFORD - Questo è il resoconto di una conversazione di straordinario interesse con Abraham Yehoshua sui problemi del Medio Oriente, su come egli ritiene che la questione andrebbe affrontata, sul ruolo dell'Europa e dell'Italia che, a suo avviso, ha la possibilità di parlare con autorevolezza ad ambedue le parti in causa. Al problema mediorientale siamo giunti dopo avere parlato di tante cose, delle ragioni rispettive che ci avevano portato a Oxford, del ritorno del tempo inglese alla normalità, cioè alla pioggia, di quello che fanno i nostri figli. A un certo punto la conversazione si e' spostata sul Medio Oriente. Qui Yehoshua ha cominciato a parlare con grande passione. Una soluzione, una via di uscita dalla condizione attuale va trovata e va trovata subito - ha detto. Egli vi ha riflettuto a lungo e profondamente, conosce e ritiene di comprendere la mentalità palestinese ed è giunto alla conclusione che una sola strada è possibile e deve essere imboccata con decisione. Israele deve procedere unilateralmente alla separazione dai palestinesi. Ha ricordato di aver promosso un manifesto, firmato tra gli altri da Pietro Citati, in cui è esposta questa idea. La costruzione di un muro - ho detto io. No, non un muro - ha risposto - un confine, un border, una parola che è tornata molte volte nella nostra conversazione, tracciato unilateralmente da Israele che veda la rinuncia a buona parte dei territori occupati - il 80-85% dei territori - ha precisato. Non si tratterebbe di una soluzione definitiva, ma di una soluzione provvisoria soggetta a ulteriori aggiustamenti, da farsi dopo qualche tempo, attraverso un negoziato, quando gli animi si siano raffreddati e sia maturato un clima di convivenza fra palestinesi ed israeliani. Questo clima di convivenza - dice Yehoshua - richiede che cessi questa contiguità, questa permeabilità che porta gli israeliani fra i palestinesi e viceversa e che agli uni e agli altri dà il senso che tutta quella terra sia di ciascuno di essi e che l'altro la occupi illegittimamente. L'idea di un confine, di un border, è importante per gli israeliani perché per loro è una nozione nuova alla quale la loro cultura e la loro storia non li ha abituati, ma un confine darebbe loro anche maggiore sicurezza. Esso sarebbe il solo modo per frenare o impedire gli attentati suicidi che minacciano in maniera terribile la sicurezza di Israele. Anche per i palestinesi sarebbe un fatto importante perché essi acquisterebbero il senso di essere i padroni e responsabili di un loro territorio. Ed inoltre il ritiro unilaterale implicherebbe la chiusura delle colonie isolate collocate in seno al territorio palestinese che rappresentano, per i palestinesi, la vera spina nel fianco. E poi un border consente anche delle gates, cioè consentirebbe anche un interscambio più normale fra le due aree. In fondo - ha aggiunto - così si è risolto il problema del Sud del Libano: Israele si è ritirata unilateralmente. Gli hezbollahs hanno potuto dire che essi avevano ottenuto una vittoria con il ritiro di Israele e da quel momento il confine è divenuto "freddo". Se dal Sud del Libano partono attacchi militari, Israele può rispondere, ma è un rapporto da stato a stato, non un'occupazione militare israeliana. E su quel fronte le cose vanno relativamente meglio. Gli ho chiesto se l'opinione pubblica israeliana è disponibile a questa soluzione. Oggi no - mi ha detto - anche perché il terrorismo ha creato un grande disorientamento nella testa di tutti. Il Lykud e i partiti religiosi sono contrari a riconoscere che la sovranità di Israele debba essere limitata a una parte del territorio e tuttavia alla fine questa soluzione potrebbe imporsi come la più ragionevole. Quanto ai laburisti - i miei amici laburisti, ha precisato - parte di essi insiste che la sistemazione non possa essere unilaterale: essa dovrebbe avvenire attraverso un negoziato, una trattativa da riavviare al più presto. Ma si affacciano oggi delle nuove personalità fra i laburisti che condividono questa mia idea. In ogni caso, l'idea è molto popolare fra la gente che vuole avere una maggiore sicurezza che Israele non riesce a garantire mediante l'occupazione dei Territori. Oggi non ci sono - ha ripetuto - le condizioni di fiducia reciproca per una trattativa. La situazione assomiglia al caso di un malato che abbia un'emorragia mentre è in camera operatoria: Camp David era la sala operatoria. In questo caso la sola cosa da fare è sospendere l'operazione, decongestionare il problema, stabilire un equilibrio provvisorio per tornare più avanti a definire una soluzione territoriale adeguata. Questa soluzione dovrà comprendere anche il problema di Gerusalemme, un problema molto difficile, ma che in condizioni meno tese potrebbe forse trovare una definizione. Oggi serve una separazione dei due popoli, un confine. Se Israele si persuadesse a procedere ad un ritiro unilaterale, le cose cambierebbero, forse cambierebbero più rapidamente di quanto non si pensi. Altrimenti? Altrimenti - dice - vi è il rischio che il Medio Oriente esploda in forme impreviste. L'Europa deve rendersi conto di questo pericolo. Essa deve intervenire e spingere Israele alla creazione del confine, del border e convincere i palestinesi che questa è la strada - ha ripetuto. E dovrebbe anche capire, l'Europa, che se non si troverà una soluzione, non si può escludere una terribile esplosione di odio e di violenza contro gli ebrei in Medio Oriente che potrebbe avere conseguenze gravissime. L'Europa - ho osservato io - non è in grado, almeno oggi, di assumere un'iniziativa politica; non ha le sedi istituzionali nelle quali decidere un'azione rilevante di politica estera. In più essa porta con sè un pregiudizio favorevole per la causa palestinese di cui non riesce a liberarsi e che le rende difficile parlare con autorevolezza ad Israele. Allora - ha replicato Yehoshua - cominci l'Italia. Essa gode di molto rispetto in Medio Oriente, del rispetto di Israele, ma anche degli arabi perché non è percepita come una potenza coloniale. Voi potete fare qualcosa. Voi dovete fare qualcosa. Potete aiutare nella ricerca di una soluzione. Queste sono le riflessioni di un grande intellettuale. Esse richiamano a considerare il nodo mediorientale come qualcosa che ci riguarda da vicino. Ma vi è di più. Esse segnano una strada che può essere percorsa. Giorgio La Malfa "La Stampa" 23 agosto 2002 |