da "La Nuova Basilicata" 24 novembre 2002 "Uso dello Stato, controllo del Lavoro, padronanza della Cultura" di Renato Cittadini * C'è un tentativo in atto di presentare la sconcertante sentenza del Tribunale di Perugia come l'ennesima vicenda da addebitare alla confusa transizione italiana mutilata dell'equilibrio dei poteri e in balia dei debordamenti di pezzi di magistratura; lo scopo sottile è quello di ostentarlo come contraltare dell'arroganza di un governo contaminato dal conflitto di interesse, che incurante di ciò fa approvare dal Parlamento leggi e riforme a colpi di maggioranza. E' un atteggiamento, questo, teso a logorare e provincializzare l'impresa riformatrice del governo, la sua determinata funzione nel voler impostare la ripresa interna nel quadro di un'azione politica internazionale, attraverso il rapporto con le grandi questioni sul tappeto mondiale: terrorismo, immigrazione, fame nel mondo, etica, ambiente, diritti. Tende inoltre produrre un effetto di rottura sociale che si accompagna con l'accentuarsi del pansindacalismo, con l'estremismo movimentista della ex "intellighentia organica", ora girotondina e "no- global" e con l'ostruzionismo parlamentare del centro sinistra. Si ravvisa, al contrario, la necessità di comprendere che tali azioni rappresentino, sostanzialmente, varianti politiche di una stessa reazione conservatrice a difesa dello stato corporativo e perciò pericolosa in quanto minano lo spirito reagente della Nazione, tentando di invalidare il governo legittimo e di offuscare le autonomie dei poteri costituzionali. E' ora che i partiti della Casa delle Libertà, i liberaldemocratici, pongano più che mai per la politica italiana l'urgenza di affrontare un grande ruolo nel panorama europeo e mondiale per aprire una nuova stagione di grandi azioni e di grandi pensieri simili a quelle che in passato vide protagonisti Einaudi e De Gasperi. La nostra democrazia nacque con l'entusiasmo dei progetti per poi svilirsi nei logoranti riti delle spartizioni, non divenendo mai una democrazia compiuta, completamente liberale. Il lungimirante ruolo svolto dal Governo Berlusconi in politica estera, il carattere marcatamente riformistico in politica economica e nel riassetto istituzionale dello Stato, rappresentano una svolta di cambiamento verso una dinamica progettuale di alto profilo. Tuttavia ciò appare insufficiente e svigorito, a causa dei freni e lacci che tengono ormai da troppo tempo fermo il treno italiano e in sintonia con questi che si pone la manifesta contrarietà del centro sinistra ad un'azione politica propositiva nell'ambito della condivisione di principi di interesse nazionale. Modernizzare la politica ha come significato il recidere le basi di sostegno all' "ancien regime", in sostanza equivale a completare quella rivoluzione liberale della quale tutti ne hanno dichiarato l'estremo bisogno. Diversi sono gli aspetti su cui si regge la rigida imbalsamatura della società italiana, ma le colonne portanti che la sorreggono sono tre: l'uso dello Stato, il controllo del Lavoro, la padronanza della Cultura. Per più di mezzo secolo lo Stato italiano ha vissuto nel compromesso corporativo della gestione democristiana; di un potere che si articolava sulla protezione accordata alla grande industria; nel mantenimento ed espansione dell'industria pubblica; nella concessione di privilegi ai sindacati confederali. E' all'interno della partecipazione a questa gestione corporativa della società, dell'economia e al mantenimento di questa che la sinistra ha subordinato la sua legittimità allo Stato. L'esperienza di governo è stata fatale al post-comunismo italiano, perché esautorando dal suo interno ogni voce e filone riformista, ha inteso proteggere ciò che la Dc non poteva più, sostituendosi semplicemente ad essa come luogo di mediazione e governando con un patto corporativo in un autentico conflitto con l'interesse della nazione. Questa politica ha determinato l'incapacità per la Sinistra di compiere quei cambiamenti strutturali che il Paese aveva bisogno e la sua attuale crisi, in un ‘epoca post ideologica, non sta nel non aver più un insieme di valori né un sistema ideologico coerente, ma nell'assenza di una visione dello Stato diverso da quello corporativistico, vecchio e reso del tutto obsoleto dai processi di internazionalizzazione della politica e della globalizzazione dei mercati. Finchè non ci si renderà conto che la sinistra italiana deve includere nella propria identità ideologica il concetto dello Stato liberale, con le sue sfere di distinzione e soprattutto con il suo concetto di limitazione dei poteri, bisognerà prendere atto che essa ne rappresenta l'antitesi. Riportare, dunque, la politica nel canale della concezione liberale dello Stato è un compito di supremo interesse nazionale che la Casa delle Libertà e tutti i laici e i liberaldomocratici devono accingersi a compiere, allo scopo di liberare forze riformiste sopite ed emarginate dalla sinistra, utili e disponibili per ricomporre nuove e moderne aggregazioni assimilabili al quadro europeo, costituito da tre grandi filoni politico-culturali: Popolar-conservatore, Liberaldemocratico e Socialdemocratico. E' un obiettivo che pone fine alla lunga e dannosa transizione e permette di avviare l'Italia su un binario di legittimazione democratica che valorizzi le sue grandi potenzialità e peculiarità, ridando ai cittadini certezza nel diritto e responsabilità nei doveri. * Già consigliere regionale |