2002: un anno senza riforme di Davide Giacalone Per carità, i bilanci di fine anno sono come gli oroscopi, destinati ad essere presto dimenticati, meglio non farne, quindi. Ma il 2002 lascia alcuni insegnamenti interessanti, dei quali è bene far tesoro. L'intero anno è stato governato da un esecutivo forte di una vasta maggioranza parlamentare, di un recente successo elettorale, di una fisiologica dialettica interna, che ne conferma e non smentisce la solidità. Sull'operato di questo governo si possono avere opinioni diverse, ma è sicuro che l'anno si chiude senza che siano giunte in porto riforme importanti ed urgenti: dal tema delle pensioni e della previdenza a quello della scuola, dal problema della giustizia al mercato del lavoro, dalla sanità alla ricerca scientifica. La macchina legislativa, pur in assemblee con maggioranze solide, appare inceppata allorquando non si tratti di provvedimenti settoriali o particolari. Le cose stanno così non per cattiva volontà di questo o di quello, ma perché l'intera architettura istituzionale è oramai afflitta dalla convivenza di modelli diversi. Ci sono interi capitoli concepiti secondo una logica proporzionale (si veda la nomina dei giudici costituzionali, protrattasi in modo indecoroso, o la stessa designazione del consiglio d'amministrazione della Rai) che non possono essere letti con gli occhiali del sistema maggioritario. La contraddizione è stridente e porta a forzature, od al blocco dell'attività. Così come, del resto, vi è una struttura statuale che comprende determinati tipi e funzioni di autonomia locale, ma che provoca infiniti problemi quando il decentramento amministrativo e legislativo non viene condotto di pari passo con le riforme istituzionali (si veda il tema della fiscalità, così come quello sanitario). Il passaggio dal vecchio al nuovo, ammesso che si sappia ove si vuole arrivare, non può essere condotto secondo le regole dello spogliarello: tolgo un pezzo di qua ed uno di là, perché l'effetto è decisamente meno attraente del modello originale. Una conseguenza, pericolosa, molto pericolosa, di questo stato di cose è che la Presidenza della Repubblica, proprio per i doveri conservativi che le derivano dalla Costituzione, finisce con il trovarsi di traverso rispetto ad alcune direzioni di marcia della maggioranza parlamentare, liberamente e democraticamente formatasi con il voto popolare. Solo chi non ha cultura e sensibilità istituzionale può non comprendere il pericolo che questo cela. Un secondo insegnamento ci viene consegnato sul terreno della politica estera. Nel corso di quest'anno la Nato è stata allargata fino a comprendervi la Russia; allo stesso tempo, però, gli Stati Uniti hanno preferito condurre la guerra al terrorismo fuori dall'alveo Nato, rivolgendosi ad alleanze mutevoli. Nel corso di quest'anno si è prepotentemente posto il tema dell'allargamento dell'Unione Europea, sia verso est che verso la Turchia, nel mentre la stessa Unione ha mostrato la debolezza derivante dall'assenza di una politica estera condivisa. Ciò significa che lo scenario internazionale è mutato, e molti punti di riferimento si sono spostati. E' un tema che non può essere sbrigativamente liquidato, quel che qui importa sottolineare e che l'Europa dei padri fondatori, concepita secondo i canoni di una statualità federale, da una parte ha perso forza politica, dall'altra ci lascia comunque rigidità economiche che rischiano di impedire l'uso di strumenti anticiclici. Il che significa che rischiamo di uscire dalla crisi economica in ritardo rispetto agli Stati Uniti, senza per questo portare a casa il risultato di un'Unione più coesa politicamente ed istituzionalmente. Considerato che l'europeismo e l'occidentalismo sono le due stelle che hanno orientato le forze democratiche italiane, ce n'è in abbondanza per concludere l'anno con l'impegno di dar meno per scontata la stabilità del firmamento. giac@rmnet.it |