da "L'opinione" mercoledì 4 dicembre 2002 Le riforme che mancano in Italia di Fiorenzo Grollino Dense nubi si addensano all'orizzonte di questo governo, che, oltre a dover fare i conti con le calamità naturali, deve alcune risposte alla Commissione europea ed al Commissario Pedro Solbes, guardiano delle economie dei quindici paesi dell'U.E. Incominciamo col dire che le nuove regole sul patto di stabilità non favoriscono l'Italia, sia per il suo elevato debito pubblico sia per le difficoltà di stare sotto la soglia del 3%, diminuendo dello 0,5% all'anno il deficit di bilancio per raggiungere nel 2006 il pareggio. Oltre queste, altre nubi si profilano e riguardano una più rigorosa interpretazione del Patto di stabilità, che rischia di far saltare le misure una tantum, che potrebbero non essere valide ai fini del calcolo del deficit italiano. La Commissione fino ad oggi si è limitata a sottolineare che nelle misure del bilancio dell'Italia ci sono troppi provvedimenti transitori, e così pure il Fondo monetario. Sta prendendo corpo, infatti, il principio che la valutazione delle condizioni di bilancio dei singoli paesi aderenti all'Unione europea deve essere condotta "in termini strutturali, cioè al netto delle fluttuazioni cicliche", e "delle manovre che hanno effetti transitori sul bilancio". Se così fosse, l'Italia avrebbe ulteriori motivi di preoccupazione. Ma anche a voler prescindere, per il momento, da questa prospettiva, il nostro Paese potrebbe essere sottoposto ad "una procedura per deficit eccessivo", se le nuove regole interpretative del patto di stabilità approvate il 27 novembre scorso a Bruxelles, verranno ratificate nella primavera prossima. Queste regole non sono certamente favorevoli all'Italia, che fatica ormai a tenere il passo, insieme a Germania, Francia e Portogallo, con i paesi virtuosi, anzi si trova in una situazione peggiore di questi tre paesi, avendo un debito pubblico che nel 2002 si attesterà al 110,3% del PIL, rispetto al 60% previsto dal Trattato di Maastricht. A ben vedere queste nuove regole penalizzano non poco un paese come l'Italia, che da sempre ha fatto fatica a tenere il passo con gli altri partners, anche prima del suo ingresso in Eurolandia, ingresso che ha avuto del miracoloso se si pensa che un anno prima, avendo fino a quel momento sforato tutti i parametri di Maastricht, era fuori dal club dei Paesi dell'Euro. Ora, però, i nodi vengono al pettine, ed il nostro paese rischia di segnare il passo, andando incontro a rigorose sanzioni. Vediamo adesso in concreto le cinque regole, in base alle quali il patto di stabilità diventerà più sofisticato, più trasparente e nel contempo, più flessibile; mentre per l'Italia sarà in salita la marcia verso il riequilibrio. • La prima regola riguarda i saldi strutturali, in quanto uno degli obiettivi principali del patto di stabilità è che il bilancio deve essere vicino al pareggio o in surplus, e cioè al netto delle fluttuazioni legate alla congiuntura. • La seconda riguarda i paesi ancora in deficit, che dovranno tagliare il deficit strutturale dello 0,5% annuo fino al conseguimento del pareggio. Va da se che dovranno fare di più i paesi con forte deficit. • La terza regola stabilisce il principio secondo cui le politiche discrezionali a fini di stabilizzazione sono concesse solo ai paesi che hanno creato nei propri conti pubblici sufficienti spazi di manovra, e comunque in circostanze limitate. Le violazioni di questo principio saranno sanzionate. • La quarta regola concede una certa flessibilità ai paesi virtuosi, che potranno realizzare "deterioramenti temporanei" della posizione strutturale di bilancio a fronte di riforme di ampia portata. Ciò significa che sono premiati i paesi "virtuosi" che hanno fatto già "sostanziali progressi" verso il pareggio e con un debito pubblico inferiore al 60% del PIL. • La quinta regola del piano elaborato dal commissario Pedro Solbes prevede che i paesi con un debito molto superiore al 60% del PIL, come l'Italia, Grecia e Belgio, "dovranno presentare nel programma di stabilità una ambiziosa strategia a lungo termine per ridurlo". L'incapacità di riportarlo verso il 60% "a un ritmo soddisfacente, farà scattare la procedura antideficit eccessivi", prevista dall'art. 104 C del Trattato. Inutile dire che il paese più penalizzato da queste regole è proprio l'Italia, che deve superare un mega esame che riguarda deficit nominale (2,4%) e strutturale (1,8%), super-debito (110,3%) e sostenibilità delle finanze a lungo termine, e cioè il grande "buco" dei conti INPS ed il problema dell'invecchiamento della popolazione, che, in assenza di riforme del sistema pensioni, provocherà un aumento delle spese tra il 4 e l'8% del PIL. Per tal motivo il tasso annuo di riduzione strutturale del deficit, fissato allo 0,5% del PIL, "dovrà essere più elevato nei paesi il cui disavanzo o debito siano importanti, come in un contesto di crescita favorevole". La Commissione europea, poi, intende vincolare i governi dei quindici Paesi a questo piano antideficit, proponendo al Consiglio europeo del 15 marzo 2003 di assumere un impegno solenne per il rispetto del piano. Appare chiaro fin da adesso che la posizione dell'Italia è la più pesante, perché il suo debito è il più elevato rispetto a quelli di Grecia, Belgio, Austria e Germania, senza contare che per far tornare i conti nel solo 2003 mancano all'appello dai 20 agli oltre 30 miliardi di euro. In questo contesto di gravissime difficoltà finanziarie, si inserisce la caduta di competitività della Azienda Italia con la perdita di rilevanti quote di mercato. Tanto è vero che di questo argomento si è occupato, oltre al presidente di Confindustria, il Presidente Ciampi, che si è sentito in dovere di lanciare, sia pure in modo indiretto, un richiamo al governo, quando, in sede del premio Leonardo, ha dichiarato:"siamo tutti colpiti e preoccupati nel vedere che nella competizione internazionale l'Italia sta perdendo quote di mercato" non solo sui mercati mondiali, ma anche all'interno dell'Europa. Di questa debolezza sui mercati europei e mondiali non si può far carico agli imprenditori, ma al governo che ancora non riesce a varare le riforme strutturali che già da tempo vengono richieste a gran voce dalle istituzioni europee ed internazionali. Né il governo può attendere che siano altri a cavare le castagne dal fuoco al suo posto, perché ciò sarebbe come votarsi al suicidio economico. È fin troppo chiaro che una riforma, come quella previdenziale continuamente rinviata, per non dispiacere ai sindacati, può portare il Paese fuori dal quadro economico europeo, con gravissime ripercussioni per una sana crescita del Paese. A questo punto non resta che chiedere al governo quando intenda affrontare la riforma pensionistica che rischia ormai di mandare a picco l'Italia. |