dal "Sole 24 Ore" del 4 dicembre 2002 La Proposta sul Debito Un rigore arbitrario di Giorgio La Malfa e Paolo Savona Il solo aspetto positivo delle proposte di revisione del Patto di Stabilità avanzate dalla Commissione di Bruxelles in questi giorni, è che esse costituiscono il riconoscimento (tardivo) che le regole di Maastricht non sono immutabili come le Tavole della Legge. Nel merito, invece, queste proposte sono inaccettabili sia perché non affrontano il vero problema dell'UME, quello di voler condurre la politica economica mediante regole meccaniche di funzionamento, sia perché si propongono di sostituire la regola di conduzione della finanza pubblica dei Paesi membri, basata su un criterio opinabile come il rapporto fra deficit di bilancio e PIL, con un'altra, ancora più opinabile e anzi arbitraria, come quella di rafforzare il ruolo del rapporto fra debito pubblico e PIL attenuato nel corso delle negoziazioni del Trattato di Maastricht. Come noto, infatti, la Commissione propone di graduare la rigidità degli impegni dei Paesi membri sul deficit di bilancio secondo il livello del rapporto fra il loro debito pubblico e il PIL. Così, per intendersi, la Germania, che ha un rapporto debito/PIL relativamente basso, avrebbe diritto a un più elevato livello di deficit dell'Italia o della Grecia, che sarebbero anzi costrette ad impegnarsi ad avere un surplus di bilancio per ridurre il rapporto debito/PIL in misura consistente ogni anno. I motivi per respingere questa impostazione sono essenzialmente i seguenti. Non vi è alcuna ragione di attribuire un qualche effetto economico di carattere generale allo stock di debito pubblico dei singoli Paesi membri dell'UME. Il debito pubblico comporta oneri per il suo servizio sui singoli Paesi: un limite al deficit, come è nell'attuale Patto di Stabilità, è già una ‘sanzione' per ciascun Paese a seconda dei suoi eccessi passati. Ma il debito pubblico non crea alcun problema alla conduzione della politica monetaria; non minaccia la stabilità finanziaria del sistema: insomma, non ha alcuna rilevanza per l'UME nel suo complesso. Il criterio del debito fu collocato fra i parametri di Maastricht con l'obiettivo esplicito di limitare a un gruppo di paesi fra loro più omogenei l'accesso al primo esperimento della moneta unica; l'esperienza di questi anni non ha indicato alcun problema che sia derivato dalla presenza nell'UME di Paesi ad alto debito, come pure, in epoca recente, non ne sono derivati dal superamento dei limiti del deficit. I limiti posti ai deficit hanno la loro giustificazione nella necessità di non sottrarre risparmio al finanziamento degli investimenti produttivi; poiché il debito pubblico accumulato in passato non ha alcun rapporto con questo problema, non si comprende perché rafforzare il ruolo del criterio che lo riguarda. Nell'esaminare questi problemi, quello che conta è la capacità di risparmio di ciascun Paese: l'Italia, che ha una capacità elevata di risparmio in rapporto al PIL, sottrae semmai una quota minore di risparmio agli investimenti attraverso il proprio deficit pubblico, di quanto non avvenga per altri Paesi con minore propensione al risparmio. In questi anni si è visto che i limiti posti al deficit hanno contribuito al rallentamento della crescita economica ed hanno contribuito a provocare proprio le violazioni dei parametri che essi volevano evitare. Il rischio di un obbligo di riduzione del rapporto debito/PIL del 4% per anno è che esso darebbe luogo a una tale frenata dell'espansione del reddito da provocare un peggioramento del rapporto fra debito e PIL. Questo per quanto riguarda le proposte specifiche della Commissione. Ma ancora più rilevante è l'osservazione di carattere generale su quello che sarebbe necessario fare per migliorare il funzionamento dell'UME, in quanto la revisione delle regole di Maastricht deve essere basata su un'individuazione precisa di quello che non ha finora funzionato. Da questo punto di vista il problema è costituito dalla meccanicità delle regole che furono adottate nel disegnare l'Unione. Ad esse andrebbero sostituiti meccanismi di decisione collegiale a livello europeo in grado di affrontare con la necessaria flessibilità sia i problemi di politica monetaria da parte della BCE, sia quelli di politica fiscale da parte dei Capi di Stato e/o Ministri delle Finanze. L'illusione di Maastricht è stata di poter costruire l'Unione Monetaria senza affrontare i problemi dell'Unione Politica. Per realizzare l'Unione Monetaria senza l'Unione Politica si è pensato di sostituire al meccanismo democratico vincoli sull'azione di politica economica da affidare in gestione a organi burocratici. Così si è proceduto per la politica monetaria, stabilendo che essa dovesse essere condotta con un solo obiettivo quantitativamente predeterminato, quello dell'inflazione; come pure si è proceduto meccanicamente per le politiche di bilancio, regolate dal Patto di Stabilità poggiato su parametri che molto hanno a che fare con i nazionalismi latenti all'interno dell'Europa e poco con i bisogni di sviluppo dell'economia europea. Ma così operando, l'UME è abbandonata a se stessa, come risulta evidente dalla mancanza di segnali politici forti inviati ai mercati sulle effettive intenzioni delle classi dirigenti sul futuro dell'Europa. Il problema di una revisione degli accordi europei si pone, ma essa deve avere come obiettivo l'emergere di una sede politica nella quale assumere le decisioni di politica economica. Se si vuole mantenere la rigida separazione fra responsabilità della Banca Centrale e responsabilità dei governi e delle istituzioni europee, allora deve essere riformulato, come abbiamo scritto a chiare lettere nel Primo Rapporto della Fondazione La Malfa, l'articolo del trattato di Maastricht che stabilisce i compiti della BCE, attribuendo a quest'ultima, in linea con il mandato della Fed americana, accanto alla responsabilità per la lotta all'inflazione, anche quella di sostenere con le sue politiche le possibilità di crescita dell'economia europea. Va inoltre individuata una sede europea alla quale vengano attribuite risorse utilizzabili per condurre una politica comune di investimenti infrastrutturali, che supplementi e rafforzi gli effetti macroeconomici delle politiche dei governi. Insomma, non si tratta di cambiare le regole: si tratta di muovere verso meccanismi di decisione politica, i soli che possano alla lunga far sperare non solo in un successo dell'Unione Monetaria Europea, ma in un più importante e analogo successo dell'Unione Politica. |