da "Il Sole 24 Ore" domenica 22 dicembre 2002 Menichella e il capitano Kamark di Giorgio La Malfa Il modo in cui si sta svolgendo la crisi della FIAT, la volontà delle quattro maggiori banche italiane di credito ordinario di essere associate alle decisioni di carattere manageriale dell'azienda, la possibilità che queste banche divengano azioniste del gruppo, i ripetuti interventi del Governatore della Banca d'Italia su queste materie e infine gli accenni che provengono da diverse parti ed anche dagli ambienti di governo, ad un'ipotesi di ingresso dello Stato nel capitale dell'azienda torinese, hanno dei precedenti nella storia economica del ‘900 dei quali è bene essere consapevoli. Vi è uno scritto che risale al luglio del 1944 di Donato Menichella, allora Direttore Generale dell'IRI e futuro Governatore della Banca d'Italia, su "Le origini dell'IRI e la sua azione nei confronti della situazione bancaria." L'interesse di questo documento, noto agli studiosi dell'economia italiana nel periodo fra le due guerre ma assai meno conosciuto da un pubblico più largo, non è solo quello di ricostruire le vicende che condussero alla istituzione dell'IRI. Esso aiuta a comprendere alcune vicende con cui l'Italia è alle prese oggi. Rileggere la testimonianza di uno dei grandi protagonisti dei salvataggi bancari degli anni '30 e della ricostruzione italiana nel dopoguerra, può contribuire a porre le questioni di cui dobbiamo occuparci nella loro giusta luce e prospettiva. Il documento Menichella nacque così: una sottocommissione della Allied Control Commission, cui dopo l'armistizio furono demandati i compiti di governo economico dell'Italia in collaborazione con il Governo Badoglio, seguiva le questioni finanziarie. "In quel momento, noi dell'Allied Control Commission – scrisse il capitano Andrew M. Kamark che era il responsabile di quella sottocommissione in un ricordo di Donato Menichella – non sapevamo molto dell'IRI; non conoscevamo la vera essenza o personalità dell'organizzazione…Non sapevamo ad esempio se l'IRI…fosse incaricato di portare avanti una qualche visione sociale di tipo fascista; se fosse moralmente corrotto." Ed aggiunge: "Poiché avevo bisogno di comprendere cosa fosse l'IRI, quale fosse e dovesse essere il suo ruolo nell'economia italiana, mi rivolsi a Menichella per avere informazioni. Trovai ciò che aveva da dirmi molto esauriente e, mi sembrò, degno di fede; gli chiesi quindi di preparare un rapporto sulle origini e le funzioni dell'IRI…Egli lo preparò e me lo consegnò agli inizi del luglio 1944". Il Rapporto Menichella, si apre con la considerazione che "l'Italia è stata definita….come il paese dei salvataggi bancari. Paese relativamente povero di capitali e di scarse tradizioni finanziarie; la caduta di una banca o la minaccia della caduta di una banca non sono mai state considerate come eventi normali della vita economica nella quale, come in quella degli individui, alla prosperità può succedere l'indigenza, alla salute la malattia e la morte, sebbene come eventi di carattere straordinario, capaci di commuovere larghe sfere dell'opinione pubblica…provocare dibattiti appassionati…sulla stampa…cadute di ministeri e così di seguito". E prosegue: "I Governi e l'Istituto di emissione, presi quasi sempre alla sprovvista e incatenati dall'urgenza dei provvedimenti, hanno deciso spesso senza conoscere esattamente la situazione effettiva della banca che domandava di essere salvata…..; la ignoranza che da parte dei governi si è avuta in molti casi della situazione effettiva della banca da salvare può essere spiegata, se non giustificata, dalla ignoranza che talvolta si è avuta della situazione medesima da parte degli stessi dirigenti delle banche". La nascita dell'IRI – precisa Menichella - non è frutto di un disegno industriale: "L'IRI trae origine dagli interventi bancari effettuati negli undici anni correnti dal 1922 al 1932…Se lo Stato italiano (attraverso l'IRI) si è trovato a possedere le azioni delle tre maggiori banche del Paese e molte grosse partecipazioni industriali, ciò non è avvenuto in base ad un proposito dello Stato stesso di voler assumere la gestione di importanti complessi finanziari e industriali….; è accaduto invece che avendo lo Stato proceduto al salvataggio di molte banche… esso si è trovato ad essere il proprietario delle azioni degli istituti stessi…e delle azioni industriali da ciascuna banca possedute". Menichella ricorda che lo strumento utilizzato per procedere ai salvataggi bancari fu la creazione nel 1922 di una sezione autonoma del Consorzio per Sovvenzioni dei Valori Industriali, la quale "funzionava in modo semplicissimo: allorché la banca in liquidazione [si tratta in questo caso della Banca di Sconto] aveva bisogno di denaro per pagare le rate del concordato, emetteva delle cambiali all'ordine della Sezione e la Sezione lo stesso giorno le girava alla Banca d'Italia che forniva i fondi con circolazione". L'intervento era inizialmente circoscritto alla cifra di un miliardo di lire. Ma quando si accentuerà nel 1923 la crisi del Banco di Roma, questo tipo di intervento non è più sufficiente e si configura con un decreto legge ministeriale uno strumento "per provvedersi, da parte degli Istituti di emissione, ai salvataggi bancari in modo distinti dalle proprie operazioni e senza limiti". Non si conoscono, dice Menichella, le cifre esatte degli interventi, ma le perdite accumulate raggiunsero i cinque miliardi di lire di allora, ai quali si aggiungeranno quelle dovute per causa degli interventi a favore delle tre grandi banche nazionali, Commerciale, Credito e per l'appunto, Banco di Roma, cioè i tre maggiori istituti di credito del Paese, la cui condotta bancaria è definita da Menichella di tipo "tedesco" per cui tali istituti "possedevano largamente azioni industriali, finanziavano le industrie non solo per i fabbisogni di esercizio ma anche per i fabbisogni di impianti". Menichella aggiunge infine che tali istituti " si ingerivano della condotta delle industrie ponendo nei Consigli di Amministrazione di esse i loro maggiori uomini". Il rapporto d'osmosi fra industria e istituti bancari è già evidente con l'aprirsi della crisi del '29, che in Italia si riverbererà nel 1930 con effetti catastrofici. Come fronteggiarono le banche questa grande crisi? " Esse fecero quel che tutti i banchieri che raccolgono depositi fanno e sempre faranno in simili circostanze; quello che gli amministratori del Credito Mobiliare avevano fatto nel 1893 e quelli della Banca Italiana di Sconto avevano fatto sulla fine del 1921; non ebbero il coraggio di perdere pur di alleggerirsi; anzi, misurando con occhio ottimistico la situazione, ritennero la crisi di carattere passeggero e, illudendosi di riuscire ad attenuarne le ripercussioni…conservarono ed estesero anche il loro possesso di azioni industriali, per affrontare le vendite affluivano sul mercato". La Banca d'Italia, continuando le politiche degli anni '20, risultò esposta, alla vigilia della costituzione dell'Iri, per una somma altissima, 8 miliardi circa, pari ad oltre metà della circolazione complessiva allora pari a poco di 13,5 miliardi di lire. La conclusione amarissima di Menichella è che "in tale situazione non si poteva più parlare di un problema delle grandi banche distinto e separato da quello dell'Istituto di emissione e se le banche, dopo la costituzione dell'Iri, avessero avuto ancora bisogno di fondi e questi non avessero potuto essere forniti... con il ricavato della rapida azione di smobilizzo dell'Iri,… lo Stato si sarebbe trovato non già di fronte al problema di fare o non fare fallire le banche, sebbene di fronte all'altro problema di far concedere ancora altri crediti dall'Istituto di emissione in aggiunta a quelli già erogati o di dichiarare la bancarotta di esso". Dunque lo Stato (allora e forse oggi) interviene non per salvare le industrie, ma per salvare le banche e soprattutto l'Istituto di emissione troppo legato alle banche e troppo solidale con loro. Un giudizio altrettanto netto si trova in uno scritto di Giovanni Malagodi, allora direttore centrale della Comit, per il quale: "l'azione della Banca d'Italia consule Azzolini [l'allora governatore della Banca d'talia] e del Tesoro, fu quasi o senza quasi, carente. Certo – aggiunge Malagodi - essi non avevano i poteri poi previsti dalla legge bancaria del '36. Ma di fronte all'andamento anche troppo visibile della tesoreria delle banche e a quello della borsa; a fronte delle voci sempre più diffuse su questa o quella azienda, via Nazionale e piazzetta delle Finanze, avrebbero dovuto esigere spiegazioni dai dirigenti delle banche a cui riscontavano massicciamente il portafoglio". Si è parlato in queste settimane di intervento dello stato nel capitale del maggior gruppo industriale del paese. Lascio ai lettori di valutare se non valga la pena di riflettere su queste testimonianze per capire quale sarebbe il vero significato di un tale intervento. |