Come riformare l'Europa della moneta di Giorgio La Malfa In un'accorata lettera aperta inviata a Giscard D'Estaing ed ai membri della Convenzione Europea all'indomani del primo turno delle elezioni presidenziali francesi, Barbara Spinelli ha scritto che "Bisogna rifiutare di lasciarsi cullare dall'illusione che l'unione economico-monetaria produca naturalmente, come per necessità, l'Unione politica cui le vecchie élite e gli spiriti illuminati dicono di aspirare." Non possiamo pensare ha aggiunto - "di avere tutto il tempo naturale di fronte a noi". "Il rischio è (…) che quando ci si dirà finalmente pronti per l'Europa, sarà troppo tardi. Che prima di allora sia disfatto anche quello che credevamo solido e permanente: l'unione economico-monetaria, l'euro appena creato." Queste parole sono la critica più forte che possa essere espressa contro l'illusione tecnocratica di Maastricht. Qualora le si prenda sul serio, lo sforzo di rivedere Maastricht deve assumere in Europa una priorità assoluta su tutto il resto, anche sull'allargamento alle nuove democrazie del Centro e dell'Est europeo che non potranno essere chiamate a partecipare a una unione nella quale la politica economica sia definita in modo così confuso ed insoddisfacente. Questo saggio spiega in che modo si sia arrivati alla situazione attuale, e come si potrebbe evitare partendo proprio da una riforma dell'Unione Monetaria Europea (UME), piuttosto che da un improbabile salto in avanti verso un'unione politica - lo scenario catastrofico anticipato da Barbara Spinelli. Federal Reserve e BCE: la diversità di mandato La terza ed ultima fase dell'Unione Monetaria Europea (UME) ha avuto inizio il primo gennaio del 1999 con la fissazione definitiva dei tassi di cambio reciproci fra le valute dei paesi partecipanti e con l'avvio dell'attività del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) e della Banca Centrale Europea (BCE) che è posta al suo centro. Con l'introduzione materiale dell'euro in sostituzione delle valute dei 12 paesi membri, avvenuta all'inizio del 2002, la realizzazione dell'UME è ormai completata nei tempi e nei modi stabiliti nel trattato di Maastricht. La popolazione dell'area dell'euro è pari a circa 310 milioni di abitanti, di poco superiore a quella degli USA, pari a circa 276 milioni. Il reddito nazionale dell'area euro è stimato nel 2001 in circa 8.300 miliardi di dollari, rispetto a poco più di 9.000 miliardi di dollari per gli USA. L'UME è quindi la seconda area economica del mondo, a poca distanza dagli Stati Uniti. E' molto istruttivo fare un confronto sul modo nel quale è organizzata la politica economica sui due lati dell'Atlantico. Lo Humphrey-Hawkins Act del 1978 così definisce i compiti della US Federal Reserve, cioè della Banca Centrale americana: "Mantenere la crescita di lungo periodo degli aggregati monetari e creditizi in linea con il potenziale di crescita di lungo periodo della produzione, in modo da promuovere efficacemente gli obiettivi della massima occupazione, della stabilità dei prezzi e del mantenimento di livelli moderati dei tassi di interesse di lungo termine". L'interesse di questa complessa statuizione è che essa pone su un piano di eguale importanza, fra i compiti della banca centrale, lo sviluppo economico, il mantenimento della stabilità dei prezzi e la ricerca di un livello contenuto dei tassi dell'interesse. Questo non esclude che le autorità monetarie abbiano la responsabilità di assicurare il contenimento dell'inflazione quando le condizioni economiche lo richiedano, ma esse concorrono, insieme con il Governo, il quale, per sua parte, dispone degli strumenti di politica fiscale, alla definizione complessiva della politica economica generale del paese in un'ottica di sviluppo. In particolare, questa formulazione indica che la creazione delle condizioni per una crescita sostenuta della produzione e del reddito nazionale ha fra i compiti delle autorità monetarie un rilievo per lo meno eguale, se non superiore, a quello di assicurare la stabilità dei prezzi. In ragione di questo mandato, dopo avere elevato a più riprese i tassi di interesse nel corso del biennio 1999-2000 per frenare un'espansione economica che poteva minacciare una crescita inflazionistica dei prezzi, nei primi otto mesi del 2001 la Federal Reserve, per favorire la ripresa economica, ha ridotto in sette occasioni i tassi di interesse. Questa politica è stata ulteriormente rafforzata all'indomani degli attentati dell'11 settembre 2001, quando la Fed, in parallelo alla decisione del governo americano di proporre al Congresso un sostanzioso pacchetto di misure fiscali intese a sostenere la domanda, deliberava una riduzione dei tassi di interesse nella misura di 50 punti base, portando il tasso ufficiale al 3%, facendo poi seguire due ulteriori riduzioni di uguale misura nei mesi di ottobre e novembre. Una conferma dell'ampiezza del mandato affidato alle autorità monetarie americane e del modo nel quale esse lo interpretano è data dai contenuti di una recente discussione che ha avuto luogo in seno all'Open Market Committee della Federal Reserve (FOMC) al quale sono demandate le decisioni in tema di politica monetaria. Risulta, infatti, dal resoconto sommario della riunione dei giorni 29-30 gennaio 2002 che il Comitato ha preso in considerazione, sulla base di studi preparati dallo staff della Federal Reserve, l'utilizzazione di alcune "misure non convenzionali di politica economica" da impiegarsi nel caso in cui "l'economia dovesse deteriorarsi in modo sostanziale in un periodo nel quale i tassi nominali di interesse a breve termine fossero già a livelli molto bassi". Con l'espressione: "misure non convenzionali" ha precisato il "Financial Times" in un servizio da New York pubblicato con grande rilievo all'indomani della pubblicazione del resoconto della riunione5 - si fa riferimento a interventi diversi dagli acquisti e vendite sui mercati dei titoli di stato che normalmente la Fed utilizza per ampliare o restringere la quantità di moneta in circolazione e per modificare il livello dei tassi di interesse. Le misure delle quali il Comitato avrebbe discusso comprenderebbero, a stare alla ricostruzione del quotidiano inglese, eventuali interventi della Federal Reserve a sostegno del mercato azionario e l'acquisto diretto di altre attività economiche. Tali misure, del tutto inconsuete rispetto al normale modus operandi delle banche centrali, sono rimaste teoriche, vista la ripresa dell'economia americana. E tuttavia, che questa discussione abbia avuto luogo è di per sé un fatto assai rilevante, non solo perché indica quanto permanga negli Stati Uniti un grado di preoccupazione molto elevato sulle prospettive dell'economia mondiale, ma anche perché esso conferma che l'impegno stabilito nello Humphrey-Hawkins Act di favorire la crescita di lungo periodo dell'economia americana è preso molto sul serio dalla Banca Centrale. Qual è invece la distribuzione dei compiti e delle responsabilità in materia di politica economica all'interno dell'UME? La chiave di volta del sistema è la separazione netta delle responsabilità della Banca Centrale da quella di altri organi della Comunità e dei governi nazionali. A presidio di questa separazione l'art. 107 del trattato di Maastricht stabilisce che "Nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal presente trattato e dallo statuto del SEBC, né la BCE né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti." Per quanto riguarda i compiti attribuiti alla Banca Centrale, l'articolo 105 del trattato recita che "L'obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi". Il compito di definire quantitativamente la nozione di stabilità dei prezzi è stato demandato alla Banca medesima che ha provveduto a definirla, in una delle prime riunioni del suo Consiglio Direttivo, come una crescita dell'indice dei prezzi non superiore al 2% annuo. Il compito esclusivo della stabilità dei prezzi In sostanza, la BCE ha un compito unico, costituito dalla difesa di condizioni non inflazionistiche nell'area dell'UME; ed è il giudice esclusivo delle questioni relative alla stabilità dei prezzi e delle politiche monetarie chiamate a realizzare tale stabilità. Nessun organo comunitario o nazionale può ingerirsi in questa materia. E' vero che la seconda parte dell'articolo 105 sembra attenuare questo esclusivo mandato antinflazionistico, laddove stabilisce che "Fatto salvo l'obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nella Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità definiti nell'articolo 2." Tuttavia, l'articolo 2 contiene un'elencazione generica di molti obiettivi dalla quale non si ricava un ordine di priorità. Inoltre, poiché la responsabilità primaria della BCE è la stabilità dei prezzi, della cui realizzazione essa rimane il giudice esclusivo, la portata operativa di questo articolo appare modesta. Non risulta, del resto, da quel poco che emerge delle discussioni che hanno luogo in seno al Consiglio Direttivo del SEBC (non essendovi obbligo per la BCE di rendere note né in forma completa, né in resoconti sommari i contenuti delle proprie riunioni), che esso abbia mai affrontato le questioni di politica monetaria in relazione alle condizioni della disoccupazione in Europa, se non per auspicare riforme del mercato del lavoro che sono di competenza dei governi nazionali. Una discussione come quella svoltasi in seno all'Open Market Committee della FED sarebbe impensabile. La rigida divisione di compiti fra politica monetaria volta al controllo dell'inflazione e politiche fiscali volte a sostenere lo sviluppo, potrebbe avere un senso se vi fosse, in seno all'UME, un'autorità centrale alla quale fossero attribuiti dei poteri in materia di bilancio. Questa autorità fiscale potrebbe essere esercitata o attraverso un potere diretto di bilancio o attraverso l'autorità di imporre ai governi dei paesi membri l'adozione delle politiche di bilancio ritenute necessarie ai fini del raggiungimento degli obiettivi di politica economica della Unione Monetaria. E' chiaro che, nell'un caso come nell'altro, ci troveremmo di fronte a un effettivo trasferimento di sovranità fiscale dai governi e dai parlamenti nazionali ad un governo europeo, magari sotto il controllo del Parlamento Europeo. Di questo non si è mai parlato né nella fase preparatoria del trattato di Maastricht, né successivamente. Va inoltre tenuto conto che il "Patto di stabilità e di crescita" prescrive degli obiettivi di politica di bilancio per i paesi membri che sono del tutto indipendenti dalle condizioni congiunturali delle economie europee. Il Patto, infatti, stabilisce il principio generale secondo cui nel medio periodo i bilanci pubblici degli stati membri debbano essere in pareggio o in surplus. Questa previsione generale è integrata da impegni specifici di andamenti (restrittivi) dei bilanci per tutti quei paesi che registrino livelli dell'indebitamento pubblico, in rapporto al Reddito Nazionale, superiori al limite del 60% a suo tempo indicato nel trattato di Maastricht fra le precondizioni per la partecipazione all'UME. Dunque, mentre negli Stati Uniti le politiche fiscali affiancano e completano l'azione della Fed nella gestione complessiva della politica economica, l'assetto dell'Unione Monetaria Europea: affida queste azioni ai singoli Governi nazionali, senza alcun coordinamento europeo di tipo macroeconomico; prescrive, attraverso il "Patto di stabilità e di crescita", il mantenimento nel medio periodo dei bilanci in pareggio o in attivo; sancisce l'irregolarità di bilanci che vedano un deficit superiore al 3% del reddito nazionale integra e rafforza queste disposizioni generali con dei piani di rientro particolarmente rigorosi per quei paesi (come l'Italia) che abbiano un rapporto fra debito pubblico e reddito nazionale superiore al limite del 60%. Non esiste alcuna sede se non quella informale costituita dal Comitato Euro 12 nella quale possa aver luogo un confronto di idee fra responsabili di governo e responsabili della BCE in materia di politica economica. E almeno per ora, il Comitato si è dimostrato totalmente inutile, anche perché, nel quadro delle attribuzioni dei poteri di politica economica fissati nel trattato, non vi è posto per una sua azione effettiva. Esso, infatti, non potrebbe stabilire indirizzi in tema di politica monetaria, se non violando le disposizioni dell'articolo 107 che sanciscono l'indipendenza della BCE. In conclusione: mentre negli Stati Uniti, governo e autorità monetarie concorrono alla realizzazione di condizioni di sviluppo non inflazionistico, potendo utilizzare a questo scopo tanto gli strumenti fiscali che quelli monetari, nell'UME vi è una sostanziale neutralizzazione degli strumenti fiscali e una attribuzione di responsabilità in campo monetario esclusivamente orientata in senso antinflazionistico. Non sorprende - data la sostanziale rinuncia ad avvalersi degli strumenti di politica economica, se non ai fini della lotta contro l'inflazione - che, in questa prima fase di vita dell'UME, l'andamento dell'economia europea sia stato insoddisfacente rispetto a quello dell'economia americana. E questa rimarrà, probabilmente, una caratteristica stabile del panorama dell'UME. Ma in questo caso è difficile pensare che non vi saranno, prima o poi, in alcuni o in molti dei paesi membri, delle reazioni negative all'idea stessa dell'Unione monetaria, cui verrà alla fine attribuita la responsabilità della performance insoddisfacente dell'economia europea. Una breve storia della nascita dell'UME: i compromessi di Delors L'UME avrebbe potuto essere disegnata con regole diverse da quelle che sono state sinteticamente riassunte nel paragrafo precedente? Se domande ipotetiche sono spesso inutili, in questo caso la questione è invece cruciale. Non per un interesse di carattere retrospettivo. Ma per orientare la discussione su una eventuale revisione del trattato: il che è appunto una necessità urgente, visti i modesti risultati del primo triennio dell'UME ed i crescenti sintomi di insoddisfazione delle opinioni pubbliche. Per rispondere, è necessario ricostruire, seppure in maniera sintetica, le circostanze politiche in cui venne negoziata l'unione monetaria. Dopo il fallimento e l'abbandono del piano Werner che, nel 1968, aveva delineato un progetto di unificazione monetaria fissandone il traguardo al 1980, alla fine degli anni settanta la Comunità si concentrò nello sforzo di realizzare un'area di cambi fissi all'interno di un sistema mondiale ormai basato su cambi flessibili. Il che si tradusse nell'esperienza del Sistema Monetario Europeo, adottato su proposta franco-tedesca nel 1978. L'idea di tentare nuovamente la strada dell'unione monetaria fu rilanciata nella seconda metà degli anni '80: fu una delle idee-forza di Jacques Delors, quale Presidente della Commissione, trainata dalla Francia e raggiunta grazie ad una serie di compromessi e di scambi con la Germania. Con grande lucidità, ma forse anche con una dose di freddezza tecnocratica, Delors preferì in fondo sacrificare il contenuto e le regole dell'unione monetaria all'obiettivo - da lui giudicato prioritario - della sua realizzazione effettiva. Soltanto fra qualche tempo - sulla base dei risultati economici dell'area dell'UME e dell'evoluzione delle opinioni pubbliche europee - si potrà essere in condizione di giudicare se si trattò di una scelta politica saggia. Fin da ora, è però necessario esaminare con attenzione le regole che l'UME si è data e valutare se siano possibili revisioni, in condizioni politiche mutate. La scelta strategica di Delors si manifestò in una serie di decisioni cruciali. La prima, dalla quale discesero una serie di conseguenze ulteriori, riguardò la composizione del Comitato chiamato a studiare i problemi dell'unione monetaria. Secondo un'accurata ricostruzione di tutte le vicende relative al negoziato dell'UME condotta da due studiosi inglesi, cui si rimanda, nel periodo immediatamente precedente la riunione del Consiglio Europeo di Hannover, Jacques Delors raggiunse un accordo politico con l'allora cancelliere tedesco Kohl sia sulla composizione che sulla presidenza del Comitato che egli volle per sé. L'accordo si palesò nel vertice di Hannover nel giugno 1998, sorprendendo in larga misura gli altri partecipanti. In base a quell'accordo la presidenza venne assunta dallo stesso Delors mentre furono chiamati a far parte del Comitato, seppure a titolo personale, i governatori delle banche centrali dei paesi membri dell'Unione Europea. Con quella scelta di composizione del Comitato, Delors si proponeva naturalmente di neutralizzare la più che probabile opposizione alle proposte di unificazione monetaria da parte dei governatori delle Banche Centrali. Al tempo stesso, potere schierare a sostegno di un progetto i governatori delle banche centrali della Comunità avrebbe assicurato, come poi in effetti avvenne, una forza di penetrazione quasi irresistibile alle eventuali conclusioni del Rapporto (presentate al Consiglio Europeo di Madrid, nel giugno 1989). Questa composizione del Comitato e il problema principale di guadagnare l'appoggio della Germania, come paese meno disponibile a rinunciare alla sovranità sul marco - comportò d'altra parte che nel disegno dell'UME avessero un ruolo determinante le concezioni dei banchieri centrali, ed in particolare quelle della Bundesbank. L'accordo preventivo di Delors con Kohl determinò insomma una Banca Centrale Europea modellata esattamente sulla Bundesbank e sull'idea che la moneta europea dovesse riprodurre le caratteristiche e quindi si sperava - la forza del marco. Per la Francia invece, riconoscere l'indipendenza della BCE significava rinunciare al tradizionale controllo politico sulla Banca di Francia. Ma Mitterrand, dopo un colloquio con il Governatore della Banca di Francia, Jacques de Larosière, decise in questo senso, considerando prioritario l'obiettivo dell'UME. Vi fu inoltre, nel negoziato di Maastricht, un secondo compromesso "tedesco", che ebbe come oggetto le precondizioni per la partecipazione all'UME. La Germania insistette perché, almeno in una fase iniziale, l'Unione Monetaria comprendesse solo i paesi membri che dimostrassero di essere in grado di raggiungere e soprattutto di mantenere una sostanziale stabilità economico-finanziaria. E' noto che quelle precondizioni che divennero i criteri di convergenza - miravano essenzialmente ad escludere l'Italia, le cui condizioni di finanza pubblica apparivano alla Germania talmente gravi da comportare il rischio di compromettere la solidità della nuova moneta unica. Questa preoccupazione impose un approccio rigido ai criteri di convergenza, e rafforzò un'impostazione contraria ad un uso attivo delle politiche fiscali, ampiamente avallata nel clima antikeynesiano degli anni ‘80. La sostanziale "neutralizzazione" degli strumenti di finanza pubblica ne fu la inevitabile conseguenza. Il paradosso è che quelle condizioni - mentre non furono efficaci rispetto all'esclusione iniziale dell'Italia oggi costituiscono un problema per la Germania stessa, che le propose allora; e rimangono, comunque, un vincolo molto serio al buon funzionamento dell'Unione Monetaria. Nel disegno dell'UME Delors ritenne infine necessario un terzo compromesso. Esso fu costituito dalla decisione di accantonare ogni collegamento fra la costruzione dell'Unione Monetaria e l'unificazione politica un collegamento da sempre considerato in seno alla Comunità se non preliminare quantomeno consustanziale all'Unione monetaria. In tal modo si evitò un irrigidimento della Gran Bretagna ed un eventuale veto inglese (Londra si accontentò, come noto, di una clausola di opting out). Il rapporto, mancato, fra Unione monetaria e Unione politica Si può discutere a lungo sul rapporto fra unione monetaria ed unione politica. Tradizionalmente, nella Comunità europea si era sempre ritenuto, fino al trattato di Maastricht, che unione monetaria e unione politica non dovessero, né potessero essere scisse fra loro. La creazione di un'unione monetaria, cioè l'adozione di una moneta comune amministrata da una banca centrale europea, avrebbe dovuto avere luogo nel momento in cui fossero state realizzate le condizioni per una unificazione politica e ne avrebbe anzi dovuto costituire il coronamento. La scommessa di Delors è stata quella di anticipare l'unione monetaria, nella convinzione che la sua esistenza avrebbe preparato le condizioni dell'unione politica, rendendo anzi più necessario il passaggio all'unione politica stessa. Come in tutte le scelte politiche, solo il tempo potrà valutare l'esito di questo azzardo. Tuttavia, una notazione è già possibile: anche ritenendo che la costruzione di un'unione monetaria non richieda necessariamente e preliminarmente l'esistenza di tutte le condizioni dell'unione politica e cioè l'esistenza di un governo europeo investito direttamente del potere di governo dai cittadini dell'Unione - il funzionamento di un'unione monetaria richiede comunque, e questa volta necessariamente, che tutti gli strumenti della politica economica vengano collocati ad uno stesso livello. Che senso ha che la moneta sia affidata ad una responsabilità federale, come nel caso dell'assetto attuale della Banca Centrale Europea, quando questa responsabilità federale rimane isolata, dal momento che gli altri poteri di politica economica sono indeboliti e lasciati alla responsabilità delle autorità nazionali? L'asimmetria della costruzione dell'UME non ha insomma nessuna giustificazione, né teorica, né pratica. Essa può essere spiegata solo con la storia politica del negoziato pre-Maastricht e con le vicende internazionali che, in quello stesso momento, condussero alla riunificazione tedesca, e quindi ad una sorta di "scambio" con Bonn fra condizioni della riunificazione e condizioni del varo dell'EMU. E' legittimo ritenere, come allora evidentemente ritenne Delors e come tuttora ritengono molti dei difensori dell'Unione Monetaria, che quell'insieme di compromessi fossero indispensabili per ottenere il risultato dell'Unione Monetaria; ma è altrettanto legittimo giudicare insoddisfacente l'insieme di regole monetarie e fiscali che l'Europa ha adottato a conclusione di quel negoziato. Nelle condizioni economiche e politiche di oggi, prevedere riforme dell'assetto dell'UME non dovrebbe essere considerato un tabù o, il che è ancora meno spiegabile, un segno di scarso europeismo. Va aggiunto un punto ulteriore. I fautori "assoluti" di Maastricht sostengono che la creazione dell'UME sia in perfetta continuità con quello che generalmente si chiama "il metodo Monnet": specifici accordi europei che muovono parzialmente nella direzione dell'unione politica, in attesa che le condizioni generali consentano di collocare tutti questi capitoli dell'integrazione in un quadro costituzionale vero e proprio. Ci si deve chiedere, però, se l'Unione Monetaria possa essere realmente considerata come un'espressione del metodo Monnet. E' più che lecito qualche dubbio, proprio per il carattere incompleto del disegno dell'UME. I passi tipici del metodo di Monnet furono in sé conchiusi: la CECA, il MEC, la prima direttiva per la liberalizzazione del sistema finanziario, la seconda direttiva e così via. Ciascuna di queste tappe aveva una sua piena funzionalità. Una volta introdotte specifiche regole europee e sperimentatane la validità, ciò avrebbe preparato il terreno all'introduzione di altre e più avanzate regole europee. Nel caso dell'Unione Monetaria, visti i condizionamenti politici e le regole che la governano, è dubbio che l'Europa ne sperimenterà il successo; e che ciò prepari il terreno per passi ulteriori. In questo caso, quindi, la spinta all'integrazione non deriverebbe dal successo dell'UME ma dalla consapevolezza della sua incompletezza, che farebbe emergere con maggiore forza l'esigenza dell'unione politica. E' la tipica illusione tecnocratica di un certo federalismo europeo l'illusione che i processi politici possano essere imposti dalle condizioni economiche. Le riforme indispensabili dell'UME I difensori di Maastricht, di fronte all'obiezione che un'unione monetaria senza un'unione politica è una costruzione in sé molto fragile, chiedono quale sarebbe stata l'alternativa possibile. Bisognava rinunciare all'unione monetaria in attesa del mitico giorno in cui tutte le condizioni per l'unione politica, e quindi anche per l'unione monetaria, fossero state presenti? Ed aggiungono: poiché l'unione monetaria ormai c'è, ed ha le regole che il trattato di Maastricht ha stabilito, quello che conta è di smettere di recriminare su ciò che si sarebbe dovuto fare e concentrarsi invece sullo sforzo di farla funzionare nel modo migliore. Proviamo allora ad affrontare il problema da questo secondo punto di vista. Se vogliamo che l'UME funzioni e cioé assicuri all'Europa dei benefici economici tali da incoraggiare i popoli europei a proseguire lungo la strada dell'integrazione è indispensabile riformarla. Le modifiche essenziali da apportare all'Unione Monetaria sono tre: Revisione del "Patto di stabilità." Il "Patto" dovrebbe essere modificato in due punti: per tener conto, nel calcolo dei deficit ammissibili, della componente ciclica dell'andamento economico, onde evitare che in una fase di rallentamento economico le minore entrate fiscali a ciò conseguenti comportino ulteriori misure di restrizione destinate ad aggravare il profilo del ciclo; per escludere dal calcolo del deficit le spese di investimento per le quali non vi è ragione alcuna di prevedere le stesse restrizioni che è ragionevole applicare alle spese correnti. Specificazione delle attribuzioni del Comitato Euro-12. Tali attribuzioni dovrebbero essere formalmente definite e dovrebbero prevedere per il Comitato nuove rilevanti responsabilità: quella di impartire ai governi nazionali indirizzi macroeconomici vincolanti per quanto riguarda gli andamenti dei saldi dei bilanci pubblici in modo tale da realizzare l'andamento opportuno nell'insieme dell'area dell'euro; quella di rilevare dalla BCE, che attualmente lo detiene, il potere di stabilire e di rivedere, ogni volta che ne sia il caso, il livello di aumento dei prezzi considerato inflazionistico; quella di fissare, insieme con la BCE, gli obiettivi di politica monetaria che la banca sarà chiamata a realizzare. Ridefinizione dei compiti della BCE: sarebbe opportuno adottare una definizione di tali compiti più ampia di quella stabilita nell'articolo 105; questa nuova definizione potrebbe essenzialmente essere ricalcata sulla formulazione dello Humphrey-Hawkins Act; sarebbe inoltre necessario rivedere il testo dell'articolo 107 per tener conto del coordinamento delle decisioni della BCE con quelle del Comitato euro-12. Le modifiche proposte hanno, come risulta evidente dalla loro lettura, la portata di una riformulazione completa dei principi sui quali si è definito quello che abbiamo chiamato il "compromesso Delors". La loro adozione richiede una profonda revisione delle regole dell'UME e una riscrittura sostanziale degli articoli rilevanti del trattato di Maastricht. E' molto difficile, anche se non impossibile, che ciò avvenga. Su parte di queste revisioni, in particolare su quelle relative alle regole del "patto di stabilità", esiste un'intesa potenzialmente molto ampia in Europa: intesa che comprende certamente una parte consistente degli studiosi che seguono queste materie, una serie di personalità politiche, come ad esempio l'ex ministro delle Finanze francese Strauss Kahn, molte forze politiche nazionali, una parte almeno della Commissione Europea e altri ancora. Per quanto riguarda invece le nuove competenze del Comitato euro-12 e la ridefinizione dei compiti della BCE, è probabile una fiera opposizione, che avrebbe dalla sua il testo del trattato di Maastricht. Scrivere i trattati è una cosa; modificarli, attraverso l'unanimità richiesta dei paesi membri dell'UE, è un'impresa assai più complessa e difficile. A maggior ragione quando si tratta di modificare profondamente in senso federalistico l'impianto della politica economica fissato nel trattato. Per questo, resta difficile pensare che queste riforme possano essere introdotte, ad esempio attraverso proposte della Convenzione Europea presieduta da Valéry Giscard D'Estaing. Se l'attendismo prevarrà, il rischio è che sulla performance dell'UME si accumuli un potenziale di scontento molto consistente: a quel punto, non sarà solo la prospettiva dell'unione politica ma la stessa Unione Monetaria a rischiare il collasso. Pubblicato dalla rivista "Aspenia" n° 17 del 21 giugno |