Il ritorno di un militante/Oscar Giannino ricorda la sua storia e fa proposte per il futuro Intercettare le esigenze di un Paese che cambia Congresso del Pri, Roma, 1° aprile 2007. di Oscar Giannino Care amiche e cari amici, mi sembra di essere tornato, dopo un po' di anni, alle vecchie regole di quando ne avevo quattordici, perché so per esperienza cosa vuol dire fare lo "sparring partner" sul ring, dopo che c'è stato l'intervento dei leader, e dopo, naturalmente, che si è in attesa delle repliche e della conclusione. Dovete capire che qualche esperienza c'è l'ho e in questi anni non è che vi abbia guardato col distacco e il disinteresse di uno che si permetta di giudicarvi. Non è così. Io devo dirvi che la scelta di tornare tra voi mi è venuta definitivamente dopo anni che ci pensavo. Dopo un gesto, una parola di Giorgio La Malfa, al quale mi lega un rapporto che qualunque cosa uno possa pensare nella vita, non cambierà mai, perché gli ho comunque dedicato anni del mio lavoro professionale e lui mi ha aperto la testa, talvolta rompendomela, come sempre fanno i maestri, perché è ovvio che bisogna accettare l'idea che un maestro te la rompa la testa, per ficcarti le idee dentro. Ma mi hanno convinto queste idee, questi gesti, una parola di Giorgio. Perché qualche tempo fa a Milano ci incrociammo - noi in realtà da anni abbiamo ripreso a parlare - a confrontarci, a dialogare. Io faccio l'osservatore esterno, faccio il giornalista, lo sapete. Però poche settimane fa mi ha regalato un libro, bellissimo tra l'altro, che io vi invito a leggere se qualcuno di voi non lo ha ancora letto, perché ci ho trovato, dopo tanti anni, una rilettura di Keynes. Che è straordinaria, anche perché c'è soprattutto il sapore della sua esperienza, una scelta di studio, c'è il sapore di quello che c'era nell'università dei maestri con cui si confrontava, prima di tornare a confrontarsi con la politica italiana. Ma, dalla dedica di quel libro, ho tratto la decisione definitiva per di grattare di nuovo alla vostra porta, per vedere se eravamo fermi a quattordici anni fa e agli insulti - oppure no. Perché c'era qualcosa nella dedica del libro, che mi ha profondamente fatto girare le scatole. Perché c'era l'affetto, che comunque nel rapporto con Giorgio è presente, e poi c'era un "nonostante tutto". Voi capite che io, lì per lì naturalmente, l'ho presa dicendo: magari parla del libro. Ma naturalmente non era quello il "nonostante tutto". Il "nonostante tutto" era come se fosse ancora ieri il giorno della rottura, quel giorno da cui Giorgio, prima, ha preso le mosse per ricostruire questa lunga camminata nelle difficoltà, questo percorso che c'è tra il 1993 ed oggi. E allora lì mi sono deciso. Perché ho detto: se siamo ancora al punto che vale tra noi il "nonostante tutto", bisogna prendersi la bella pazienza di ricominciare da capo, di confrontarsi e parlare, e accettare l'idea che magari uno possa dire quali sono le sue idee, quando accetta che poi c'è qualcuno che ti rompe la testa per fartele cambiare. Esattamente come ho fatto da quando avevo quattordici anni, fino al 1994, peraltro. Perché questa è stata la regola alla quale ci siamo ispirati, alla quale si è ispirata un'intera generazione, un'intera generazione di repubblicani. E' l'unica cosa che voglio dire sul 1994, perché non dirò mai quello che penso di tutta quella vicenda. Non lo dirò mai. E se voi credete, solo per un secondo, che qualcuno abbia potuto con troppa facilità "tradire", allora significa non avere testa politica, ricordatevelo. Ma quando molti di voi - o qualcuno di voi - ha pensato di poter usare con quella facilità - e continuate a farlo dopo anni - la parola "tradimento", forse sottovalutate che c'è chi in quei mesi, in quell'anno e mezzo, ha dato veramente la cosa più alta che aveva per tentare di salvare - con Giorgio e dietro Giorgio - l'onore del Partito repubblicano. E lo faceva il giorno e la notte, girando per l'Italia, parlando con gli avvocati. Ora se voi avete potuto pensare, anche solo per un momento, che qualcuno che ha fatto quello fosse un traditore, poveri voi, questo è il mio giudizio, poveri voi, perché non avete capito niente. E se avete pensato che la generazione - che fra l'altro vi siete persi per strada - è fatta di traditori, io ho l'obbligo di dirvi che, quando la notte in cui si fece la trattativa dell'Unione di sinistra - Occhetto in persona e il Segretario Regionale La Forgia dell'Emilia Romagna - dissero a me: in cambio del fatto che c'è Visentini, tu fai il deputato. E io gli dissi: assolutamente no. C'è qualcuno che è stato eletto al mio posto. Nelle elezioni di allora, quando partiti di diverse di coalizioni lo hanno chiesto a me, come ad altri - che voi avete perso allora, con l'accusa di tradimento - nessuno di noi è stato eletto, né da una parte né dall'altra, e ha continuato a dire no, a Forza Italia come a Alleanza Nazionale, ai Ds come alla Margherita. Allora, se da questo voi fate discendere il tradimento, io vi consiglio di leggervi Shakespeare, perché non avete capito veramente la generazione, a livello locale, a livello nazionale, che ho ricordato. Oppure la strada è un'altra, caro Francesco e caro Giorgio, quella di fare come se questa generazione fosse stata definitivamente perduta, e provarci con chi ha vent'anni. Sapendo che però il senso, così orgoglioso dell'eredità di una tradizione, di chi è cresciuto come la nostra generazione, è cresciuto piangendo con Ugo La Malfa, sapendo che quella continuità è stata interrotta dalla storia, perché questo è un dato generazionale. E' un dato contro il quale nemmeno la vostra più intensa passione sarà in grado di venire a ragione con successo. Quindi io mi limito a dirvi che, quel "nonostante tutto", di cui ringrazio Giorgio, mi ha fatto liberare di un residuo dubbio. Il residuo dubbio è quello di venire a difendere non il mio onore, ma di invitarvi a riflettere, invece di alzarvi, fischiare, insultarvi a distanza di tanti anni ancora, con tutta questa passione e questa intransigenza. E, badate bene, io prendo sul serio le ragioni di chi critica da una parte e dall'altra. Sono cresciuto in questo partito, quindi non sottovaluto le ragioni di chi ieri criticava Berlusconi, perché me lo aspettavo, ovviamente. Ma non sottovalutate quello che vi divide. Io vi invito un secondo a considerare quello che è successo in questi anni e a capire davvero se c'è un modo per tentare di riparlare con qualcuno che è fuori. E ora non sto parlando di me, non sto parlando di una generazione. Dico che c'è un mondo, fuori, verso il quale c'è l'obbligo di dare un "pacchetto", di dare un'offerta politica. A scanso di equivoci, vi dico che ho ricevuto telefonate: tu fai questo, tu fai quello, tu sei amico, nemico. Ragazzi, in questi anni sono stato preso dai fatti miei, ho fatto il mio mestierino, tra qualche settimana sono direttore di un giornale che va in edicola. Vediamo quanti se ne vendono. Io questo faccio nella vita, ma lo faccio però con lo stesso spirito con cui La Malfa padre - che per me era un idolo - poi Giorgio, mi hanno insegnato come si fa. Perché non è che parlare dell'economia e della finanza di questo paese è molto più facile che parlare di politica. Anzi, è peggio. Perché io vi invito a riflettere sul fatto che vi accanite tanto a parlare di politica, ma le vicende del potere reale di questo paese sono fuori dalla contesa tanto accanita dei partiti delle coalizioni. Stanno nell'economia e nella finanza. E lì, vedete, altro che multipartitismo e proporzionale. Li c'è un bipolarismo secco. C'è un'unica grande banca italiana di cui Prodi è il burattino. E questo io scriverò. Sperando di avervi tra i miei lettori. Perché io ho la Guardia di Finanza accampata nella mia banca da tre anni, da tre anni. Prima che me la mandasse Visco, perché voglio le tasse basse. Io continuo a vedere come la magistratura italiana, quella che fa le indagini, irrompa nella vicende del mercato societario e della politica: questa rimane l'emergenza numero uno del paese. E allora mi dicevano che io "prendevo i soldi". E guardate, dire che gli Agnelli hanno mentito al mercato della Consob eravamo in tre a dirlo. Chi aveva ragione? Dire che il Dott. Tronchetti Provera, il Dott. Tronchetti Provera - è da anni che io lo scrivo -se non si chiamasse come si chiama, e se non avesse dietro le banche che ha, sarebbe in carcere… Beh, questo non è molto più facile che dividervi politicamente, come fate voi. Quindi io ho un'altra strada da percorrere, ma vi dico che, per consegnare quel "pacchetto" di offerta politica, tutti insieme, se ci riuscite, tutti insieme, dovete continuare a pensare. E c'è bisogno - e io Giorgio in questo momento parlo a te, perché ti ho sentito prima - di un giudizio sul percorso dal ‘93 fino a oggi. Ma non sto parlando del partito, sto parlando del sistema politico istituzionale, che, se me lo consentite, non è diverso da quello che ha fatto Giorgio. Ma per parlare e trovare interlocutori fuori, bisogna credere che possano venire energie nuove dalla classe dell'Italia che scommette su se stessa, dalla classe che intraprende, che ha fiducia in se stessa, che non si identifica con il blocco dei dipendenti pubblici e di chi nel mondo sindacale vuole rappresentare solo i dipendenti pubblici. Perché anche nel mondo sindacale, poi, c'è gente che vuole invece fare i contratti di produttività, come la Cisl, per esempio. Bene, se voi volete continuare a dialogare e volete attirare consenso in vista di una battaglia politica che è fatta per la riarticolazione dei poli, per una nuova legge elettorale - che è l'unica cosa vera di cui parlare fino a quando finisce questa legislatura – ecco, se voi volete fare questo, dicendo: torniamo a tutto come era prima, allora io vi faccio i miei auguri. Tutto questo al di là del giudizio che possiamo avere noi, e che ci accomuna sulla qualità della classe dirigente della prima Repubblica, sull'elevatezza dei confronti politici che c'erano tra i partiti di maggioranza nelle diverse fasi della storia repubblicana, dal centrismo, dal centrosinistra, alla solidarietà nazionale. Noi eravamo ragazzini, il giudizio sulla qualità del dibattito nella direzione nazionale del Partito repubblicano trent'anni fa, è un elemento ci accomuna. Però bisogna avere la capacità di sapere parlare a un paese per cosa esso è oggi. Il paese è chiaramente disilluso dal bipolarismo all'italiana, come ha detto Giorgio nel suo intervento. E' chiaro. Ma è disilluso perché ha visto che alle promesse di quel bipolarismo maggioritario non sono seguiti i fatti, cioè la coerenza dei due schieramenti. Non è seguito un cambio della forma di governo, non è seguito un cambio della forma Stato. Insomma, una specie di colpo di Stato sulle regole della rappresentanza, senza che tutta l'architettura intorno e le sue conseguenze politiche ne mutino di conseguenza. Certo, c'è un vasto campo di gente per cui questa situazione è chiara, certo. Che c'è chi lavora con maggiore energia e intransigenza per superarla. C'è Casini, ma non c'è solo Casini, perché poi ci sono forze di centro e moderate, di una parte della coalizione di centrosinistra, così come nel centrodestra. Se su questo vi posso dare una mano, la darò, nella misura in cui può essere utile uno che ancora si sente trattato come se fosse traditore di tredici anni fa. Giorgio, tu dici che non dimentichi; io, finché campo. ti dirò che non dimentico nemmeno io. E non dimentica la mia generazione. Però una cosa è sicura: sull'onore non ci sono giudici superiori a quelli della propria coscienza. E io ve lo dico con grande sincerità, non penso di aver mancato di rispetto a nessuno, per come tentammo all'epoca, sbagliando, ma tentando di preservare una rappresentanza parlamentare più ampia, che dopo, con intelligenza, avrebbe consentito, magari, di preservare condizioni migliori. E senza perdere una intera generazione per strada. A quella parte di opinione pubblica che avverte intorno a sé la necessità di superare questo bipolarismo all'italiana, questo maggioritario all'italiana, bisogna saper dare una proposta che non appaia nostalgica. Che appaia in grado di armonizzarsi con ciò che in grandi democrazie, anche europee, sa coniugare quel po' di maggioritario e di bipolare che è utile alla luce di cinquant'anni di storia italiana, perché l'eccesso di frazionamento e l'assenza di un vincolo dichiarato agli elettori – con chi governare e in nome di che - ha portato essa alla fine della prima Repubblica, e non tangentopoli. Essa, perché ha prodotto il debito pubblico, ha prodotto l'instabilità, l'incapacità, generazione dopo generazione, da parte della Dc, di saper reggere l'offensiva di Craxi. Tutto questo è possibile coniugarlo con un po' di premio di maggioranza, e con un vincolo dichiarato agli elettori, di volta in volta, di coalizione: con chi governare indicando anche un premier. Su questo Giorgio ha ragione: noi siamo per una forma "parlamentare". E quindi su questo c'è un delicato problema. E' vero. Ma c'è una soluzione possibile anche per questo. Ma io vi invito a ragionare. Se almeno su questo non siete in grado di dare una risposta concreta, voi vi perdete per strada quella vasta schiera di italiani che io sento crescere di nuovo, e lo sento fuori dalle sedi di partito. Un grande simbolo, una grande tradizione, deve sapere proporre qualcosa. Non dico alla tedesca, la cui legge non mi ha mai entusiasmato. Parlo di qualcosa che ci porti ad avere i semi di una governabilità possibile, migliore di quella della crisi della prima Repubblica. Chiudetevi in una stanza, non dividetevi e cercate di pensare. Se regalate questa Italia e questo mondo, così insoddisfatto, alle future imprese di Luca Cordero di Montezemolo… beh, allora potete pendervela solo con voi stessi se ciò avviene. Io vi dico una cosa: di sicuro interverrò col mio giornale. Ho imparato che contro il grande statalismo di destra e di sinistra, bisogna combattere a testa alta, ho imparato a non vergognarmi, e non certo a difendere i condoni. Non bisogna avere vergogna di fare una battaglia intransigente per le ragioni di una intermediazione pubblica più bassa. Solo così c'è lo spazio per liberare le energie economiche del nostro paese. E di sicuro io non scommetto una lira sul fatto che questa classe dirigente, espressione di questo vertice di Confindustria, possa incarnare con successo nemmeno un decimo delle idee che sono in quel simbolo, in quella tradizione. Mi fermo qua. Prendete un impegno con voi stessi. Io dico solo che, se dopo tanti anni c'è la possibilità di far tornare linfa nuova qua dentro (che, ripeto, non è la mia) allora quella linfa passa attraverso una capacità di comprensione tra voi, che non sta più nello scalfire una cosa, un simbolo, che è già scritto nella storia. |