IL "DOCUMENTO OSSORIO" NELLA REGIONE CAMPANIA

Il consigliere regionale repubblicano della Campania, Giuseppe Ossorio, ha presentato un documento politico-istituzionale finalizzato a regolamentare i rapporti fra Consiglio, Giunta e Gruppi consiliari in attesa dell'approvazione del nuovo Statuto regionale.
Pubblichiamo il documento che ha avuto vasta risonanza sulla stampa e che è al centro di un dibattito al quale stanno partecipando esponenti politici, rappresentanti della cultura e della società civile
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Due fondamentali appuntamenti istituzionali, il referendum confermativo sul federalismo e la definizione della forma di governo nell'ambito del processo statutario regionale, richiedono alle forze politiche della maggioranza regionale, nonché a quelle sociali, economiche e culturali una riflessione franca e attenta in grado di proiettare in avanti il dibattito politico al di là delle pur legittime divergenze. In virtù di questo processo riformatore alle regioni saranno conferiti nuovi poteri e, dunque, nuovi oneri che consentiranno all'Ente una crescente centralità, giacché le Regioni si troveranno ad essere assieme cooperanti con lo Stato e con l'Unione Europea ma anche garanti dell'autonomia e dell'identità locale.. Alle regioni del sud, in particolar modo, spetterà il compito di governare l'ancora confuso cambiamento istituzionale in condizioni politiche ed economiche totalmente diverse. Per questi motivi è fondamentale trovare una stabilità politica ed istituzionale, raggiungendo un punto di equilibrio fra l'esigenza dell'efficienza, della rapidità dell'esecuzione delle scelte e quella delle garanzie rappresentative, della pluralità dei soggetti politici, dei bisogni culturali e sociali espressi da una società complessa. Il nuovo assetto istituzionale regionale, allo stato attuale, si limita a giustapporre, una accanto all'altro, la tendenza presidenzialista e maggioritaria a quella parlamentarista. Con l'elezione diretta dei Presidenti, infatti, ci troviamo ad avere due poteri, quello dell'esecutivo e quello del consiglio regionale, che rischiano di contrapporsi, pur trovando legittimazione democratica da una identica fonte: il medesimo voto popolare. Ancor più stridente rischia di essere la contrapposizione fra il presidente eletto e la maggioranza politica che lo sostiene. Questa condizione di evidente confusione istituzionale, oltre a costituire un serio pregiudizio alla formazione di un indirizzo politico coeso, rischia di alimentare polemiche ed incomprensione che possono, anzi devono, essere necessariamente superate. Per questi motivi, bisogna che ci si confronti e ci si accordi sul terreno metodologico, al fine di rendere possibile, nel frattempo, un efficiente ed efficace "GOVERNO" della Regione, che dialoghi e ascolti la "RAPPRESENTANZA" democraticamente eletta del Consiglio regionale, per evitare che, "in generale", il sistema ad elezione diretta sconfini e decada in personalismi e l'esercizio della rappresentatività pluralistica in vacuo assemblearismo. La democrazia può degenerare sia come democrazia decisionista, sia come democrazia inconcludente. E' necessario, allora, individuare delle regole condivise dai Gruppi consiliari, dalle forze politiche di maggioranza e dal Presidente della giunta in grado di assicurare la stabilità di governo, l'efficienza dell'amministrazione, il giusto confronto fra il potere esecutivo, il potere legislativo e la maggioranza consiliare. Pertanto, i partiti e i gruppi consiliari della maggioranza di centro-sinistra campana, luogo particolarmente importante per la pluralità delle varie culture politiche che lo caratterizzano, hanno sentito il bisogno di individuare i principi di un codice di autoregolamentazione fondato su poche ma certe e condivise regole. Princìpi ed indicazioni che non devono necessariamente condizionare o prefigurare il prossimo dibattito sullo nuovo Statuto, che richiederà altra metodologia di lavoro ed altro approccio istituzionale. Ma che date le attuali norme costituzionali, tentano di dare risposte alle esigenze poste dai capigruppo, dai segretari regionali delle forze politiche di maggioranza nella riunione congiunta con il Presidente della regione. In tal modo, anche la più serrata e complicata dialettica politica potrà esercitarsi in una cornice chiara che non metta a repentaglio né la necessaria efficacia e rapidità dell'azione di Governo, né la altrettanto necessaria esigenza di salvaguardare l'esercizio legislativo del Consiglio e la rappresentatività dei Gruppi consiliari, nonché la ricchezza dei contributi di idee e di indicazioni provenienti dai singoli consiglieri.

1) Potere di controllo del consiglio nei confronti della giunta e del presidente La legge costituzionale 1 del 1999, con l'art.126, II comma, ha assegnato espressamente al Consiglio regionale il potere di sfiduciare il Presidente della Giunta. Ai sensi dell'art.126, III comma, l'approvazione della mozione di sfiducia comporta lo scioglimento del Consiglio e quindi nuove elezioni. Si tratta, pertanto, di un potere difficilmente azionabile, considerato che comporta l'autodissoluzione dell'organo che lo esercita. Tuttavia, nella sua accezione positiva, l'istituto così congegnato mentre vi segna, in linea di principio, un rapporto fiduciario Ð aspetto non secondario del disegno riformatore Ð fra il Presidente ed il Consiglio, ma difficilmente azionabile, come già si è detto, assume una valenza stabilizzatrice, tale da evitare strumentali e pretestuose crisi parlamentari. Non vi è chi non colga, in quel rapporto fiduciario, l'importanza che il costituente pone alla centralità del Consiglio regionale. Questo potere fiduciario del Consiglio, seppur senza un voto iniziale di fiducia, insieme ai poteri di indirizzo politico e legislativo, sospingono il modello costituzionale regionale verso un sistema parlamentare ad elezione diretta del Presidente.

Tuttavia sono presenti alcuni tratti marcatamente presidenziali, che vorremmo ricordare: 1) il plusvalore politico derivante dall'elezione diretta del Presidente della Giunta; 2) la vittoria del candidato - presidente quale fattore principale per determinare (attraverso il premio di maggioranza), la coalizione vincente con conseguente personalizzazione della contesa elettorale; 3) il potere presidenziale di nomina e revoca degli assessori; 4) il fatto che nell'attuale art.121, il Presidente dirige la politica della giunta e ne è responsabile, formula più ampia di quella riservata al Presidente del Consiglio che si limitava a dirigere la sola politica generale; 5) il venir meno della potestà regolamentare in capo al Consiglio: 6) l'assenza di una vera e propria fiducia consiliare; 7) l'effetto suicida - capestro dell'autoscioglimento automatico del Consiglio in caso di mozione di sfiducia consiliare. Si può pensare, al fine di rafforzare i poteri del Consiglio e stante le prerogative costituzionali del Presidente, oltre alla classica forma di controllo politico quale la relazione fiduciaria, tipica dei sistemi parlamentari, che come si è visto può costituire, così come è prevista, più uno spettro che un reale strumento, di elaborare ulteriori forme di controllo che affondano le proprie radici politico culturali anche in modelli fondati sulla separazione dei poteri e quindi sul sistema dei "pesi e contrappesi". Bisognerebbe, inoltre, prevedere delle forme di assenso del Consiglio sulle persone investite di incarichi assessoriali. Il Consiglio potrebbe, cioè, essere chiamato ad esprimere un parere sulle competenze tecniche e sul valore politico dei singoli assessori nominati. Si tratterebbe di un parere obbligatorio ma ovviamente non vincolante , che rivestirebbe però un determinante valore politico. E' possibile immaginare, per esempio, ipotesi di sfiducia plurima ed individuale con il duplice risultato di costituire forme di controllo politico, senza determinare le dimissioni dell'esecutivo ed il conseguente scioglimento dell'organo legislativo. In questo senso, inoltre, rientrano tra le tipologie di controllo gli atti di sindacato ispettivo: interrogazioni, interpellanze e mozioni. E' necessario, senza dubbio, rendere più forti, incisivi ed efficaci questi strumenti attraverso previsioni statutarie e, soprattutto regolamentari. Ad esempio, potrebbe essere mutuata l'esperienza della Camera dei Deputati che ha, nel corso della passata legislatura, introdotto due diversi e più pregnanti atti di sindacato ispettivo: le interrogazioni a risposta immediata (c.d. question time) e le interpellanze urgenti , che hanno una cadenza settimanale prestabilita (rispettivamente il mercoledì ed il giovedì) e che consentono all'organo assembleare di interloquire con l'esecutivo almeno due volte alla settimana, su argomenti urgenti e di interesse politico generale. Sarebbe anche un modo per avvicinare l'opinione pubblica all'istituzione regionale, magari attraverso la diretta delle sedute dei question time regionali, sul modello di quanto attualmente avviene per quelli parlamentari, mediante una convenzione con emittenti private e pubbliche del sistema radiofonico e televisivo a diffusione regionale. Attualmente l'esecutivo disattende al proprio dovere di dare risposte ai quesiti posti dai consiglieri attraverso gli atti di sindacato ispettivo che, d'altro canto, spesso vengono eccessivamente utilizzati per fini puramente propagandistici ( in pratica per avere visibilità sugli organi di stampa). L'aspetto che può ulteriormente qualificare l'azione dei consiglieri regionali è quello di farli concorrere all'azione di governo, attraverso una concreta partecipazione dei Gruppi Consiliari al processo formativo dei programmi, che si realizza in una costante interrelazione fra organi di governo, autonomie locali e mondo produttivo.

2) Ruolo dei gruppi consiliari regionali La mancanza di una saldatura fra la maggioranza consiliare e la giunta regionale Ð questo è il vero nodo da affrontare Ð, rende attualmente residuale e di scarsa importanza il ruolo dei Gruppi Consiliari di maggioranza nel dibattito politico regionale. Si dovrebbe inserire nel nuovo statuto regionale e renderla operativa e cogente fin da ora, una normativa che valorizzi l'importanza del ruolo attivo dei Gruppi Consiliari. Fermo restando le attuali prerogative del Presidente, per un maggiore riequilibrio dei poteri regionali, si dovrebbe riconoscere l'incidenza del ruolo attivo dei Gruppi di maggioranza sia nella formazione della Giunta regionale, sia nella costituzione di altri organi regionali. Bisogna istituire e rendere ufficiale una periodica conferenza dei capigruppo di maggioranza con il Presidente della Giunta al fine di individuare tutti i punti di frizione nell'attuazione del programma della Giunta, nonché nello svolgimento dell'attività legislativa. Si deve istituire e sostanziare di funzioni e competenze concrete un assessorato ai rapporti con il consiglio che, sulla falsariga del ruolo svolto dal Ministero per i rapporti con il Parlamento, si occupi di seguire i lavori consiliari e di tenere con il Presidente i rapporti con i Gruppi, soprattutto di maggioranza, garantendo quel necessario raccordo tra giunta e consiglio che finora è mancato. è necessario, altresì, potenziare le funzioni della conferenza dei capigruppo di maggioranza nel raccordo fra Giunta e Consiglio. Dovrebbe essere riconosciuto un ruolo più centrale alla conferenza dei capigruppo del Consiglio nella definizione del calendario dei lavori, attribuendo magari all'opposizione (come avviene alla Camera) la facoltà di indicare almeno un quinto dei disegni di legge da calendarizzare. La elaborazione di un disegno di legge, prima di passare in fase di commissione, per l'inizio dell'iter legislativo deve trovare la propria spinta propulsiva proprio nei gruppi consiliari. Essi per rispondere con dignità a questa funzione devono essere riconosciuti non più come semplici organizzazioni interne del Consiglio. è nella autorevolezza e funzione che si attribuirà e si riconoscerà ai Gruppi, che si verificherà la sostanziale e necessaria saldatura e coesione fra maggioranza, giunta e Presidente e si potrà incrementare il lavoro legislativo di alto profilo. I Gruppi Consiliari, in attuazione dei principi di autodeterminazione, devono potersi organizzare in modo da essere in grado di svolgere un ruolo qualificato. Essi dovranno essere dotati di mezzi e di possibilità di elaborazione intellettuale autonomo con l'ausilio di apporti anche esterni, con una previsione finanziaria da individuare nel bilancio regionale. In conclusione, va una volta per tutte chiarita e concordata l'importanza dei Gruppi, la cui incidenza dovrà essere comunemente accettata al fine di operare la giusta coesione fra maggioranza e governo della regione.

3) Ruolo e poteri delle commissioni Bisogna, anche, accrescere il ruolo delle commissioni consiliari, sia per quanto attiene la funzione legislativa, quella programmatoria e quella di controllo. I tre cardini inscindibili dell'indirizzo politico del consiglio regionale. Potrebbe essere reso obbligatorio il parere delle commissioni sugli emendamenti e ordini del giorno presentati dai singoli consiglieri o dall'esecutivo nel corso dell'esame in aula dei disegni di legge. Bisogna attribuire alle commissioni consiliari permanenti la sede referente e redigente delle leggi. In questa ottica, per quanto concerne la funzione legislativa attiva, le commissioni permanenti devono assumere il ruolo di protagonisti nel procedimento di formazione della legge, sia nella fase istruttoria che deliberante. A tale scopo va organizzata nell'Organico del Consiglio regionale una classe di dirigenti che abbiano la forza intellettuale dei Consiglieri Parlamentari. Sarebbe opportuno (sempre prendendo spunto dall'esperienza parlamentare) attribuire alle commissioni anche il potere di rendere dei pareri obbligatori (ma non vincolanti) sulle nomine di competenza della giunta relative a incarichi in enti strumentali o vigilati dalle regioni. Vanno, altresì, introdotti, attraverso una modifica regolamentare, gli istituti dell'interrogazione a risposta in commissione, per rafforzare il ruolo delle commissioni nell'ambito delle attività di sindacato ispettivo, e della risoluzione in commissione ( per rafforzarne il potere di indirizzo politico). Si potrebbe, inoltre, prevedere lo svolgimento di periodiche audizioni obbligatorie degli assessori in commissione, in merito alla gestione dei settori di competenza. Va rafforzato e riconosciuto il potere ispettivo e di controllo delle commissioni relativamente all'attività amministrativa dell'ente e all'esame delle problematiche regionali per le quali è necessario un puntuale intervento normativo. Inoltre, alle commissioni va assegnato il potere di indagine conoscitiva, consultare enti, organizzazioni, associazioni e persone nonché valersi dell'opera di esperti e di istituti. Infine deve essere prevista la costituzione di commissioni di inchiesta su materie che interessino la Regione. Anche queste commissioni vanno elette dal Consiglio e devono avere una composizione proporzionalistica. Il lavoro delle commissioni consiliari permanenti non può esaurirsi in una sola riunione settimanale. La qualità delle leggi e quindi l'efficienza del potere legislativo dipendono in larga misura dal ruolo svolto dalle commissioni che fanno acquistare all'organo legislativo quel primato politico - istituzionale nell'ambito della Regione.

4) Nuovo regolamento interno del Consiglio regionale. Il regolamento attuale approvato il 1 luglio del 1971 è stato, successivamente, modificato dal Consiglio. è comunemente accettata l'idea di rivisitare l'attuale regolamentazione, che non è più in sintonia con le esigenze imposte dalla riforma costituzionale del 1999 e dai principi che informeranno il nuovo Statuto, al quale il Consiglio dovrà porre mano. Si potrebbe convenire come punto di riferimento il Regolamento della Camera dei Deputati. E si terrebbe conto del pluralismo delle forze politiche di cui è ricco il nostro Consiglio regionale, inteso anche quale espressione delle opposizioni, per quanto attiene la tutela delle minoranza (il cosiddetto Statuto delle Opposizioni).

5) Superamento delle strutture commissariali e riordino dei poteri e delle funzioni ed ammodernamento della macchina regionale. Un aspetto tra i più rilevanti dell'impegno programmatico è l'articolazione verso le Autonomie Locali (Comuni, Provincie, Comunità territoriali) e gli Enti strumentali, di cui è ancora sovraccarica la Regione, per un processo di forte valorizzazione delle stesse Autonomie Locali e di snellimento delle procedure sia nella fase attuativa dei programmi, che in quella di soddisfacimento dell'attesa dei cittadini. L'inadeguatezza delle strutture ordinarie ha trovato risposta nella proliferazione di strutture commissariali e nel commissariamento di Aziende ed Enti. Il centralismo gestionale in Campania si è affermato, nel corso di questi decenni, per questa via, lasciando le strutture ordinarie in condizioni pietose. Il nostro obiettivo è il superamento delle strutture commissariali, della riforma degli enti di gestione, della loro abolizione quando è necessario ed è possibile. In tempi molto stretti Ð è un impegno del centro sinistra - si deve giungere al superamento delle strutture straordinarie, semplificando e qualificando la macchina amministrativa regionale. Strettamente correlata a questa fase è l'attuazione di un moderno ed efficace processo di riordino della organizzazione burocratica regionale. Occorre uscire dalla elefantiaca organizzazione del vetusto apparato burocratico, attraverso lo snellimento delle procedure burocratiche e l'ammodernamento dell'intero apparato, qualificandolo ed aggiornandolo costantemente. è auspicabile anche una maggiore stabilizzazione delle responsabilità dei dirigenti, che è di per se garanzia di continuità e competenza dei responsabili delle varie funzioni. Un'intesa tra Presidente e Gruppi di maggioranza, ispirata ai princìpi di corresponsabilità politica, è necessaria per definire una griglia di criteri ai quali quest'ultimo si attiene nell'esercizio dei suoi autonomi poteri di nomina dei responsabili di istituzioni regionali e di particolare rilevanza politica.

6) Rapporto del presidente della regione con il corpo elettorale e con la maggioranza consiliare L'elezione diretta del presidente della regione altera l'originario rapporto tra il presidente e la maggioranza consiliare, ma non lo affievolisce. Al riguardo occorre sottolineare che Presidente e maggioranza consiliare rispondono in sintonia al corpo elettorale, per la responsabilità che entrambi i poteri hanno contratto in ordine all'attuazione del programma. Gli impegni assunti dal Presidente e dalla maggioranza consiliare con il corpo elettorale si contraddistinguono per le stesse motivazioni che li sospingono ed, in oltre, per una forte convergenza politica ed istituzionale . Va, pertanto, perseguita una stretta connessione fra il governo regionale e la maggioranza consiliare per stimolare il processo di attività legislativa, che accompagna l'azione di governo e definisce l'attuazione dei programmi. Per rendere più saldo e sinergico il rapporto tra la giunta e la maggioranza consiliare si devono prevedere periodiche forme di consultazione. Il Presidente e le forze politiche della maggioranza, in conclusione, annettono una fondamentale importanza all'apertura di una nuova fase di forte impegno nell'attuazione delle priorità programmatiche, per il rilancio coeso dell'azione di governo e della maggioranza consiliare. Si conviene, quindi, di assumere il metodo di procedere collegialmente ad un bilancio e ad un giudizio comune della legislatura regionale in corso, per valutare tutte le eventuali scelte comuni ed innovative tese a rafforzare l'attività della coalizione. Giudizio comune della legislatura ed eventuali scelte innovative sono entrambi i punti che in sintonia consentiranno il prosieguo positivo della seconda fase della consiliatura. La sfida è ardua, il percorso costituente sarà sicuramente complesso, ma gli obiettivi sono talmente nobili che si pone l'obbligo morale di perseguirli con il massimo del rigore, professionalità e passione.

dott. GIUSEPPE OSSORIO Ð Napoli, 18 settembre 2001

Il documento è stato sottoscritto da tutti i capigruppo della maggioranza.

 

Interventi:

Pubblichiamo l'articolo riportato da "Il Mattino" con l'intervento del prof. Tullio D'Aponte, preside della facoltà di Scienze politiche all'Università Federico II di Napoli.

Si respira in Regione un'aria greve, una sorta di aleggiante asimmetria,: da un lato, i frequentatori del Palazzo convivono con l'iperattivismo di assessorati sempre più propensi a sfornare delibere che a produrre disegni di legge; dall'altro, l'uomo qualunque, il dimenticato elettore ö dal Sannio ai due Golfi ö non può fare a meno di pensare che tutto taccia, che i partiti della maggioranza giochino ai quattro cantoni, che, tutt'al più, il programma di governo vacilli tra virtuosismi verbali e incertezze concettuali.
A chi dare credito? Probabilmente, ognuno ha la sua parte di ragione. E il motivo è presto detto: la comunicazione tra parlamentino regionale (Consiglio) e esecutivo (Presidente e Giunta) è asfittica, altalenante, confusa e senza regole, priva di occasioni capaci di amplificare quanto di innovativo e di utile, in altri termini, di buono, si vada realizzando.
E' questa la vera asimmetria di un'Istituzione riformata solo in parte: con un Presidente eletto direttamente dal popolo, e un'Assemblea con poteri pur sempre parlamentari, dove la responsabilità politica dell'attuazione del programma è sì del Presidente, ma non meno e non diversamente, dei Consiglieri della maggioranza. Né a molto vale lo specifico istituto previsto dalla Costituzione della sfiducia, per regolare il rapporto fiduciario tra i due poteri. Esso è stato inteso, infatti, con una valenza espressamente negativa, configurando una ãsfiducia suicidaä in quanto ove mai esercitata manderebbe tutti a casa: sfiduciato e sfiducianti; cioè, nessuno! Insomma, come negarlo, è un vero e proprio ingorgo istituzionale. E chi conduce il gioco può tirare la corda, mentre chi denuncia quell'incomunicabilità corre persino il rischio di essere visto come uno stenuo difensore del buon senso e della ragionevolezza.
Come uscirne? Sul finire di una lunga estate, ma ancora pochi giorni addietro, ci sembrò di credere che tutti, Governatore ed Assessori, Capi Gruppo e Consiglieri di maggioranza, si riconoscessero in un articolato documento propositivo, anticipatore di future regole condivise, elaborato da un consigliere atipico della maggioranza: il repubblicano Giuseppe Ossorio. Cori di consensi, plausi da ogni anfratto della coalizione; tuttavia, azioni conseguenti ancora una volta poche, troppo poche perché qualcosa segnasse un barlume di novità nella prassi politica regionale.
Eppure, con i nuovi e più significativi poteri riconosciuti alle Regioni è indispensabile riprendere il dialogo, a cominciare tra i segretari regionali dei partiti e il Presidente Bassolino. E' inutile sottacerlo, essi con urgenza devono riannodare il filo di quel dialogo. E contribuire tutti, ciascuno per la parte di propria conoscenza, alla realizzazione di quel disegno di sviluppo per il quale l'elettorato ha mostrato di credere nel progetto di Centro Sinistra.
Si riapra, dunque, il dibattito intorno al ãDocumento Ossorioä, semmai coinvolgendo le istituzioni culturali della Regione, il cui contributo di certo non verrà meno, e non solo in termini di confronto scientifico o d'ingegneria assembleare, bensì attraverso iniziative concrete, finalizzate a quella reale e continua innovazione di metodi e procedure che solo attraverso un ampio dibattito culturale, aperto e libero, potrà produrre effetti duraturi.


Pubblichiamo l'intervento del Prof. Alberto Lucarelli, Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico, Università di Napoli, Federico II

Statuti regionali e pluralismo istituzionale A due anni dall'entrata in vigore della legge costituzionale n¡ 1 del 1999 che assegna alle Regioni il potere di dotarsi di una propria forma di governo, mediante l'adozione dello Statuto, il dibattito sulle riforme politico - istituzionali sembrerebbe finalmente avere inizio. Al momento, al di là di un dialogo a distanza tra esponenti politici, è stato redatto, dal Consigliere regionale repubblicano Giuseppe Ossorio, un documento istituzionale Ð politico del, che contiene, fra l'altro, linee indicative per l'imminente "processo costituente". Il documento, che ha raccolto consenso da parte delle forze politiche di maggioranza, si propone di mediare tra le istanze presidenziali e quelle parlamentari, tra principio monocratico e principio collegiale, nel tentativo di costruire modelli alternativi, resi, tra l'altro, possibili dal carattere flessibile della norma costituzionale. Essa, infatti, da una parte disegna una forma di governo regionale che tende, seppur con toni sfumati e flessibili, al modello presidenziale, dall'altra riserva all'autonomia statutaria il potere di scegliere un differente modello organizzativo (l'art.122, comma 5 prevede, infatti, che il presidente della giunta regionale, salvo che lo Statuto regionale disponga diversamente, sia eletto a suffragio universale e diretto). Questa norma, se venisse interpretata come una disposizione idonea ad introdurre tout court l'elezione diretta del presidente della Regione, mortificherebbe il principio dell'autonomia statutaria, ponendosi in contrasto con lo spirito del legislatore e con quanto emerso dal dibattito parlamentare. La riforma configura, invece, un modello aperto e pluralista, che potremmo anche definire un "non modello" il quale lascia spazio a differenti scenari politico-istituzionali. Il modello ad elezione diretta del presidente della giunta, che non va necessariamente sovrapposto al sistema presidenziale, è espressamente indicato dal legislatore, ma ciò non significa che, nella sostanza, sia posto in posizione sovraordinata rispetto ad altre forme di governo, tanto da vincolare i "processi statutari regionali". Vi è, dunque, nelle legge costituzionale in oggetto, una preferenza presidenzialista formale e nominalistica, frutto di un contingente momento storico, nel quale differenti attori politici, spesso di matrice culturale differente, con esemplificazioni e processi mistificatori, più consoni a logiche aziendalistiche, che non a modelli istituzionali, tendono a sovrapporre i valori democratici con altri legati al decisionismo, all'efficienza, all'efficacia, confondendo il piano politico con quello aziendale. Vi è la finzione e la confusione culturale che la scelta presidenzialista avvicini i cittadini alle istituzioni, rendendoli partecipi alle scelte decisionali e creando stabilità istituzionale, laddove, invece, il concetto di partecipazione politica, non si esaurisce con il voto, ma va inteso come conoscenza dei processi, consapevolezza e corresponsabilizzazione dei singoli individui e dei gruppi intermedi alle scelte. Inoltre, se il discorso lo si sposta su di un piano giuridico-costituzionale, gli unici istituti che sembrerebbero porre vincoli alla volontà statutaria, condizionando le scelte regionali, oltre al vincolo di carattere generale dell' "armonia con la Costituzione", si individuano nel potere del presidente di rappresentare la Regione e dirigere la politica delle giunta di cui è responsabile, e nel potere del consiglio regionale di sfiduciare il presidente della giunta. Si tratta di istituti indicati dalla normativa costituzionale, che prescindono dalla modalità di elezione del presidente e che, da un primo esame, sembrano relazionarsi più alle democrazie rappresentative e parlamentari (si pensi al cancellierato o a variabili neoparlamentari, con l'elezione diretta del presidente), piuttosto che a quelle presidenziali e comunque non tanto caratterizzanti da indirizzare l'autonomia statutaria verso uno specifico modello. Per un esame corretto dei possibili scenari che potrebbero venirsi a configurare, occorre ponderare il grado di influenza dei suddetti poteri sui modelli politico-istituzionali scelti dalle singole "Costituenti regionali"; nella consapevolezza che il principio fondante che si enuclea dalla riforma e che ha guidato il processo di revisione costituzionale, come si evince altresì dalla lettura dei lavori parlamentari, è quello dell'autonomia statutaria ed in senso più ampio del pluralismo istituzionale. Principi che, tra l'altro, risultano rinforzati dalla riforma del titolo V della Costituzione che amplia le funzioni normative delle Regioni e quindi la sua capacità di incidere sull'indirizzo politico del Paese. In conclusione, l'auspicio è che il dibattito sulle riforme, una volta iniziato, possa proseguire nelle sedi istituzionali previste dalle regole costituzionali, assumendo, nel rispetto del pluralismo, della partecipazione politica e sociale e delle opposizioni, il carattere di un vero "processo costituente".