"Il Sole 24 Ore" del 31 luglio 2002 Lezioni americane di Riccardo Gallo Nella riunione di domani il board dei direttori della Borsa di New York, anche alla luce dei commenti che gli saranno pervenuti e che esso stesso sollecitò lo scorso 6 giugno con un avviso pubblico, approverà una serie di raccomandazioni alle società americane quotate al Nyse, aggiuntive rispetto a quelle già in vigore. Le società non americane dovranno spiegare in cosa eventualmente differiscano le loro regole interne. Il Nasdaq sta rivedendo i propri standard sulla falsariga del Nyse. Vediamo quali saranno le regole. I consiglieri di amministrazione di ciascuna società dovranno essere in maggioranza indipendenti. Oggi basta che i consiglieri indipendenti siano tre. L'adeguamento dovrà avvenire entro un biennio. La nozione di "indipendente" è molto netta, perché esclude non solo tutti coloro che hanno o hanno avuto rapporti diretti con l'impresa (ex dipendenti dell'azienda, revisori contabili), ma anche consiglieri di amministrazione di un'altra società nel cui "comitato compensi" figuri il Ceo (chief executive officer) della prima società. Ed esclude ovviamente chi è parente di un amministratore del gruppo. Si è fatto cenno a un cosiddetto comitato compensi. Questo perché le società dovranno dotarsi non solo di un "comitato d'audit", ma anche di un "comitato nomine" e di un "comitato compensi". I membri di questi ultimi due comitati dovranno essere tutti indipendenti. Il CdA potrà stabilire solo i criteri generali con cui cercare nuovi amministratori, perché poi spetterà al comitato nomine commissionare tale ricerca ai cacciatori di teste. Il comitato compensi fisserà la politica di remunerazione del Ceo, in funzione soprattutto della redditività del capitale di rischio. I membri del comitato d'audit saranno scelti con criteri più rigorosi. Dovranno essere non solo indipendenti, ma anche preparati in materie finanziarie e, almeno uno, dovrà aver avuto una diretta esperienza di gestione finanziaria. Le responsabilità del comitato d'audit dovranno essere più chiare: per esempio, esso dovrà rivedere i comunicati stampa sui risultati della gestione, fare con frequenza almeno trimestrale riunioni separate con il management dell'impresa, con l'auditor interno e con quello esterno, dovrà svolgere una supervisione del bilancio, giudicare la qualificazione e l'indipendenza degli auditor, sia interni che esterni, la qualità e la trasparenza delle loro analisi, infliggendo forti penalità in caso di inadempienze. L'aspetto però forse più innovativo è che il comitato d'audit dovrà supervisionare anche il contenzioso di natura legale e regolatoria, la gestione dei rischi, come pure le responsabilità aziendali di carattere sociale e ambientale, i sistemi di informazione non finanziaria. Addirittura dovrà elaborare un codice di comportamento etico per i consiglieri di amministrazione, per quelli con deleghe e per tutti i dipendenti. Il regolamento dei lavori del comitato d'audit dovrà essere approvato dal CdA e dovrà essere rivisto e aggiornato una volta all'anno. Di conflitti d'interesse neanche a parlarne. I piani di stock option dovranno essere sottoposti all'approvazione degli azionisti. Il Ceo dovrà certificare annualmente al Nyse che egli non ha motivi per ritenere che le informazioni fornite agli investitori siano non accurate o incomplete. Solo eufemisticamente si può parlare di raccomandazioni. In realtà si tratta di regole ferree introdotte, almeno così sembrerebbe, per arginare gli eccessi del troppo sfrenato capitalismo americano. Sinceramente, la cosa che più colpisce è il concetto di codice etico, per nulla contrapposto alla cultura d'impresa e di mercato. Sembra risentire fortemente della componente culturale protestante. I cambiamenti riguarderanno innanzitutto le società americane quotate al Nyse, ma indirettamente anche quelle non americane. Tra queste le imprese con un controllo azionario italiano sono in numero crescente e tutte rappresentative dell'imprenditoria nostrana più dinamica e di successo. I cambiamenti si ripercuoteranno però anche, prima o poi, sul nostro ordinamento. Oggi la costituzione di comitati d'audit non è richiesta in alcun paese dell'Unione europea. Soltanto la Borsa di Londra ne incoraggia l'introduzione, senza però imporla. Analogamente, in Francia il Rapporto "Viénot" ha auspicato l'introduzione di "comités des comptes", in Olanda il Rapporto del comitato Peters ha suggerito un organismo assimilabile al comitato d'audit, in Italia il codice di autodisciplina, cosiddetto Codice Preda, ha raccomandato alle società quotate in Italia la costituzione di un comitato per il controllo interno, senza però dare indicazioni su quale debba essere l'indipendenza dei suoi membri. Un'indagine condotta dalla Price Waterhouse nel 1997 dimostrò che, su un campione di 65 grandi imprese con sede in otto paesi europei, solo il 60% aveva istituito un comitato d'audit, e che l'Italia e la Svezia erano quelli con il più basso tasso di adozione. Nonostante tutti ci sorprendiamo di fronte agli scandali che sono emersi di recente negli Stati Uniti e pensiamo che ciò sia dovuto agli eccessi del capitalismo americano, dobbiamo invece avere consapevolezza di quanto siderale sia la distanza tra le sempre più stringenti regole americane e le nostre, ma soprattutto tra la propensione culturale alla trasparenza, imposta dall'ampiezza del mercato americano, e la propensione a una malintesa riservatezza nostrana. Con tutti gli inevitabili rischi e impedimenti allo sviluppo economico che ne derivano per il nostro povero capitalismo. |