da La Stampa del 15 luglio 2002

Regole da riscrivere, primo capitolo le banche

Preoccupano i rischi di conflitto di interesse. Parlamento al lavoro

I chiarimenti del presidente della Commissione Finanze La Malfa

Avrebbe dovuto trattarsi di una indagine di routine, volta a verificare se, a tre anni dall'entrata in vigore del Testo Unico della Finanza (il Tuf) le regole della cosiddetta legge Draghi avessero bisogno di interventi di semplice manutenzione o di modifiche profonde. Il rosario di scandali che stanno mettendo in ginocchio la fiducia degli americani nella bontà del loro sistema di regole societarie e dei mercati finanziari ha costretto la Commissione Finanze della Camera ad ampliare ed approfondire il giro d'orizzonte avviato nel febbraio scorso. E, così, l'indagine non ha più niente di routinario: diventa, invece, lo strumento per metterne in luce le eventuali criticità del nostro sistema, fornendo a Parlamento e Governo delle indicazioni di massima per realizzare a tambur battente gli interventi del caso onde evitare che si riproducano da noi i guasti finora confinati nel continente a stelle e strisce. Ora che si è visto come il caso Enron non sia una scheggia impazzita di un sistema a prova di bomba, ma solo la punta di un iceberg che, settimana dopo settimana, va allargando pericolosamente la propria base, le distorsioni delle regole e dei comportamenti del mondo finanziario non possono più essere infatti liquidate come la inevitabile conseguenza della disinvoltura di un ristretto manipolo di manager mascalzoni. La Commissione - composta da parlamentari di prim'ordine (oltre al presidente Giorgio La Malfa, Roberto Pinza della Margherita, Giorgio Benvenuto e Mauro Agostini dei ds, Vittorio Emanuele Falassitta di Forza Italia per non far che degli esempi) è intenzionata ad arrivare a conclusioni largamente condivise per poter sperare poi in una corsia preferenziale per le eventuali modifiche di legge. Lo spettro d'indagine è stato inevitabilmente ampliato. Se, inizialmente, i capitoli indagati erano quello della corporate governance e quello relativo all'operato della vigilanza, dopo gli scandali americani sono finiti sotto la lente d'ingrandimento sia il nodo dei regolatori che quello del conflitto d'interesse che mette sul banco degli imputati, accanto alle società di revisione, anche le banche. "Mi ha colpito il fatto - spiega La Malfa - che un colosso come Merril Lynch abbia accettato la multa salatissima che le è stata comminata in America, con ciò riconoscendo l'entità delle falle apertesi nelle cosiddette muraglie cinesi costruite per separare i vari rami di attività della banca". Cosa potrebbe succedere - si è chiesto il presidente della Commissione Finanze della Camera - nel nostro sistema in cui il 90% almeno della intermediazione transita dalle banche e gli istituti di credito, senza muraglie di sorta, vestono allo stesso tempo svariati cappelli, prestando denaro, erogando consulenza, facendo da advisor e, tramite i fondi, comportandosi da investitori istituzionali? Quali conseguenze più devastanti potrebbero avere comportamenti manageriali disinvolti da noi - si è chiesto ancora La Malfa - se le società restano in balia di investitori istituzionali come i Fondi d'investimento, caratterizzati da logiche di breve periodo, senza poter beneficiare dell'effetto calmiere svolto in Usa dai Fondi pensione che - abituati a ragionare sul lungo periodo per garantire il futuro degli associati - possano prescindere dalla ricorsa delle performance quotidiane? Gli interrogativi hanno stimolato tutta una serie di dubbi sui quali dovrà esprimersi la Commissione entro l'autunno: la relazione finale con le conclusioni dell'indagine e le proposte di interventi legislativi, regolamentari e organizzativi è attesa infatti per la fine di ottobre. Il primo dubbio posto da La Malfa riguarda il modello societario: è davvero certo che la public company - affidata com'è a manager autoreferenziali e sostanzialmente privi di controlli - sia migliore degli assetti prevalenti nell'Europa continentale (in Germania, Francia, Italia) in cui "noccioli duri" di azionisti, costretti a tenere le azioni per un certo tempo nella buona e nella cattiva sorte, si preoccupano della solidità dell'azienda e della costanza del risultato piuttosto che di grandi exploit a breve? Dal dubbio è discesa la prima provocazione: rivedere anche il principio innovativo della contendibilità introdotto dal Tuf, per contemperarlo con quello dello stabilità. "EŽ chiaro che se si garantisce sempre solo la stabilità si rischia di generare l'inefficienza dei gruppi dirigenti - osserva La Malfa - ma se si garantisce solo la contendibilità, questa spostando il possesso azionario verso il modello della public company, produce la malattia di cui oggi soffrono gli Stati Uniti". Il secondo dubbio, ampiamente sollevato anche da le Monde la scorsa settimana (e sulle pagine de la Stampa, lunedì scorso, dal presidente di Mediaset Fedele Confalonieri) riguarda l'ossessione dei risultati trimestrali. "Questa ricorsa si basa - insiste l'esponente di Forza Italia - sulla illusione che la Borsa sia un meccanismo così trasparente e perfetto per cui riversandovi tutte le informazioni possibili, la Borsa stessa le valuta e dà un valore che è il valore giusto di mercato". Ma così non è: ci sono sempre informazioni che restano patrimonio di pochi e "Chi vuol fregare il risparmiatore, in Borsa può sempre farlo", sostiene La Malfa. Da qui l'attacco alle stock option come strumento per fidalizzare il management e stimolarlo a migliorare le performance. Per La Malfa sarebbe meglio incentivare il top management distribuendo quote di profitto, sulla base dell'incremento dei risultati. Se, infatti il valore azionario e il profitto fossero parametri inestricabili, in quanto il primo riflette esattamente la profittabilità - prosegue il presidente della Commissione - allora le stock option potrebbero funzionare: ma dato che non è così la distribuzione di opzioni all'acquisto azioni ai manager, come dimostrato dai casi americani, può "Avere effetti pesantemente distorsivi". Il dubbio più profondo, però, riguarda le banche, e lŽeccesso di ruoli consentito agli istituti di credito dal modello di banca universale ormai dilagante. Per La Malfa c'è il sospetto che i signori del credito operino spesso uno shifting del rischio da se stessi ai clienti: che possono indifferentemente essere il singolo risparmiatore, l'azienda, altre istituzioni finanziarie coinvolte nelle varie operazioni (come è successo per Enron a Unicredit da parte di Morgan Stanley) . "Il conflitto d'interesse va abbattuto alle origini", stigmatizza La Malfa, aprendo il capitolo dei "regolatori" e della "vigilanza". Sono argomenti molto delicati che non possono però essere ignorati per il presidente della Commissione. Si tratta, in altri termini, di capire se la vigilanza così com'è strutturata oggi sia ancora efficace o vada ripensata. Sul tavolo ci sono due modelli quello della struttura di tipo inglese per cui un unica autority ben indentificata sorveglia su banche finanziarie, assicurazioni, operatori, o invece il modello delle autorità separate che è quello attuale in Italia con la Consob per gli operatori e la Banca dŽItalia per il sistema bancario. "Io la risposta in tasca non ce l'ho", dice La Malfa: "Dovremo capirlo in Commissione dove si è posto il problema". Se tutto deve rimanere com'è, si pongono due ordini di problemi secondo La Malfa. Per la Consob non si tratterebbe forse di accrescerne i poteri, quanto piuttosto di riformare la giustizia perché possa dare risposte in tempo reale come avviene in America: "Va ripreso il dossier delle giurisdizioni specializzate (per esempio i tribunali del commercio) che la lobby degli avvocati ha impedito sinora di attuare", dice La Malfa. Per la vigilanza sulle banche, ricordando che in Parlamento ci sono due proposte di legge (la Amato/Pinza e la Tabacci) volte a sottrarre all'istituto centrale la vigilanza e in un caso anche l'antitrust sul sistema del credito, La Malfa sostiene che si deve capire "Se sta bene dove è ora o va posta altrove". La bussola per decidere potrebbero essere gli orientamenti prevalenti in Europa. Ma se la vigilanza dovesse restare dov'è, per il presidente della Commissione Finanza della Camera bisognerebbe forse che "L'autorità di vigilanza fosse collegiale e forse che la carica di Governatore non fosse più a vita". Si tratta ovviamente di opinioni: ora la parola passa alla Commissione che ne dovrà discutere per arrivare a soluzioni di larga convergenza.

Flavia Podestà