Dal "Corriere della Sera" del 14 luglio 2002

La Malfa: bisogna rallentare il capitalismo

Assetti più stabili, meno potere ai dirigenti

MILANO ­ "Credo che oggi si possa ben dire una cosa: bisogna rallentare il capitalismo. Va premiata la stabilità degli assetti e dei risultati piuttosto che la contendibilità e la rotazione del management". Giorgio La Malfa, presidente della Commissione finanze della Camera, ha avvito da febbraio un'indagine conoscitiva sul testo unico, la cosiddetta legge Draghi, che tre anni fa ha introdotto nuove regole di corporate governance, e cioè di governo societario. Il tema in questi mesi è diventato "caldo", visti i tracolli e gli scandali americani, e i lavori di ricognizione sono proseguiti oltre i tempi previsti. Sono stati ascoltati gli operatori e le Authority (l'ultima è stata Bankitalia), e il prossimo appuntamento è con il ministro dell'Economia. In settembre, dopo una "missione" negli Stati Uniti, i lavori verranno chiusi da una relazione.

Cosa intende per "rallentare il capitalismo"?
"Tornare a premiare il valore della stabilità. E cioè il cosiddetto modello renano, con imprese i cui assetti proprietari sono costituiti da nuclei stabili di capitalisti con capitali. Mi vengono in mente alcuni articoli scritti da Bruno Visentini negli anno Ottanta, nei quali si sottolineavano i pericoli del capitalismo manageriale. Oggi questi pericoli sono una realtà sotto gli occhi di tutti. Ebbene, per recuperare la stabilità occorre scoraggiare in qualche misura una eccessiva contendibilità delle imprese".

Significa togliere mercato?
"Significa piuttosto ragionare su tempi più lunghi. Alcuni considerano la contendibilità necessaria a "liberare" gli assetti ingessati del nostro capitalismo familiare. Ebbene, se liberare gli assetti significa consegnare le chiavi delle aziende a dirigenti che rispondono solo a se stessi, preferisco non procedere in questa direzione. Il rischio che, come ha sottolineato bene l'ex presidente della Consob Guido Rossi, il conflitto d'interessi diventi il fattore dominante e devastante è davvero troppo alto".

In che senso?
"Vede, il capitalismo automatico nel quale cioè l'azione collettiva degli attori è orientata da parametri automatici come il rapporto debito-patrimonio o i rating, voti attribuiti senza conoscere davvero le aziende, rappresenta una "tentazione" troppo grossa per i manager".

Tentazione?
"Ho sempre guardato con sospetto alle stock-option, che legano i comportamenti dei manager all'andamento della Borsa. Se tutto, compresa la ricchezza di chi guida l'azienda, dipende da parametri automatici, in fondo basta "truccare" i parametri e il gioco è fatto. Ed è alto il rischio che a questo gioco partecipino i banchieri, che finanziano, consigliano, attribuiscono valori, danno le pagelle, indicano i parametri-bussola e così via. Insomma, banche universali con conflitti d'interessi universali. No, a un simile quadro ne preferisco un altro, nel quale capitalisti-imprenditori stabilmente lagati all'attività che svolgono si confrontano con i banchieri che fanno soltanto i banchieri, conoscono bene le aziende, sanno che cosa significa davvero il rapporto fra debito e patrimonio sul medio-lungo periodo. Non è possibile che il debito Fiat rischi di essere considerato alla stregua di un junk-bond, di una obbligazione spazzatura. Questa è la distorsione del capitalismo automatico".

Scandali e conflitti d'interessi hanno riportato il dibattito sulla vigilanza. Come si orienta la commissione?
"Per il momento non esiste ancora un orientamento definito. Sul tavolo ci sono i diversi modelli: quello dell'authority all'inglese che vigila su banche, assicurazioni, finanza e quello delle autorità separate. Tuttavia una cosa va detta: l'autorità non può esercitare la vigilanza in modo monocratico".

Si riferisce a un'autorità speciale?
"Penso, per esempio, alla Banca d'Italia".