MILANO "Credo che oggi si possa ben dire una cosa: bisogna rallentare il capitalismo. Va premiata la stabilità degli assetti e dei risultati piuttosto che la contendibilità e la rotazione del management". Giorgio La Malfa, presidente della Commissione finanze della Camera, ha avvito da febbraio un'indagine conoscitiva sul testo unico, la cosiddetta legge Draghi, che tre anni fa ha introdotto nuove regole di corporate governance, e cioè di governo societario. Il tema in questi mesi è diventato "caldo", visti i tracolli e gli scandali americani, e i lavori di ricognizione sono proseguiti oltre i tempi previsti. Sono stati ascoltati gli operatori e le Authority (l'ultima è stata Bankitalia), e il prossimo appuntamento è con il ministro dell'Economia. In settembre, dopo una "missione" negli Stati Uniti, i lavori verranno chiusi da una relazione.
Cosa intende per "rallentare il capitalismo"?
"Tornare
a premiare il valore della stabilità. E cioè il cosiddetto
modello renano, con imprese i cui assetti proprietari sono costituiti
da nuclei stabili di capitalisti con capitali. Mi vengono in mente alcuni
articoli scritti da Bruno Visentini negli anno Ottanta, nei quali si sottolineavano
i pericoli del capitalismo manageriale. Oggi questi pericoli sono una
realtà sotto gli occhi di tutti. Ebbene, per recuperare la stabilità
occorre scoraggiare in qualche misura una eccessiva contendibilità
delle imprese".
Significa togliere mercato?
"Significa piuttosto ragionare su tempi più lunghi. Alcuni
considerano la contendibilità necessaria a "liberare"
gli assetti ingessati del nostro capitalismo familiare. Ebbene, se liberare
gli assetti significa consegnare le chiavi delle aziende a dirigenti che
rispondono solo a se stessi, preferisco non procedere in questa direzione.
Il rischio che, come ha sottolineato bene l'ex presidente della Consob
Guido Rossi, il conflitto d'interessi diventi il fattore dominante e devastante
è davvero troppo alto".
In che senso?
"Vede, il capitalismo automatico nel quale cioè l'azione
collettiva degli attori è orientata da parametri automatici come
il rapporto debito-patrimonio o i rating, voti attribuiti senza conoscere
davvero le aziende, rappresenta una "tentazione" troppo grossa
per i manager".
Tentazione?
"Ho sempre guardato con sospetto alle stock-option, che legano
i comportamenti dei manager all'andamento della Borsa. Se tutto, compresa
la ricchezza di chi guida l'azienda, dipende da parametri automatici,
in fondo basta "truccare" i parametri e il gioco è fatto.
Ed è alto il rischio che a questo gioco partecipino i banchieri,
che finanziano, consigliano, attribuiscono valori, danno le pagelle, indicano
i parametri-bussola e così via. Insomma, banche universali con
conflitti d'interessi universali. No, a un simile quadro ne preferisco
un altro, nel quale capitalisti-imprenditori stabilmente lagati all'attività
che svolgono si confrontano con i banchieri che fanno soltanto i banchieri,
conoscono bene le aziende, sanno che cosa significa davvero il rapporto
fra debito e patrimonio sul medio-lungo periodo. Non è possibile
che il debito Fiat rischi di essere considerato alla stregua di un junk-bond,
di una obbligazione spazzatura. Questa è la distorsione del capitalismo
automatico".
Scandali e conflitti d'interessi hanno riportato il dibattito sulla
vigilanza. Come si orienta la commissione?
"Per il momento non esiste ancora un orientamento definito. Sul
tavolo ci sono i diversi modelli: quello dell'authority all'inglese che
vigila su banche, assicurazioni, finanza e quello delle autorità
separate. Tuttavia una cosa va detta: l'autorità non può
esercitare la vigilanza in modo monocratico".
Si riferisce a un'autorità speciale?
"Penso, per esempio, alla Banca d'Italia".