da " Il Sole 24 Ore" di domenica 30 giugno 2002 Il saggio di Nicola Rossi analizza scelte passate e future della sinistra italiana Se la storia pesa troppo di Giorgio La Malfa Al momento delle elezioni del 2001 "il centrosinistra veniva da un ciclo quasi decennale di governo. E, per lo più, di buon governo. (…) Un ciclo che aveva portato l'Italia dalla bancarotta morale ed economica alle soglie ‘del secondo miracolo economico' (per usare le parole del Governatore della Banca d'Italia)". Eppure il centrosinistra ha perso le elezioni politiche e, poche settimane dopo, anche il turno delle amministrative. Le cause di questa sconfitta sono il tema di un saggio, molto coraggioso, del professor Nicola Rossi, economista, consigliere di Massimo D'Alema durante la sua Presidenza del Consiglio ed ora deputato DS. Nell'Introduzione (da cui proviene la citazione precedente), Rossi sostiene che tali cause non sono da rinvenire nei contrasti interni alla coalizione, nel "chiacchiericcio della classe politica", "nell'afasia dell'attività di governo" o in altre ragioni "che scambiano i sintomi per la malattia". Il problema è molto più profondo: "Le risposte vanno cercate nel modo stesso di essere della maggioranza che ha governato in questi anni l'Italia. Non tanto nella qualità della sua classe dirigente – in alcuni casi di sicuro livello europeo – quanto nella debolezza culturale con cui ha affrontato la straordinaria quantità di problemi che caratterizzavano l'Italia del 1996". Quei limiti culturali – aggiunge subito dopo – "hanno trovato quotidiana espressione nelle sue idiosincrasie, nei suoi pregiudizi, nelle sue paure, nei suoi sospetti, nelle sue consolidate abitudini, nelle sue incertezze, nelle sue ambiguità". Questo giudizio spietato viene argomentato nei tre successivi capitoli del libro. Nel primo di essi l'autore nota che i governi di centrosinistra hanno considerato l'ingresso nell'Unione Monetaria Europea come un traguardo a sé stante, non rendendosi conto che era invece necessario un "disegno politico che proponesse di colmare la distanza che separava l'Italia dall'Europa non solo sotto il profilo del bilancio pubblico ma anche (se non soprattutto) sotto due profili altrettanto importanti: quello della capacità delle nostre imprese di competere in una diversa Europa e quello della possibilità per le nostre famiglie di conoscere i livelli di coesione sociale già presenti altrove in Europa". Si è trattato non di un errore politico, ma di un "vero e proprio limite culturale" che ha fatto sì che l'azione di governo rimanesse "appesa nel vuoto, fino ad essere vanificata dalla distanza fra una pratica faticosa ed una teoria assente". Nel secondo capitolo, Nicola Rossi registra "l'assenza dalla scena politica che conta del Mezzogiorno," cui negli anni del centrosinistra è stata dedicata "un'attenzione distratta e limitata alla rituale e diligente redazione del capitolo meridionale del DPEF". Nel terzo infine egli affronta il tema della concertazione e del rapporto con le parti sociali. La tesi di Rossi è che, superata nel 1998, con l'ingresso nell'Unione Monetaria, la stagione dell'emergenza iniziata con la crisi della lira del 1992, il movimento sindacale avrebbe dovuto ritirarsi nei suoi territori senza pretendere di dettare le proprie risposte a un governo pur politicamente vicino. Si leggono qui delle pagine molto lucide che evidentemente risentono dell'esperienza amara del rapporto con le parti sociali nel corso del governo D'Alema. "I mesi e gli anni a venire [dalla metà del 1998, nda] sono segnati da questa scelta: dalla volontà dei principali protagonisti della ‘stagione dell'emergenza' di trasformare una condizione dettata dalla situazione di pericolo in cui versava la Repubblica in una stabile modalità di definizione degli obiettivi collettivi e delle modalità per perseguirli. (…) Una volontà che non coglieva la necessità di ripristinare in toto le regole democratiche che lo stato di necessità del 1992 aveva necessariamente intaccato". Ed ancora: l'ambiguità dei sindacati confederali è indicata dal fatto che "fino al maggio 2001, una interpretazione estensiva della concertazione si assocerà alla difesa puntuale di interessi specifici". Come si vede da queste citazioni si tratta di un'analisi impietosa che meriterebbe una riflessione approfondita nell'ambito della sinistra. Invece, nota ancora l'autore nell'ultimo capitolo del libro, il rischio è che essa scelga l'arroccamento culturale. "Nell'agosto 2001 si è infatti materializzata per la sinistra italiana la possibilità di replicare la scelta compiuta nel 1980 dai laburisti inglesi", quella cioè di Michael Foot come leader del Labour, una figura "capace di impersonare al meglio la storia passata della sinistra britannica e, proprio per questo motivo, di porre le basi per oltre 16 lunghissimi anni di predominio conservatore" . Qui è trasparente il riferimento a Sergio Cofferati e, più in generale, alle posizioni della sinistra DS. Nicola Rossi ha ragione nel suggerire una strada diversa e in qualche misura la delinea nell'ultimo capitolo. E tuttavia, proprio la critica spietata alle carenze culturali della sinistra, spinge a chiedersi quale ne sia l'origine. E' in questa direzione che è necessario scavare per comprendere le radici della crisi. Su questo il saggio di Rossi tace, forse perché la riflessione, se sviluppata in pieno, potrebbe finire per investire in maniera devastante il principale partito della sinistra. In realtà il problema dei DS è un problema culturale perché essi provengono da un partito nella cui storia quasi secolare i quadri erano stati formati nell'idea che il sistema economico di mercato fosse moralmente inaccettabile e destinato a produrre miseria e ingiustizie crescenti. Per questo essi guardavano a un diverso ed opposto modello economico fondamentale. E' possibile, solo perché la storia ha condannato quell'esperienza, che chi era stato formato in altro modo possa abbracciare ed esporre in maniera convincente idee che appartengono a uno schema di riferimento opposto? Questa è la difficoltà con la quale i DS si sono scontrati in questi anni e che ha fatto sì che, anche quando essi si convincevano delle cose da fare, fosse il loro elettorato a non comprenderli. All'indomani della caduta del Muro di Berlino, in un dei suoi libri più belli, (1989: riflessioni sulla rivoluzione in Europa), Ralf Dahrendorf osservò che la crisi del comunismo avrebbe investito in pieno anche le socialdemocrazie europee. Oggi, mentre in tutti i maggiori paesi europei i governi di centrosinistra vengono sconfitti nelle elezioni, quell'osservazione si sta rivelando profetica. Per Nicola Rossi, che si è avvicinato ai DS in tempi recenti, provenendo da una formazione economica nelle università anglosassoni, forse il problema non si pone. Anzi è possibile che egli non lo percepisca neppure come il problema. Ma per il partito che è erede del PCI, il peso della storia è enorme. E Rossi, quasi inavvertitamente se ne accorge, quando insiste nel dire che all'origine della sconfitta vi è essenzialmente un problema culturale. E' proprio questo, come dimostrano le posizioni di Sergio Cofferati, che rende così difficile, almeno per questa generazione di dirigenti della sinistra, preparare le condizioni per una riscossa. Nicola Rossi, Riformisti per forza. La sinistra italiana tra 1996 e 2006, Il Mulino, 2002, pp. 168, € 10,50 |