Intervento del sen. Antonio Del Pennino alle Commissioni congiunte Industria e Sanità del Senato sul disegno di legge in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche

Il recepimento della direttiva comunitaria 98/44/CE colma un vuoto legislativo in un settore di avanguardia scientifica e tecnologica che sta dando contributi di grande rilievo sia per la tutela della vita umana, sia nell'accrescere la competitività economica, e che potrà essere molto rilevante per il nostro Paese, attualmente in grave ritardo rispetto ai partners dell'Unione Europea.

La certezza della tutela della proprietà intellettuale è requisito fondamentale per lo sviluppo di attività imprenditoriali nel settore, e la mancanza di tale certezza ha finora concorso a limitare lo sviluppo di attività bio-imprenditoriali in Italia.

La ricerca scientifica, che precede temporalmente, talvolta di molti anni, la realizzazione imprenditoriale, deve anch'essa basarsi su una certezza per quanto riguarda le condizioni di brevettabilità dei suoi ritrovati.

Ciò detto, va preliminarmente ricordato, come ha rilevato anche nella sua relazione il collega Mugnai, che la brevettabilità di un'invenzione tende a creare condizioni di giusta remunerazione per il sostegno che è stato dato alla ricerca che ha generato l'invenzione, ed è quindi cosa diversa dalla liceità degli utilizzi che di questa invenzione possono essere fatti, perché vengono o verranno regolati da altre fonti giuridiche.

Ho voluto fare questa considerazione perché il disegno di legge trasmessoci dalla Camera contiene una serie di disposizioni restrittive rispetto alla direttiva comunitaria 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, disposizioni che per un verso appaiono frutto di impostazioni ideologiche che sono improprie in questo testo, dall'altro rischiano di danneggiare sia la salute, sia la potenzialità competitiva del nostro Paese.

Dal primo punto di vista che so essere il più delicato, quello che suscita maggiori contrasti, credo non si possa non sottolineare come la previsione di escludere dalla brevettabilità il corpo umano sin dal momento del concepimento e nei vari stadi del suo sviluppo, innovando rispetto a quanto affermato nella direttiva che stabilisce che non può costituire invenzione brevettabile il corpo umano nei vari stadi del suo sviluppo, ha un preciso significato di affermazione di principio, impropria in questo testo legislativo e da cui si fanno poi discendere norme precettive che rischiano di rendere più difficile l'attività dei ricercatori italiani.

Conseguenza di questa affermazione appare, infatti, la disposizione contenuta al numero 3 della lettera G che prevede l'esclusione dalla brevettabilità delle invenzioni basate su ogni utilizzazione di embrioni umani, ivi incluse le linee di cellule staminali embrionali umane. Sul punto la direttiva parlava invece di utilizzazione di embrioni umani a fini industriali e commerciali .

Credo che una soluzione rispettosa dei valori, ma non aprioristicamente ristrettiva, debba prevedere il divieto di utilizzazione di embrioni umani, fatti salvi quelli già prodotti e non utilizzabili per l'impianto.

La stessa convenzione di Oviedo, richiamata nel disegno di legge al nostro esame, prevede la proibizione di costituzione di embrioni umani ai fini esclusivi di ricerca. Non anche l'utilizzazione di embrioni già prodotti ai fini della procreazione assistita, ma non utilizzabili in concreto per l'impianto.

Se non utilizzabili ai fini di ricerca quale sarebbe infatti il destino di questi embrioni se non la loro distruzione? Non appare più logico, più morale, più rispettoso anche delle convinzioni dei credenti consentire che questi embrioni già esistenti siano utilizzati a fini di ricerca?

Ma al di là di questo punto che a me sembra doveroso sottolineare anche se, ripeto, so rappresentare il maggior punto di dissenso, vi sono altri aspetti in cui il disegno di legge al nostro esame si discosta dalla direttiva e sui quali mi sembra meritevole di correzioni.

Mi riferisco alla disposizione che prevede l'obbligo che la provenienza del materiale biologico di origine animale e vegetale, che sta alla base dell'invenzione, venga dichiarata all'atto della richiesta del brevetto sia in riferimento al paese di origine, sia il relazione all'organismo biologico dal quale è stato isolato, nonché all'altra che stabilisce, in caso di invenzione che ha per oggetto o utilizza materiale biologico di origine umana, che la persona dalla quale è stato prelevato tale materiale abbia espresso il proprio consenso libero e informato.

Non si tratta di mettere in discussione questi principi, ma di prendere atto che, proprio poiché la ricerca precede anche di molti anni le invenzioni, e quindi la richiesta di brevetto, occorre garantire la possibilità di brevettare i risultati di una ricerca condotta senza il pieno rispetto di queste norme più restrittive sul consenso e sull'origine del materiale utilizzato per l'invenzione, norme che all'epoca dei prelievi non erano in vigore.

Non a caso, nei "considerando", la direttiva, per quanto riguarda il consenso libero e informato, prevede che la possibilità di esprimere il proprio consenso al prelievo deve essere garantita in base al diritto nazionale pre vigente e che, per quanto riguarda il materiale biologico di origine vegetale o animale, la domanda di brevetto debba contenere indicazioni sul luogo di origine, solo nel caso in cui esso sia noto.

Occorrerebbe quindi prevedere che le nuove disposizioni relative a l'utilizzazione di materiale biologico di origine umana, animale o vegetale debbano essere applicate a partire dai prelievi eseguiti dopo l'entrata in vigore del decreto delegato conseguente all'approvazione di questo disegno di legge.

Si rischierebbe altrimenti di bloccare tutte le ricerche in atto per le quali venga utilizzato materiale prelevato senza la formalizzazione del consenso o la cui provenienza (in caso di origine animale o vegetale) non è oggi ricostruibile.

Un'ulteriore considerazione merita la previsione che esclude dalla brevettabilità le invenzioni riguardanti i protocolli di "screening genetico" aventi finalità eugenetiche.

Mi limiterò sul punto a riportare le osservazioni che Anna Meldolesi ha fatto su "Il Riformista" di giovedì scorso: l'ostilità alle biotecnologie di parte della sinistra può giocare brutti scherzi. Può persino portare a far passare una legge che mette il bastone fra le ruote alle diagnosi prenatali, senza che nessuno dei partiti tradizionalmente schierati per il diritto delle donne a gestire in libertà la gravidanza se ne renda conto…non ci si è accorti infatti che la dicitura finalità eugenetiche è talmente vaga da comprendere l'interruzione di gravidanza nel caso in cui l'embrione presenti anomalie genetiche e che quindi il divieto di brevettabilità può estendersi ai test per le diagnosi prenatali".

Un'ultima osservazione riguarda la previsione che stabilisce l'esclusione dalla brevettabilità dei metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale. Nulla quaestio se si tratta solo di metodi. Ma l'espressione contenuta nella legge essendo assolutamente generica si presta a interpretazioni estensive che potrebbero portare ad escludere la brevettabilità di farmaci e di reagenti per diagnostica, col conseguente effetto di rendere la nostra industria dipendente da brevetti stranieri. Occorre quindi precisare la norma stabilendo che vengano fatti salvi dispositivi e prodotti anche su base informatica per diagnosi o per trattamenti chirurgici o terapeutici.

Onorevoli colleghi, queste mie considerazioni non hanno alcun intento dilatorio. So bene che l'Italia ha un non commendevole ritardo nel recepimento della direttiva comunitaria, ma non credo che alcune correzioni al testo trasmessoci dalla Camera comportino rilevanti rinvii.

Quello che ritengo sia necessario è legiferare rapidamente, ma in modo da non frapporre un ulteriore ostacolo ai già molti esistenti per lo sviluppo della ricerca nel nostro Paese.

Roma, 6 novembre 2002