"Panorama" del 17 ottobre 2002

La palla passa al governo

Tempi stretti e pochi margini: ci vuole l'intervento di Palazzo Chigi

di Giorgio La Malfa

In tutto il mondo l'industria dell'automobile è in crisi. Nel 2001 la produzione è diminuita del 3 per cento; il trend negativo prosegue anche quest'anno. Le previsioni a medio termine indicano crescite delle vendite dell'ordine del 2 – 2,5 per cento annuo, insufficienti a colmare l'eccesso di capacità produttiva che si determina ogni volta che un grande produttore avvia un nuovo ciclo di modelli.

Nell'industria si assiste a un fortissimo processo di concentrazione: nel 1970 vi erano 40 case automobilistiche indipendenti; si ritiene che nel 2010 i produttori indipendenti saranno non più di 7. Il settore ha una bassa redditività perché la produzione di nuovi modelli comporta investimenti massicci, ma i cicli di vita delle nuove auto diventano sempre più corti. Ingenti fabbisogni finanziari, ed oneri conseguenti, derivano dalla necessità di assistere i clienti nell'acquisto delle auto e nella loro frequente sostituzione. Insomma "quello dell'automobile – scriveva nel luglio scorso il Presidente della Commissione Attività Produttive della Camera, Tabacci, nella relazione conclusiva di un'indagine conoscitiva sulle prospettive del settore - si configurerà in misura sempre maggiore come un settore difficile caratterizzato da una fortissima competizione".

Il problema della Fiat, tornato ad esplodere in questi giorni con l'annuncio della chiusura di molti stabilimenti e di eccedenze di personale per 8-9000 unità, si colloca in questo quadro sfavorevole, ma non è causato dalla situazione congiunturale. Il declino della FIAT non è giunto all'improvviso. Si tratta di un problema aperto da tempo, di cui forse in questi ultimi anni è stata sottovalutata – o taciuta - la gravità.

La redditività del gruppo è decresciuta progressivamente. Nel decennio 1980-89, superata la grande crisi dell'inizio degli anni '80, essa si era mantenuta attorno al 5%, con punte fino al 10%. Nel decennio 1990-99 la redditività è crollata all'1,89% di media, con risultati negativi in due esercizi a metà del periodo. Nell'ultimo triennio i risultati sono tutti negativi: - 0,3% del fatturato nel 2000, - 0,9% nel 2001 e - 2,7% in soli sei mesi del 2002. Ancora più grave è la situazione dell'indebitamento praticamente raddoppiato, in rapporto al fatturato, fra il 1998 e la fine del 2001.

In base all'accordo con General Motors la FIAT cedette alla casa americana il 20% del settore auto in cambio del 5,7% delle azioni Gm. L'accordo prevedeva inoltre la creazione di joint-ventures nel campo degli acquisti e della produzione e la collaborazione nel campo della ricerca. Il contratto dà facoltà alla FIAT di cedere alla GM a partire dal 2004 tutto il rimanente del settore auto. Il management della FIAT in questi anni ha sempre dichiarato recisamente che non intendeva utilizzare quella possibilità. E tuttavia, una certa inerzia negli investimenti ed anche un certo ritardo nella predisposizione di nuovi modelli fa pensare che in fondo vi possa essere stata una riserva mentale su questo punto che ha finito con il pesare sulle scelte del gruppo.

Il problema FIAT ora è scoppiato in tutte le sue proporzioni. La sua gravità è confermata dal fatto che nel giro di meno di un anno il gruppo ha predisposto sostanzialmente tre piani per far fronte alla propria situazione. Nel novembre del 2001 fu annunziato un afflusso di mezzi freschi per 3 miliardi di euro, di cui uno per aumento di capitale e due per emissioni di obbligazioni convertibili in azioni; pochi mesi dopo, nel maggio scorso, venne annunziato un secondo piano concordato con le maggiori banche creditrici e accompagnato, si lesse, dal consenso preventivo della Banca d'Italia, che prevedeva riduzioni di manodopera, dismissioni e anche un cambio del management. E' di questi giorni l'annuncio di un ulteriore stato di crisi di cui non si conosce ancora la vera portata.

E' molto difficile valutare, non conoscendo dall'interno i dati effettivi sulla situazione del gruppo, lo stato di preparazione di nuovi modelli e altri elementi cruciali, se si possa ancora salvare la FIAT come casa automobilistica indipendente. Quello che è certo è che dal punto di vista dell'economia italiana e delle sue prospettive, una crisi definitiva del gruppo o anche solo la cessione del suo settore automobilistico alla GM comporterebbe conseguenze gravissime, sia per quanto riguarda le prospettive dell'occupazione, diretta e indiretta, sia per quanto riguarda le attività di ricerca scientifica, di innovazione, i servizi avanzati collegati a un grande settore industriale e così via. Il problema Fiat non riguarda il destino di un'azienda, riguarda l'economia nazionale.

La Fiat, come complesso di uomini e di tecnologie, ha ancora molte risorse che, indirizzate con chiarezza d'intenti, possono difendere quello che è un essenziale patrimonio nazionale, ma i tempi stringono ed è bene che di questi problemi ci si cominci a preoccupare con la dovuta serietà.

Già nei mesi scorsi il governo avrebbe dovuto intervenire e non lasciare alle banche il compito di definire piani che, più che al rilancio della FIAT puntano a salvare i crediti che essi hanno concesso. E' bene che lo faccia adesso e con la determinazione necessaria.